12 dicembre 2009 - Padova
Relazione all’Assemblea regionale
di Rosanna Filippin*
Voglio per prima cosa salutarvi tutti.
Salutarvi e ringraziarvi per il lavoro di questa giornata, che consegna al Partito Democratico del Veneto i suoi nuovi organismi dirigenti. Da oggi siamo pronti per tornare al lavoro: con un team rinnovato, con una squadra coesa e con organismi dirigenti più snelli ed efficienti.
Ora dobbiamo affrontare i tempi politici che stiamo vivendo: la fase politica che attraversiamo in Italia. Ma sopratutto gli appuntamenti che ci aspettano nel Veneto. Abbiamo di fronte scadenze decisive e incalzanti. Ovviamente parlo delle elezioni regionali. Che in ogni caso, in Veneto, segneranno la fine di un ciclo politico e l’inizio di uno nuovo. Quale ciclo politico si chiuderà il 28 marzo, ormai, è chiaro a tutti: quello segnato, nel bene e nel male, dalla personalità di Giancarlo Galan. Quale ciclo politico si aprirà il giorno dopo, invece, dipende da alcune scelte. Quelle che faranno gli elettori veneti, ma anche quelle che sapremo fare noi.
Il Veneto è di fronte a un bivio. Può scegliere la strada della Lega: il federalismo delle parole, la chiusura verso il mondo esterno, la ricerca continua di un nemico da attaccare: un giorno gli stranieri, il giorno dopo la Chiesa, il giorno dopo ancora i sindaci.
Oppure può scegliere una strada nettamente alternativa, fatta di soluzioni adatte ai tempi della crisi, ma anche più fedeli all’identità del Veneto: che si basa sul valore del lavoro, sull’etica della responsabilità e del merito, sullo spirito della solidarietà, sul coraggio dell’innovazione, sull’apertura al mondo.
In qualsiasi caso, il Veneto è sulla soglia di un cambiamento profondo. Noi possiamo esserne i testimoni passivi, oppure i protagonisti, insieme a chi accetta la sfida di aprire una stagione nuova. Il finale di questa storia è ancora tutto da scrivere. E dipende dalle nostre scelte.
Noi abbiamo un ruolo. Perché siamo la principale forza alternativa alla destra. E quindi abbiamo anche una responsabilità. Serve chiarezza verso i veneti. Dobbiamo dire, e dobbiamo farlo rapidamente, quale progetto abbiamo in testa per la nostra regione. Serve responsabilità verso le nuove generazioni. Perché bisogna superare la crisi di oggi, ma anche costruire progetti con un’efficacia che duri nel tempo. E infine serve il coraggio: il coraggio di osare e anche di percorrere strade nuove, se utili al bene del Veneto.
Dopo il 25 ottobre, è chiaro a tutti che il Pd non può essere la stampella di nessuno. Ma alle regionali vogliamo esserci da protagonisti, e se La lega parlerà alla pancia degli elettori, noi dobbiamo usare il cuore, ma anche il cervello. E allora su quello che dobbiamo proporre al Veneto vorrei spendere qualche parola.
La nostra regione vive una situazione difficile. Il dato di partenza è senza dubbio la crisi economica:
- Un calo nel Pil come non si è mai registrato dal dopoguerra ad oggi
- 120 mila posti di lavoro persi nel 2009
- Un indebitamento crescente delle imprese e delle famiglie
Gli effetti sociali sono inevitabili e pesanti. Per i lavoratori e per le loro famiglie. E non solo. Nessuno, dieci anni fa, avrebbe pensato alla classe media o alle partite iva come ad un soggetto a rischio eppure oggi è questo che abbiamo sotto gli occhi in queste condizioni, le tensioni e le difficoltà dell’integrazione sono ovviamente destinate a crescere, a farsi più acute. E a chiudere il quadro, c’è la difficoltà delle finanze pubbliche locali: i comuni, che sono la prima trincea nella risposta alla crisi, sono soffocati da un patto di stabilità iniquo. E da un governo federalista a parole e sordo nei fatti alle loro esigenze. E pure le regioni subiscono il taglieggiamento del governo. E diventa ogni giorno più difficile fronteggiare con lungimiranza l’investimento su bisogni sociali essenziali: scuola, sanità, protezione dell’ambiente.
Con la crisi, abbiamo tutti qualche sicurezza in meno. Quando una comunità vive momenti come questo o unisce le forze e supera le difficoltà, oppure è condannata ad esserne travolta. La soluzione della Lega è sbagliata per questo, un giorno promette un federalismo che non arriva mai, un giorno se la prende con gli stranieri, un giorno sembra che la priorità sia il dialetto a scuola, il giorno dopo ancora il vescovo di Milano sembra un pericoloso sovversivo.
Ma non basta individuare un nemico al giorno per superare la crisi. Quando i problemi esistono, non basta negarli, né scegliere capri espiatori di comodo. Se è vero, com’è vero, che la concretezza è una caratteristica dei veneti, allora quella leghista è la proposta politica meno fedele al Veneto che ci sia in campo.
Noi dobbiamo proporre qualcosa di diverso. Un confronto sul programma per il governo del Veneto è già stato avviato con le forze del centrosinistra. Si tratta di un lavoro importante, perché l’esperienza comune di anni di opposizione al centrodestra ha creato una coesione di fondo, una sintonia di valori e di progetto. Oggi, insieme ai nostri alleati, noi non siamo più solo l’opposizione alla Giunta Galan. Siamo l’alternativa al progetto leghista.
In un’agenda per il futuro del Veneto devono trovare necessariamente spazio numerose azioni di governo. Io però vorrei concentrarmi su tre priorità. Tre punti fermi di cui il Pd deve farsi garante. Tre discriminanti da cui partire anche per condividere questo progetto con altre forze politiche.
La prima priorità è ripartire dal lavoro. L’identità del Veneto si basa sul lavoro. E per questo è in pericolo.
Perché se va in crisi la spina dorsale del nostro sistema produttivo, quella delle piccole e medie imprese manifatturiere, è tutta la nostra regione a risentirne.
Occorre tamponare l’emergenza:
- Con un piano di piccole opere nei comuni da cantierare rapidamente, per rilanciare l’economia locale
- Ma anche con stanziamenti più decisi da parte della Regione.
- Gli strumenti già esistenti vanno potenziati. La Regione può mettere a disposizione risorse: per sostenere la Cassa Integrazione, ma anche per finanziare linee di credito verso le imprese in difficoltà.
- La Regione deve anche tutelare quei lavoratori su cui incombe lo spettro della chiusura degli stabilimenti. Anche facendosi valere di più col Governo di Roma.
- Ma altri strumenti di protezione vanno inventati ed estesi a chi ne è privo. Giovani precari, ma anche le partite iva colpite dalla crisi.
Serve un welfare moderno, se non vogliamo che la crisi scarichi i suoi costi sulle famiglie. La prima difesa della famiglia, per chi crede nella sua centralità, è proprio questa. Ma al di là dell’emergenza, è un diverso e più solido modello di sviluppo che va costruito. Insieme al mondo produttivo, non contro di esso.
- C’è una storia della nostra regione che non può essere abbandonata. È la storia del nostro tessuto industriale. Questo è il motore della nostra ricchezza. Che non può essere sostituito da servizi a basso valore aggiunto o dalla moltiplicazione di qualche centro commerciale.
- Oggi l’impresa esprime delle domande diverse da quelle del passato. Ha bisogno del supporto di servizi infrastrutturali efficienti, di un terziario di qualità. Questo richiede un dialogo maggiore e più stretto tra impresa e università e tra le diverse università del Veneto. Un Politecnico Veneto, che sia polmone di ricerca e formazione per una delle aree a maggiore concentrazione di industria e innovazione d’Europa.
Anche le nostre Pmi hanno delle sfide da raccogliere. La prima è quella del consolidamento: sotto il profilo delle dimensioni, ma anche della capitalizzazione. Anche qui, la Regione deve riprendere un ruolo, a partire dagli strumenti esistenti, come Veneto Sviluppo, che in questi anni sono rimasti paralizzati dalle divisioni interne al centrodestra.
La seconda è quella dell’innovazione. In un’economia globalizzata, non si regge a lungo se non si fa uno scatto di qualità verso fasce produttive a maggior valore aggiunto. Oggi uno scatto da fare è quello verso l’economia verde. Perché il business del futuro è quello del risparmio energetico, delle fonti alternative, della ricerca verso forme più equilibrate di consumo del territorio.
Un territorio che va valorizzato e difeso. Anche come capitale per il nostro turismo. Guai a chi pensa di poterlo saccheggiare, una volta passate le elezioni, collocando in una delle aree più delicate del nostro ambiente nientemeno che una centrale nucleare.
E su questo voglio dire una cosa a Giancarlo Galan: non si governa con i comunicati stampa, ma con gli atti amministrativi. Se è contrario al nucleare si attivi velocemente come hanno fatto altri presidenti di Regione. Non si può dire un giorno che sì, nel Polesine può starci bene una centrale e poi, solo per opportunismo elettorale, dire che no, che il Veneto non è il posto giusto. Ci vuole coerenza. E rispetto per i territori. Quello che a questo governo e a questa giunta regionale, purtroppo, è mancato troppe volte. Come abbiamo visto anche con la legge sull’acqua, un’intrusione pericolosa del governo nell’autonomia gestionale degli enti locali.
E lo stesso vale per il nostro valoroso ministro dell’Agricoltura, Luca Zaia. È contrario al nucleare in Veneto? Usi il suo peso come ministro veneto, se quel ruolo vale qualcosa.
La seconda priorità, io credo, è quella di costruire un pacchetto convivenza. Senza meccanismi efficienti di convivenza, una comunità non sta in piedi. La convivenza richiede regole chiare e condivise, rispetto tra le parti, spirito di appartenenza ad un destino comune.
Serve un pacchetto convivenza per tenere in equilibrio i bisogni delle fasce più anziane della popolazione, destinati a crescere, con quelli delle nuove generazioni. E qui il ritardo della Regione è grave. Pesa l’assenza di un Piano socio sanitario regionale. E pesa l’approccio lottizzatorio al mondo stesso della sanità. Dove la fedeltà politica prevale a volte persino sulla competenza.
Serve un cambio di rotta. Con una razionalizzazione della spesa, certamente, ma anche con una diversa filosofia di fondo: la salute, così come l’istruzione, è un bene pubblico che non può essere affidato al mercato. E nemmeno all’appropriazione partitica.
E sopratutto la salute è un diritto universale. Sbaglia chi propone di vincolare le risorse per l’assistenza a criteri come la residenza. Ed è stata sacrosanta la battaglia combattuta per impedire che questo accadesse sul fondo per la non autosufficienza. Una vittoria dei nostri consiglieri regionali. E un esempio di come, sui temi concreti, le convergenze possono essere anche politicamente insolite.
Ma la sfida della convivenza, in una regione che ha visto moltiplicarsi la presenza di stranieri in pochissimi anni, è anche quella del rapporto tra vecchi e nuovi veneti. Serve un patto di cittadinanza: accoglienza di chi arriva tra noi, rispetto delle diversità, solidarietà verso chi ha bisogno. Ma allo stesso tempo, chiarezza sulle regole, coraggio sui diritti e fermezza sui doveri.
Ormai sono maturi i tempi per una legge sulla cittadinanza basata sullo ius solii. Così come sono maturi i tempi per estendere il diritto di voto agli stranieri nelle elezioni amministrative. Chi lavora da noi, pagando le tasse, ha il diritto di poter incidere sulla rappresentanza. Un Veneto che chiudesse gli occhi di fronte a questi problemi, sarebbe condannato a subirli, anziché risolverli.
Infine, c’è un terzo punto fermo di cui dobbiamo essere garanti. È quello del federalismo. Noi dobbiamo essere promotori di un federalismo diverso da quello della Lega. Un federalismo di fatti e non di parole. Un federalismo del merito e delle responsabilità. Non uso queste parole a caso. Se in questi anni la spesa del governo centrale fosse stata contenuta come hanno fatto i Comuni con la loro, l’Italia non avrebbe aumentato come invece ha fatto il suo debito pubblico.
I Comuni sono stati in questi anni una trincea di rigore e di responsabilità. Ma oggi, continuare a penalizzarli come sta facendo il governo di Bossi e Berlusconi, è il modo migliore per aggravare la solitudine di imprese, famiglie e individui bisognosi. Dobbiamo essere vicini ai Sindaci della nostra regione, anche quelli di colore politico diverso dal nostro. Quando per l’ennesima volta il Comune di Roma premiato con finanziamenti a pioggia, viene da chiedersi se non abbia ragione chi chiede che il Veneto sia trasformato in una regione a statuto speciale.
Voglio esprimere la mia solidarietà, a nome del Pd, ai Sindaci che sono scesi a Roma due giorni fa. E tutto il mio dissenso verso il comportamento adottato dal presidente dell’Anci Veneto Dal Negro. Che dovrebbe farsi carico delle domande dei comuni, non degli ordini della sua scuderia di partito. La Regione Veneto dovrebbe sostenere i suoi Sindaci con più forza. E combattere insieme a loro la battaglia per un federalismo del merito. Rispettoso delle differenze. Anche all’interno della nostra Regione, dove un’attenzione speciale dovrà essere data alle zone di confine e di montagna.
La trincea di ogni nuova politica è sul territorio.
È lì che si costruiscono le risposte alla crisi economica e sociale. È lì che si sperimentano le forme efficaci della convivenza. È lì che si costruiscono le strategie per uno sviluppo duraturo. È lì che si costruiscono le azioni per ridurre i consumi energetici, promuovere le fonti alternative, incentivare le filiere dell’economia verde, potranno esserci mille vertici di Copenaghen, ma tocca ad ogni singola persona, ad ogni singolo comune, ad ogni singola provincia, ad ogni singola regione, fare da subito la propria parte.
Crisi economica, convivenza, federalismo. Sono tre fronti su cui il Veneto è di fronte a un bivio.
È su questi temi che si decide da che parte si sta. Ed è su queste priorità che siamo pronti a dialogare. Con chi ci sta. Non cerchiamo alleati da annettere, né partner subalterni. Cerchiamo forze pronte a condividere una sfida. E a diventarne protagonisti. Con pari dignità. Con chi condivide le nostre discriminanti sui temi della crisi, della solidarietà e del federalismo, siamo pronti a discutere. Anche sui meccanismi di scelta di un candidato. Noi abbiamo un metodo ce l’abbiamo: è quello delle primarie. La nostra carta d’identità, di cui siamo giustamente orgogliosi. E che credo andrebbe usato per un’ampia consultazione dei nostri iscritti sulla composizione delle liste per le regionali Ma sappiamo che quando si costruisce una coalizione, è la squadra che sceglie. Quindi la decisione non spetta solo a noi.
Molto è stato detto e scritto, in questi giorni, sul nostro rapporto con l’Udc. Anche su questo, è necessaria una parola di chiarezza. Sappiamo bene che, su temi per noi importanti, come quelli della solidarietà e del welfare, con l’Udc c’è una sintonia di sensibilità e a volte anche di valori.
Valori e sensibilità che non hanno spazio nel modello di Veneto pensato dalla Lega.
Un modello che sfiora il razzismo e che non stenta a strumentalizzare i simboli della fede, salvo poi attaccare i pastori della Chiesa cattolica, violando l’autonomia del loro magistero. In tempi difficili per la vita della nostra nazione, don Sturzo aveva rivolto il suo appello ai liberi e forti. Il coraggio di quell’appello serve anche in questa fase. Credo di non sbagliarmi a dire che l’Udc ne è consapevole.
Perché oggi ognuno ha la responsabilità delle sue scelte. E dipende anche dall’Udc se il Veneto sarà consegnato alla Lega. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. Insieme a chi sarà pronto a fare altrettanto. Il Veneto non merita nulla di meno che questo.
*segretario regionale del Partito Democratico Veneto