martedì 29 giugno 2010

Le Regioni contro la manovra

I governatori: "Restituiremo al governo le nostre competenze. Errani: “l'insieme delle competenze regionali valgono oltre 3 miliardi di euro mentre il taglio previsto nel 2011 è di oltre 4 miliardi di euro"


“Le Regioni sono pronte a restituire le competenze relative al decreto legislativo 112 Bassanini allo Stato”. A nome di tutti i governatori, così il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Vasco Errani ha annunciato la forte protesta delle amministrazioni locali contro la manovra dei tagli voluta dal governo.

Queste le competenze che verrebbero restituite allo Stato: il trasporto pubblico locale, il mercato del lavoro, la polizia amministrativa, gli incentivi alle imprese, la Protezione Civile, il servizio maregrafico, il demanio idrico, l'energia e le miniere, i trasporti, gli invalidi civili, la salute, le opere pubbliche, l'agricoltura, la viabilità e l'ambiente.

"Tutto questo perché - ha spiegato Errani - l'insieme di queste competenze valgono oltre 3 miliardi di euro mentre il taglio previsto nel 2011 è di oltre 4 miliardi di euro".

La decisione finale verrà presa nella prossima convocazione straordinaria della Conferenza Stato-Regioni. “Chiederemo un incontro al premier Berlusconi e ai presidenti di Camera e Senato per illustrare la nostra posizione. Poi informeremo il presidente della Repubblica".

Colpisce il fatto che la protesta sia unanime, senza nessun distinguo di carattere politico. "Di fronte ad un ministero del tesoro così virtuoso secondo il quale è possibile garantire il trasporto pubblico anche con questi tagli, noi ci leviamo il cappello e diciamo: caro governo riprenditi quelle competenze stabilite dalle Bassanini". A parlare è stato il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni che di certo non si può definire legato all'opposizione. "Giudichiamo irricevibile - ha affermato Formigoni - questa pretesa del ministero delle finanze di tagliare in maniera indiscriminata i fondi per le regioni e quindi di tagliare i servizi che le regioni non sarebbero più in grado di garantire ai cittadini. Per questo chiediamo che il governo si riprenda la gestione diretta di queste funzioni. Sia quindi il governo a gestire il trasporto pubblico locale, gli aiuti alle imprese e alle famiglie poichè il ministero sembra convinto che treni, autobus e fondi per le imprese si possano garantire decurtando di oltre un terzo le risorse". "Il nostro - ha aggiunto - è un gesto di grande trasparenza e va nella direzione di formulare delle proposte rispettando i saldi. Il ministero è convinto che si può gestire meglio, lo faccia ma noi siamo convinti che questa manovra se rimanesse inalterata provocherebbe tagli ai servizi insostenibili".

Per Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd, “il governo ha trovato nelle regioni il capro espiatorio perfetto su cui scaricare accuse di ogni genere. Si faccia chiarezza come chiede Vasco Errani in modo da togliere al ministro dell’Economia ogni pretesto per non assumersi la responsabilità dei tanti errori compiuti in questi due anni. L’irremovibilità di Tremonti verrà pagata dai cittadini in termini di riduzione dei servizi senza avere, peraltro, benefici reali per la nostra economia. Soprattutto sarà archiviata qualsiasi ipotesi di assetto federale. Stupisce, in questo dibattito, l’assenza della Lega che da campione del federalismo, si ritrova ad assistere impotente a quanto accade, ingabbiata nelle sue contraddizioni di partito sempre meno di rottura”.

Claudio Martini, responsabile politiche del territorio Pd, “la protesta delle regioni è sacrosanta al pari della richiesta di un confronto vero con il Governo che fa l’opposto di ciò che chiede la domanda federale. E’ insostenibile che la manovra pesi prevalentemente sulle regioni, un unicum in Europa dove anche chi fa tagli più duri dei nostri non incide così duramente sui poteri decentrati. In questo scenario l’idea di una verifica seria e non demagogica sulla spesa delle regioni è giusta e
doverosa. Basta con le provocazioni che fanno delle regioni l’entità ove si annida lo spreco. Fare chiarezza è nell’interesse di tutti. Si faccia una verifica che accerti come, dove e chi spende al fine di colpire le vere inadempienze. E’ inverosimile che Tremonti sostenga che nei ministeri si
risparmia e che ora tocchi alle regioni proprio quando nella sua relazione tecnica si evidenzia esattamente l’opposto: le regioni risparmiano e lo stato spende”.

Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati del PD commentando la decisione della conferenza dei governatori, ha dichiarato che “con la decisione delle Regioni di restituire allo Stato le competenze affidate al territorio con il federalismo amministrativo, la cosiddetta legge Bassanini che ha davvero aperto la strada del decentramento, la verità viene definitivamente a galla. L’era della propaganda federalista e della verità centralista realizzata da questo governo Pdl-Lega è finita”.

“Impossibilitati a continuare a gestire per i tagli di questa manovra il trasporto locale, il mercato del lavoro, la viabilità, la protezione civile, gli incentivi, alle imprese, i presidenti delle Regioni ne restituiscono allo Stato la responsabilità. Fine del Federalismo e fine delle bugie - conclude Ventura - perché le mani nelle tasche dei cittadini stanno per essere messe e pesantemente e l’unica cosa che vuole fare il governo è scaricarne sugli Enti locali la responsabilità”.

domenica 20 giugno 2010

M.Grazia Giacomazzi 20 giugno 2010

IL PD CHE VORREI……

Alcuni appunti in ordine sparso per proseguire il confronto in corso nel nostro circolo:

1. Penso che uno dei compiti che la politica deve assumersi, forse il più essenziale culturalmente, vale a dire civilmente, sia quello di cercare declinazioni differenti da quelle del diffuso cinismo sociale (individuo senza relazione con la comunità) e del fondamentalismo nostalgico (identità rigida, rifiuto dell’Altro) con cui siamo ripetutamente messi a confronto.

Nella società globalizzata e massificata il cittadino (concetto su cui occorrerebbe riflettere e su cui la lega, e in maniera distorta, ha costruito la sua difesa identitaria) si sente smarrito, confuso, mortificato, abbandonato. Privo di orientamento, esposto a nuove forme di disgregazione sociale e a nuove povertà che talvolta lo privano di quella dignità che una società civile dovrebbe invece garantire. In questi ultimi decenni infatti lo spazio della politica si è progressivamente ridotto. La politica in questi decenni ha continuato ad assicurare all’economia –soprattutto alla finanza- un’autonomia sostanziale i cui effetti disastrosi sono ora riconosciuti da tutti.

Mentre intolleranze religiose e paventati conflitti di civiltà minacciano le società aperte e democratiche; mentre l’avidità e il delirio di onnipotenza di pochi potenti della finanza scatenano una pandemia economica che travolge l’intero sistema del capitalismo occidentale, mettendo a repentaglio il futuro di tutti noi, come possiamo rispondere, arginare, limitare, le conseguenze di una deriva tanto caotica quanto senza precedenti?

Quali aspirazioni, quale “visione” dei legami sociali vogliamo incentivare in questa situazione?

Occorre rilanciare l’attualità della riflessione teorica nei vari campi dell’intervento politico, perché solo questo può aiutarci a comprendere meglio i mutamenti sociali attuali e può aiutarci a individuare quelle buone pratiche e quelle risposte capaci di rendere il PD una realtà irrinunciabile per la società italiana (e magari anche europea).

2. La somma dei due partiti fondatori (Ds, Margherita) non mi è mai sembrata sufficiente alla creazione di una nuova cultura politica se non altro perché entrambi, anche se per motivi storici contrari (che infatti hanno pesato e pesano ancora moltissimo), condividono la stessa logica generalizzante (es. DC/famiglia, PCI/classe) che tende a trascurare quei principi di rispetto dei diritti civili e individuali che, non solo in Italia, sono stati sempre salvaguardati dalla tradizione liberale nelle sue varie manifestazioni.

D’accordo la DC e il PCI non esistono più da tempo e non voglio certo ignorare un ventennio di storia del nostro Paese, ma la matrice ideologica di questi due filoni di pensiero di fatto emerge tutte le volte che la società cosiddetta civile reclama spazi di riconoscimento e di cambiamento. Penso alla legge sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico, sui dico ecc. Le posizioni del PD su questi temi hanno contribuito a chiarire le idee ai cittadini?

3. La fusione dei due partiti come iniziale scelta strategica dei vertici dovrebbe potersi articolare in modo capillare, orizzontale, con proposte concrete (formative) per potersi avvalere non solo del consenso dei cittadini (necessario, ma non sufficiente), ma della loro fattiva partecipazione.

Per questo ad esempio è fondamentale avere uno Statuto realmente democratico….il quale limiterebbe la tendenza delle diverse componenti storiche del PD ad agire per mantenere interessi che nulla hanno a che fare con il bene comune.

Diversamente il partito potrebbe trovarsi limitato –e di fatto talvolta lo è- alla gestione dei gruppi di opposizione interna perdendo di vista l’essenziale della sua funzione. Con grande dispendio di energia e con il perpetuarsi di situazioni che lasciano i più insoddisfatti, insofferenti e –condizione peggiore- indifferenti (c’è una generale disaffezione alla politica con conseguente affermazione di un populismo che, con la sua propaganda, si rivolge non al cittadino ma al soggetto qualunque della pubblicità).

3. Che in un partito esistano differenti visioni è un segno di evidente libertà politica, almeno fino a quando queste visioni riflettono reali differenze di orientamento politico, vale a dire di pensiero. Ma quando le idee intervengono solo per mascherare l’adesione a questo o quel gruppo di interesse – come succede quando prevale la logica correntizia – che valore possono avere quelle idee?

Vorrei fare un’altra osservazione. Marino non ha voluto la sua corrente, esigenza sacrosanta, ma cosa è successo a Marino? In una struttura fondata sulla logica correntizia come poteva –o può- Marino trovare uno spazio sufficiente?

Ma al di là di Marino, come la tensione etica di chiunque può trovare spazio nel discorso di un partito che agisce nella stessa logica che vuole contrastare?

Chiunque s’ impegni -ad un qualche livello- con un compito che lo renda responsabile nei confronti di un altro, conosce la difficoltà del passaggio dalla teoria alla prassi, dalla grammatica alla pratica. Ma se le regole del gioco sono in contraddizione con il concetto e la funzione della regola, che gioco ne uscirà?

4.Occorre infatti ricostruire interamente il ruolo della politica quale assunzione di responsabilità verso la società, anche per guidarla eventualmente, ma a partire da criteri sempre esplicitabili e comprensibili. Il PD in questa ricostruzione può avere un ruolo decisivo. E probabilmente decidere realmente a partire dalle strutture simboliche e dalle logiche istituzionali di funzionamento che saprà mettere in atto.

Esiste nel PD lo spazio per poter proporre liberamente delle idee?

Un partito che si vuole laico non può mancare di questo spazio e dei meccanismi istituzionali che assicurino l’efficacia d’una discussione sempre aperta e costruttiva.

Si promuova l’azione politica di base, nel circolo, sviluppando contatti personali, reti di persone che si educano alla partecipazione e alla responsabilità civile. Tutti questi obiettivi si raggiungono con nuovi metodi, vera democrazia interna, senza che gli accordi tra i dirigenti del partito siano la scusa per imporre appelli all’unità che soffocano la libertà d’espressione.

La capacità di mediare i conflitti è un’arte complessa, ma è anche impossibile?

5. Oltre ai due poli originari e costitutivi del PD è auspicabile prenda sempre più vita un terzo polo che favorisca l’estendersi delle adesioni al progetto del PD di altre tradizioni, laiche e liberali. E’essenziale accogliere e rilanciare alcuni principi del pensiero liberale (il quale afferma l’esistenza di diritti fondamentali e inviolabili fondati sull’individuo) e riformista (che assicuri che l’organizzazione dello Stato corrisponda alle esigenze della società civile –e certo non il contrario). Le matrici dell’azione politica non vanno ricercate nell’ideologia (ossia su un sistema posto a priori a cui tutto si deve uniformare. Pensiero ottocentesco valido fino alla caduta del muro di Berlino) né tanto meno nella logica del compromesso al fine delle tattiche elettorali, ma vanno ricercate su quanto c’è di essenziale nella nostra tradizione.

In quanto occidentali (eredi della democrazia ateniese, del diritto romano, della civiltà cristiana ed infine dell’illuminismo) siamo necessariamente difensori delle libertà individuali, cioè del diritto di ciascuno di decidere quel che è meglio per sé nel rispetto assoluto della libertà degli altri. Questo vero e proprio principio di democrazia è davvero formativo se può sperimentarsi nella concreta relazione tra individui reali, che si conoscono e partecipano alla realizzazione di obiettivi comuni. E’ questa la società civile, che non è la società tout-court anonima e astratta del consumatore di massa, impegnata a trovare uno spazio di confronto e uno spazio di azione tra il localismo e la globalizzazione. Per questo la libertà di espressione deve essere garantita all’interno del PD, senza infingimenti, per promuovere spazi di apprendimento ed esperienza concreta a sostegno di coloro che sono chiamati ad affrontare la complessità delle nuove sfide.

Solo rispettando l’individualità degli altri s’impara a rispettare anche la propria libertà individuale, limitandola. Continuo a pensare, a credere, che l’individuo ha un peso determinante nella articolazione dei discorsi e quindi nella organizzazione delle strutture simboliche. Ma questo individuo deve formarsi e auto formarsi alla convivenza, deve riconoscere quando mettersi tra parentesi, deve essere capace di trascendere la sua posizione per favorire il bene comune. L’individuo deve essere educato a non essere individualista.

Un partito che si vuole libero e democratico –come il nostro partito deve essere- non ha anche questa funzione educativo/formativa?

6. Ciò che naturalmente è più necessario è il coraggio: pensare creativamente e proporre nuovi modelli riformisti della società, per avvicinare i giovani alla politica e per avere il coraggio di proporre nuove logiche e quindi una nuova classe dirigente.

Dobbiamo comunicare e far capire ai giovani che cambiare si può e quindi si deve (testimoniarlo con le proprie scelte non solo con i propri discorsi), e dobbiamo dare ai cittadini una ragione chiara per partecipare alle attività di un soggetto politico che sa offrire, oltre a corrette interpretazioni, delle soluzioni fondate.

Il PD deve far ritrovare a chiunque lo desideri l’entusiasmo dell’impegno e dell’azione e deve essere capace di sostenere: le individualità, i diritti individuali, i diritti civili, il diritto al lavoro, il diritto a una dignitosa retribuzione, l’equa tassazione, le pari opportunità, il rispetto per l’ambiente… in altri termini una prospettiva di futuro.

Ci rendiamo conto che si è invertita la freccia apparentemente unidirezionale del progresso? I giovani, a differenza di quanto è accaduto a noi e ai nostri padri, non hanno nessuna garanzia di stare meglio della generazione precedente. Chi si deve far carico di questo dato che non è solo politico ma anche esistenziale?

Occorre avere fiducia nelle giovani generazioni perché sarà loro compito adattare quei principi di libertà e democrazia ben sperimentati della nostra tradizione alle nuove realtà cogliendone le potenzialità positive e riattualizzandoli nel mondo globalizzato. La globalizzazione deve essere per loro anche una opportunità e non rappresentare, o peggio essere, solamente l’esperienza di un mondo più precario e più insicuro.

7. Il PD che vorrei è una libera associazione di cittadini capaci di esprime una nuova cultura della cittadinanza. Una nuova cultura della convivenza dove emergesse con sufficiente chiarezza che impostare eticamente il proprio agire non è semplicemente corretto ma anche vantaggioso. Vorrei un partito che non continuasse ad essere appesantito e appiattito nella gestione dell’esistente, ma che fosse capace di suscitare entusiasmo e accrescimento nelle persone che partecipano al suo successo, dove la possibilità di azione politica fosse ampia e desse al cittadino la consapevolezza di poter incidere, poter cambiare. Vorrei un partito dove i vertici riconoscessero, con i necessari limiti, l’importanza imprescindibile di nuove forme di democrazia diretta anche in un sistema di democrazia rappresentativa. Vorrei un partito che partisse dalla base come criterio d’impostazione dell’intera struttura e non solo quando è conveniente, che riconoscesse l’importanza dei circoli. Vorrei un partito che riconoscesse ai circoli l’essenziale necessità di una loro autonomia economica (per promuovere iniziative) senza che questo suscitasse paranoiche sospettosità ma relazioni di fiducia. E’ impegnativo ma la fiducia va sempre reciprocamente verificata, anche quella che la base ripone ai suoi vertici.

Vorrei un partito capace di operare con discernimento sul campo economico, senza pregiudizi.

Vorrei un partito capace di salvaguardare la società civile e che riconoscesse che la fonte del diritto è l’individuo e non lo Stato, la Chiesa o la Nazione (quando si accetta di fondare il diritto su qualunque autorità si giunge sempre ad un vicolo cieco: statalismo, teocrazia, nazionalismo).

Promuovere l’individuo non è promuovere l’individualismo, così come non è giusto chi ascolta la legge ma è nel giusto chi pratica la legge (e a volte è nel giusto chi trasgredisce la legge quando questa è illegittima).

M. Grazia Giacomazzi

venerdì 18 giugno 2010

Interpellanza ex internati - Baldassa

Al Sig. Sindaco

del Comune di Castelfranco Veneto


INTERPELLANZA


Il sottoscritto Baldassa Michele, consigliere comunale appartenente al gruppo consiliare “Partito Democratico – Lista Sartor”,

PREMESSO

  • che il giorno mercoledì 16 giugno 2010 in Treviso, presso il Palazzo dei Trecento, il prefetto Vittorio Capocelli ha consegnato la medaglia d'onore, concessa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a 62 ex deportati o internati durante la seconda guerra mondiale ovvero ai loro familiari;

  • che, tra questi, la medaglia d'onore è stata ricevuta da 7 nostri concittadini, dei quali 3 sono tuttora in vita;

  • che gli stessi non hanno ricevuto la stessa onorificenza dalle mani degli Amministratori del nostro Comune o dai loro delegati, in quanto nessun rappresentante della nostra Amministrazione era presente alla cerimonia, a differenza di quanto accaduto in analoghe occasioni anche del recente passato,

tutto ciò premesso,

INTERPELLA

il signor Sindaco per conoscere se e quali iniziative l'Amministrazione intenda intraprendere, per il rispetto dovuto ai suddetti nostri concittadini ex deportati o internati, per rimediare a tale mancanza e, precisamente, se ritenga di convocarli nella Casa comunale per un doveroso e personale riconoscimento.


Il sottoscritto chiede che la presente interpellanza venga iscritta all'ordine del giorno del prossimo Consiglio Comunale.


Castelfranco Veneto, lì 18 giugno 2010.


Michele Baldassa


Interpellanza colombi - Sartoretto

Al Sig. Sindaco

del Comune di Castelfranco Veneto


INTERPELLANZA

Il sottoscritto Sebastiano Sartoretto Consigliere Comunale appartenente al gruppo Consiliare “Partito Democratico – Lista Sartor “, rilevato:

- che permane un grave stato di disagio in tutto il Centro Storico della Città dovuto ad una incontrollata invasione di colombi che, oltre a lordare davanzali e poggioli dei palazzi, marciapiedi e auto in sosta, costituiscono una grave insidia per l’igiene pubblica e quindi per la salute dei cittadini;

- che tale problema è stato sollevato anche da numerosi cittadini all’Amministrazione Comunale precedente;

- che vano si è rivelato il tentativo posto in essere dalla precedente Amministrazione Comunale di risolvere il problema del contenimento della presenza dei colombi mediante l’impiego di falchi;

- che il problema tuttora permane e che non è tollerabile il perdurare di questa situazione senza un immediato intervento da parte dell’Amministrazione Comunale volto a porre un qualche rimedio.

Tutto quanto sopra premesso, il sottoscritto Consigliere Comunale chiede che il Sindaco riferisca in Consiglio Comunale sulle modalità che intende adottare e in quali tempi, che di necessità devono essere molto brevi, per risolvere il problema che vede danneggiati molti cittadini di tutto il Centro di Castelfranco, problema che presenta, altresì, rilevanti aspetti di igiene pubblica.

A tal proposito il sottoscritto Consigliere Comunale chiede che il Sindaco voglia intervenire con i competenti Uffici dell’Unità Sanitaria Locale n° 8 puntualizzando in maniera ferma che debbono dare la loro collaborazione per risolvere il problema relativo al proliferare incontrollato dei colombi essendovi evidenti problemi di natura igienico-sanitaria soprattutto durante l’estate, d’altra parte secondo le informazioni assunte dal sottoscritto in altri Comuni, ad esempio Venezia, con la collaborazione dei competenti Uffici dell’Unità Sanitaria Locale si è affrontato il problema e proceduto con piani di cattura mirati che hanno certamente dato dei risultati.

Il sottoscritto Consigliere chiede che l’interpellanza venga iscritta all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Comunale.

Castelfranco Veneto lì, 07/06/2010

Sebastiano Sartoretto

Interpellanza "Corte delle belle donne" - Sartoretto

Al Sig. Sindaco

del Comune di Castelfranco Veneto


INTERPELLANZA

Il sottoscritto Sebastiano Sartoretto Consigliere Comunale appartenente al gruppo Consiliare “Partito Democratico – Lista Sartor”

PREMESSO

- che il Comune di Castelfranco Veneto con asta fissata in data 14/11/2007 ha alienato il compendio immobiliare denominato “Corte delle belle donne”;

- che l’aggiudicatario si assumeva precisi obblighi di procedere alla ristrutturazione e recupero del compendio immobiliare entro termini ben precisati;

-che pare essere stato presentato un progetto approvato dal Comune di Castelfranco Veneto ma bocciato dalla competente Sovrintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia;

-che è interesse della Città che un compendio di tali dimensioni, posto all’interno della città murata, sia quanto prima recuperato atteso il pesante stato di degrado in cui versa.

- che il sottoscritto ha portato, in altre occasioni, nella passata tornata amministrativa, questo argomento all’attenzione del Consiglio Comunale con interrogazioni-interpellanze al Sindaco sul medesimo argomento.

Tutto quanto sopra premesso, il sottoscritto Consigliere Comunale

INTERPELLA

il Sindaco per sapere cosa intende fare l’Amministrazione Comunale per attivare il privato a presentare in tempi brevi un progetto compatibile con le esigenze espresse dalla Sovrintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e tanto anche in ossequio agli obblighi che la Società acquirente si è assunta aggiudicandosi l’immobile all’asta effettuata dal Comune.

Il sottoscritto Consigliere chiede, in definitiva, di conoscere puntualmente se l’Amministrazione Comunale intende perseguire in maniera precisa l’obbiettivo della ristrutturazione del compendio immobiliare richiamando la Società aggiudicataria ai propri obblighi ed evitando così che in lunghe diatribe con la Sovrintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia si perdano ancora ulteriori anni prima di vedere il restauro di una parte importante del Centro Storico cittadino.

Il sottoscritto Consigliere chiede che l’interpellanza venga iscritta all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Comunale.

Castelfranco Veneto lì, 07/06/2010

Sebastiano Sartoretto


Natalia Pantano 18 giugno 2010

Quale futuro per il PD – “Il PD che vorrei”

In questa congiuntura, nella quale si rilevano segni di instabilità della politica berlusconiana e nella quale l’elemento “crisi economica” gioca un ruolo primario, è davvero auspicabile che il PD si costituisca come polo di pensiero “altro” rispetto a quello prevalente (e dominante), nonché come promotore di azioni politiche che lo traducano nella realtà.
La sfida con cui ci si deve confrontare è la complessità del vivere odierno, che non può essere semplificata riconducendola a forme ideologiche rigide. Piuttosto, l’atteggiamento da assumere per dare lettura di quanto accade è a mio avviso quello dell’apertura e della flessibilità, a favore di una conoscenza in itinere, disposta a rimodellarsi mano a mano che nuove informazioni si aggiungono.
Per questo motivo, vorrei che nel PD, quantomeno in quello castellano, si attivasse un progetto di “formazione permanente” trasversale ai vari saperi e che includa apporti provenienti tanto da discipline teoriche quanto da scienze applicate.
Nell’ottica dell’apertura, il PD dovrebbe poi relazionarsi con associazioni/nuclei di aggregazione presenti sul territorio, creando con essi una rete di scambio e, laddove gli intenti siano condivisi, organizzando in collaborazione iniziative rivolte ai cittadini, ampliando così le proprie possibilità di azione. Mi riferisco al mondo ricco del volontariato, ma anche ad altri circoli PD…
La struttura della forma – partito deve cambiare, per creare/favorire una nuova dialettica tra potere e partecipazione. Questo prima di tutto a livello locale, di circolo, per poi influenzare dal basso le scelte di chi abbiamo delegato a rappresentarci ai livelli via via più alti.
Ci si deve interrogare sul come.
Vanno trovate forme per la partecipazione, considerando il dato di fatto che le persone hanno smesso di partecipare (per sfiducia, perché incastrate nella routine e assorbite dalla quotidiana “lotta per la sopravvivenza”…). Mi riferisco ad esempio a strumenti quali una convocazione periodica dell’assemblea degli iscritti con appuntamenti dichiarati in un calendario annuale; a passaggi di informazioni sistematici ( anche via mail, blog), alla partecipazione alle riunioni di coordinamento…
Vanno valorizzate le competenze degli iscritti, chiamandoli a contribuire alla vita del partito. C’è bisogno di richiamare i giovani alla responsabilità civile, appassionandoli ai grandi temi e valori umani e all’impegno. La loro creatività ed energia, il loro approccio/punto di vista alla/sulla realtà sono preziosi. Contribuirebbero, inoltre, a reperire/inventare modalità comunicative – linguaggi più efficaci, avendo presa emotiva e immediatezza, per diffondere le istanze del PD.
Vanno ripensati gli assetti economici, sia rivisitandone la gestione interna al PD, sia trovando canali per reperire fondi/finanziamenti per le varie iniziative. Vanno, forse (non sono sufficientemente informata), ripensate le modalità delle nomine, in modo tale da garantire che chi viene eletto corrisponda effettivamente alle indicazioni degli iscritti.
Chi rappresenta gli iscritti deve essere messo nelle condizioni di operare rimanendo all’interno del ruolo che gli viene assegnato, senza eccederlo. Credo infatti che un partito che si definisce nella sostanza “Democratico” debba porre particolare attenzione alla questione della democrazia interna, garantendo il controllo dei personalismi e delle prese di potere; processi decisionali rispettosi delle istanze e delle posizioni dei più; l’informazione aggiornata agli iscritti sui temi, le scelte e le attività, e la promozione della partecipazione democratica attraverso incontri di discussione e confronto.

Natalia Pantano

Paul Zilio 18 giugno 2010

Il PD che vogliamo

Premessa.

I nostri principi, i valori rientrano nel nostro orizzonte, perciò non possiamo non pensare che i progetti o gli obiettivi che vorremmo realizzare non siano figli di questo orizzonte, ma attenzione cerchiamo di non barricarci e tirarci fuori per una presupposta superiorità morale, altrimenti diventerà difficile raggiungere consenso su quella base di elettorato che ci considera degli intellettualoidi snob.
Il lavoro in prospettiva (strategico) si dovrebbe sviluppare fortemente sulla partecipazione a partire dalla base e cioè dalle associazioni di volontariato e da tutti i settori produttivi più lungimiranti nell'offrire nuove opportunità: questo è lavoro culturale che richiede costanza, per riportare le persone nella politica attiva dalla quale si sono allontanate proprio perchè governate a lungo dall'antipolitica, che allontana dai problemi reali e dalle contraddizioni e fa accettare passivamente tutto quello che viene (fuga dalla realtà).
In questo senso si può diventare pragmatici nel momento in cui sappiamo dare delle risposte concrete e responsabili ai problemi di quella situazione (tattica), senza ricadere nella facile demagogia (figlia dell'ideologia).

Il dialogo deve essere aperto con tutti, anche e soprattutto con chi fa della semplice propaganda.

In questo senso diventa fondamentale il discorso dell’identità: quale profilo darsi ? Quali politiche adottare ? Quali sono le priorità ? Queste domande non trovano risposte se ci si chiude dentro il partito; ma sono domande fondamentali da cui dobbiamo partire o ripartire e se non ci si ripensa anche come forma partito si rischia di rimanere fermi sui blocchi di partenza. Sono troppi ormai i falsi movimenti. Le oscillazioni, che rinviano continuamente a valori importanti sicuramente, ma ormai vuoti e sempre troppo pieni di retorica, e a vaghe prospettive di futuro liberista. La nostra politica deve trovare nuovi contenuti su cui muoversi.

Se il processo decisionale parte dalla base e dai circoli può dare davvero delle risposte anche immediate a ciò che ci circonda. Prima però ci deve essere un lavoro di elaborazione per un progetto a partire appunto dall’idea d’identità; e io dico: partecipare davvero democraticamente è il primo grande vero passo verso un effettivo consenso che, ripeto, non può che partire dalla base. I circoli, la base è la conditio sine qua non da cui qualsiasi apparato non può prescindere.

Ci sarebbero tantissime cose da dire perché la situazione in cui ci troviamo a livello nazionale e internazionale è assai grave. L’economia ci presenta ogni giorno il suo conto.

Non facciamoci prendere dal panico: nel senso che spesso la paura viene cavalcata con spregiudicatezza da gruppi politici i quali strumentalizzano con scaltrezza la situazione ottenendo un consenso facile, e almeno sembra, sicuro. E’ chiaro che, da un punto di vista psicologico e utilitaristico, la persona comune si aggrappa a ciò che gli è più familiare e sicuro. La famosa sicurezza.

In questa situazione io credo che un partito o associazione debba essere disponibile ad essere protagonista e a farsi interprete di un disagio sociale crescente. Diventa perciò fondamentale partecipare e fare parte di quei gruppi e associazioni che cercano di trovare delle soluzioni rispetto al degrado presente; in questo senso si è protagonisti e perciò attivi per interpretare la realtà per cambiarla.

1) Credo sia importante partire da un punto di vista che si debba liberare da tutte quelle scorie che ci vincolano ad una visione e a uno stile legato, anche troppo, al nostro passato e vissuto; dobbiamo considerare il PD non come un partito di reduci e di ex appartenenti a vecchie logiche partitiche ma come un partito davvero nuovo e innovativo (qualcuno ha parlato di laboratorio, anche in questo senso).

Che cosa s’intende per nuovo ? Abbandonare la nostra storia e memoria precedente? No. I percorsi segnati dalla storia precedente dovrebbero caso mai diventare occasione di aprirne degli altri, invece troppo spesso sono diventati sentieri che hanno creato delle chiusure: una vera apertura presuppone di togliere ogni pregiudiziale e di ascoltare davvero anche opinioni che troppo spesso vengono sottovalutate. Nessun avventurismo ma scendere qualche volta dalla cattedra, dall’alto del proprio sapere e della propria troppo esibita integrità, potrebbe renderci più credibili anche agli occhi di chi ci ha sempre guardato con sospetto (comunisti, non hanno mai voluto veramente governare, snob, saccenti ma non conoscono la cultura del fare, ecc…).

Perciò dobbiamo essere coraggiosi nel proporre delle alternative vere, realistiche. Ma solo se conosciamo bene ciò di cui parliamo o trattiamo possiamo essere incisivi. Hanno ragione i consiglieri quando affermano che bisogna sapere stimare un bilancio e quant’altro, ma è anche vero che se non c’è informazione e vera collaborazione quella conoscenza rimane chiusa all’interno di un ristretto numero di persone.

L’informazione trasparente era uno dei nostri slogan in campagna elettorale. Sappiamo quanto questo sia importante .

Tornare alla politica vera dunque dopo ormai 15 anni di antipolitica, in cui si sono riciclati apparati che nonostante il bipolarismo hanno mantenuto uno status quo che ha favorito solo Berlusconi e il partito ora più vecchio della seconda Repubblica, ovvero la Lega.

Ma purtroppo qualcosa è cambiato; è cambiata la società sempre più legata al proprio “particolare”, sempre più lontana dalla vera vita politica (il numero dei non votanti sta aumentando sempre di più); è anche vero che l’impegno di ogni famiglia è diventato sempre più faticoso e difficile.

Però attenzione esistono molteplici realtà come i quartieri , le scuole, le associazioni eccetera che non hanno più voce politica e quindi decisionale: punto fondamentale, strategicamente fondamentale per recuperare dal basso le vere esigenze di componenti sociali che altrimenti rimangono senza voce e potere.

2) Autonomia - Indipendenza e Libertà: i circoli devono riappropriarsi di una vera autonomia anche nello stabilire uno statuto il più possibile vicino alle problematiche ed esigenze del circolo (politica orizzontale e dal basso). Maggiore autonomia per essere più propositivi e per mettere nelle condizioni gli apparati di ascoltarci con rispetto delle nostre istanze, il che significa essere più attenti alle realtà e meno invischiati in giochi di potere sempre più fine a se stessi. Sicuramente bisogna ripensare all’idea di rappresentanza degli iscritti, soprattutto per coloro che sono più disponibili a partecipare e a lavorare per lo sviluppo del partito, aggregando componenti esterne che non necessariamente debbano essere iscritte al partito. Questo non significa sminuire il lavoro degli iscritti, bensì vuol dire arricchire il partito, che diventa veramente veicolo di idee e progetti.

La possibilità per i circoli di confrontarsi rispetto alle idee e progetti ritenuti importanti per quell’area.

L’idea di poter sviluppare un partito federalista del nord (vedi Cacciari e Chiamparino), a mio avviso è fondamentale se vogliamo vincere. Rompere gli schemi di convenienza e correntizi che servono solo per garantire posti di potere. Garantire soprattutto un maggiore finanziamento ai circoli.

3) Federalismo: un vero federalismo non può non avere che come proprio orizzonte l’Europa. Può sembrare una contraddizione, ma solo valorizzando le componenti di un’area o territorio all’interno di un progetto di più largo respiro ci può essere futuro (pensiamo per esempio al problema dell’immigrazione, non è solo un problema italiano, non è solo un problema del nord-est ; è risolvibile assieme, se l’Europa lo vuole. Una politica dell’integrazione europea, a partire però dalle situazioni locali). Valorizzare un vero federalismo vuol dire valorizzare una migliore e più articolata idea di Europa.

4) Alcune considerazioni dettate dagli ultimi eventi: ho trovato davvero scandaloso che la direzione regionale abbia fatto mancare per ben due volte il numero legale per decidere la data limite di nuove iscrizioni per l’elettorato attivo dei prossimi congressi. E’ una questione fondamentale per il rinnovamento e l’apertura di tutto il partito, fondamentale per i circoli e va contro il nostro progetto di coalizione. Secondo me sarebbe urgente convocare al più presto l’assemblea degli iscritti per discutere anche di questo episodio nella prospettiva del congresso di settembre.

5) Una veloce riflessione sul risultato elettorale ottenuto dal PD nelle ultime elezioni: è vero abbiamo perso, volevamo vincere, ci siamo anche illusi dopo il risultato del primo turno, a mio avviso di grande portata e novità. Il segno di apertura ha sicuramente messo in moto dei processi che a lungo termine dovrebbe portare dei frutti. Certamente alcuni errori di tattica sono stati compiuti. Perciò non sono affatto d’accordo con coloro che si ostinano a dichiarare che abbiamo subito una sonora batosta, dato che durante la fase antecedente al secondo turno i leghisti non mi sembravano così sicuri di vincere. Abbiamo davvero corso per la vittoria. Ma poi la storia ci ha punito perché la gente si è ricordata dei nostri precedenti momenti di governo (vedi giunta Marchetti), risultata poco attendibile. Proprio per questo radicarsi nei gruppi di lavoro e lavorare con forza assieme ai consiglieri per conoscere sempre di più la situazione del nostro territorio potrà risultare vincente. Proprio perché la spinta propulsiva della base può contribuire a metterci nella condizione di essere sempre coraggiosamente in prima linea e non solo nei luoghi istituzionali.

6) Ultimo punto ma non meno importante: sento sempre un costante richiamo all’unità. Ma un vero partito non è mai veramente unito, nel senso che ci devono essere delle posizioni e delle idee che possono risultare diverse, siamo in democrazia, guai se ci dovessimo appiattire su un falso senso di unità solo per quieto vivere. Nelle contraddizioni vere e nella dialettica emerge davvero poi un partito più forte. Mi sembra che la nostra storia insegni: si è sempre cercata una sorta di sintesi per non scontentare mai nessuno, invece la storia ci ha dimostrato che proprio per questo motivo dal Psi del congresso di Livorno del 1921 in poi ci sono state continue e drammatiche fratture e divisioni.

Piccolo glossario ad uso dei ..

Primarie: sono importanti, mettono in moto una forte partecipazione e qui a Castelfranco hanno funzionato, però attenzione nessuno le ha sposate per cui diventano conditio sine qua non, a volte i tempi non le permettono e perciò non credo che dovremmo strapparci le vesti se qualche volta non vengono fatte. Certo che è un elemento importante di democrazia e partecipazione.

Giovani: dove sono? Senza di loro un rinnovamento non è possibile: una riflessione vera sulle politiche giovanili deve essere pensata: lavoro, ambiente e scuola sono le parole d’ordine, la classe insegnante deve essere risvegliata e coinvolta.

Ambiente: rilancio dell’agricoltura non solo come opportunità di lavoro ma anche come salvaguardia dell’ambiente.

Mi piacerebbe avere un riscontro rispetto alle cose dette .

Paul Zilio

giovedì 17 giugno 2010

Gli 8 possibili motivi di incostituzionalità del ddl intercettazioni

Gli 8 possibili motivi di incostituzionalità del ddl intercettazioni (in ordine di presenza nel testo)

di Stefano Ceccanti

1. Art. 1 comma 2

La sostituzione del pubblico ministero per le ragioni e con le modalità di cui all’ art. 1 comma 2 viola il principio di ragionevolezza e di eguaglianza (art. 3 Cost.) in quanto si presta a strumentalizzazioni e abusi, rendendo possibile a ciascuno di ‘scegliersi’ il pm. Il rischio è anche di violare il principio di indipendenza della magistratura e di soggezione soltanto alla legge (art. 101.2 Cost.), sulla base di una mera iscrizione nel registro degli indagati, in violazione peraltro dell' art. 27.2 Cost

2. Art. 1 comma 5

La non pubblicabilità delle intercettazioni e dei tabulati neanche per riassunto, ancorché pubbliche e ostensibili alle parti, fino alla conclusione delle indagini preliminari viola il principio di ragionevolezza (art. 3) e il diritto di cronaca (art. 21). I limiti al diritto di cronaca vanno peraltro letti in parallelo con il ‘chilling effect’ derivante altre norme, quali ad es. il divieto di cui all’art. 1, comma 5, cpv. “2-ter”, di pubblicazione, anche per riassunto o nel contenuto, delle richieste e ordinanze emesse in materia di misure cautelari, così precludendo totalmente la cronaca giudiziaria relativamente a fatti interesse pubblico. Tali divieti contrastano peraltro con il principio di cui all’articolo 101.1 Cost., secondo cui “la giustizia è amministrata in nome del popolo”, perché sottrae moltissimi atti processuali alla conoscenza legittima da parte di quei cittadini nel cui nome la giustizia è amministrata. I suddetti divieti appaiono tanto più incompatibili con gli artt. 21 Cost. e 10 della CEDU, ove si consideri il rilevante inasprimento sanzionatorio previsto dal disegno di legge per i reati in materia di pubblicazione degli atti, che rischia di inibire del tutto la libertà di stampa e quindi di privare i cittadini del diritto a ricevere informazioni su fatti di rilievo generale. Ove poi si consideri che tale rilevante inasprimento sanzionatorio non è neppure riferito a condotte lesive della privacy delle parti processuali o dei terzi estranei alle indagini, ben si comprende come questa scelta non possa in alcun modo giustificarsi neppure in ragione dell’esigenza di tutelare beni giuridici di rilievo costituzionale, ma appaia nettamente in contrasto con gli artt. 21 Cost. e 10 della Convenzione europea dei diritti umani e funzionale soltanto a privare i cittadini del diritto di (e all’) informazione. Ciò è peraltro asseverato dalla previsione, di cui all’articolo 1, comma 8, della sospensione obbligatoria del giornalista (e di altri soggetti) dalla professione in ragione della sua iscrizione nel registro degli indagati per violazione del divieto di pubblicazione, qualora l’organo titolare del potere disciplinare ravvisi elementi di responsabilità e ritenga il fatto grave. Norma, questa, che viola la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 cpv. Cost., e rischia peraltro di avere un effetto deterrente rispetto al diritto di cronaca. Sulla responsabilità penale degli editori, poi, il testo finale, se da un lato riduce lievemente la cornice edittale (da 100 a 200 copie), tuttavia estende anche ad essi l'applicabilità dei reati di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria, nonché del delitto di violazione dei divieti di pubblicazione. Tali estensioni sono particolarmente gravi in ragione del particolare meccanismo sotteso alla responsabilità da reato degli enti, che presuppone l’adozione di ‘compliance programs’ (modelli anti-illeciti) che rischiano di privare il direttore del giornale e i singoli giornalisti della necessaria indipendenza.

3. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.1, alinea cpp)

Un chiaro vulnus al principio di ragionevolezza deriva dall’equiparazione alle intercettazioni, quanto al regime di ammissibilità, dell’acquisizione dei dati di traffico telefonico o telematico, che in quanto relativa ai soli dati ‘esterni’ e non invece al contenuto delle comunicazioni, non può in alcun modo essere assistita dalle stesse garanzie né essere soggetta alle medesime limitazioni previste per le intercettazioni. Inoltre la nuova disciplina rischia di violare il diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost., nella misura in cui, diversamente dalla normativa attuale, impedisce alle parti private di richiedere al fornitore, in taluni casi anche in virtù del decreto motivato del pubblico ministero, l’acquisizione di tabulati utili alla dimostrazione della fondatezza della propria tesi difensiva.

4. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.2, cpp)

L’estensione a tutte le intercettazioni ambientali a prescindere dal luogo in cui si svolgano, del requisito della necessaria finalizzazione alla osservazione dell’attività criminosa , oltre a depotenziare significativamente le attività di indagine, viola palesemente il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), nella misura in cui equipara, quanto a limiti di ammissibilità, mezzi di ricerca della prova caratterizzati da un grado assolutamente diverso di incidenza sulla privacy individuale e sulla segretezza delle comunicazioni. Inoltre, se la norma rimane com'è ora, non sarà mai possibile ottenere autorizzazioni ad intercettazioni ambientali per indagare su un reato già commesso, sia esso anche un omicidio o una strage. Certamente, infatti, non ci troveremmo di fronte ad una ipotesi di attività criminosa in corso. Un'assurdità palese anche per altra ragione: l'autorità giudiziaria indaga per definizione sui reati già commessi, non per finalità di prevenzione . Dunque, con la sola eccezione dei reati permanenti (ad es., un reato associativo) e dei delitti distrettuali, questo limite incrinerebbe l'essenza dell'attività investigativa giudiziaria. E’ altresì irragionevole la reiterabilità di tre giorni in tre giorni (per la quale i dettagli sono poi precisati dal comma 3-bis del novellato art. 267, inserito dal successivo comma 11), che rischia peraltro di favorire fughe di notizie nella misura in cui la proroga necessita dell’invio al collegio degli atti d’indagine .

5. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.1, alinea cpp)

Del tutto irragionevole è l’assimilazione di ogni tipo di videoriprese alle intercettazioni, senza distinguere tra riprese a contenuto captativo di conversazioni o no e tra riprese in luoghi privati o no: assimilare, quanto a regime di ammissibilità, mezzi di ricerca della prova così diversamente lesive della privacy, viola il principio di ragionevolezza.

6. Art. 1 comma 11, c.1, lett.a)

Ingiustificabile in quanto irragionevole (art. 3 Cost.) è l’attribuzione al giudice collegiale del tribunale distrettuale della competenza ad autorizzare le intercettazioni che crea paralisi, fughe di notizie e che è asistematica, considerando che il giudice monocratico può disporre non solo misure cautelari personali, ma può anche irrogare un ergastolo, in sede di rito abbreviato.

7. Art.1, c.11, lett.d)

Le limitazioni alle intercettazioni e in particolare quella relativa ai termini massimi di durata delle operazioni captative, non solo privano di strumenti d’indagine preziosi gli organi inquirenti – ostacolando dunque l’attività di accertamento dei reati e così pregiudicando la tutela della sicurezza dei cittadini di cui all’art. dall’art. 6 della Carta di Nizza e in violazione del 112 Cost., che impone l’obbligatorietà non solo dell’esercizio dell’azione penale, ma anche della raccolta delle prove a ciò necessarie - ma non possono peraltro in alcun modo giustificarsi in nome della tutela della privacy. Si consideri infatti che la CEDU, con la recentissima sentenza del 18 maggio scorso, in Case of Kennedy v. United Kingdom , ha ritenuto non contrastante con l’art. 8 CEDU (tutela della privacy) la disciplina inglese sulle intercettazioni ( Regulation of Investigatory Powers Act 2000: “RIPA”) che prevede la possibilità di disporre intercettazioni senza limiti di tempo (purché con successive proroghe motivate), ove ne permangano i presupposti

8. Art. 1 comma 12 , lett.d)

Il divieto di stralcio delle registrazioni e dei verbali prima del deposito in segreteria rischia paradossalmente di aumentare le possibilità che il contenuto delle intercettazioni, e in particolare di quelle strettamente personali, sia divulgato all’esterno. Dunque, violazione della privacy, oltre che del principio di ragionevolezza.

Per la crescita, per l’equità, per il lavoro

Pubblichiamo le proposte del Pd per correggere una manovra sbagliata e ingiusta, realizzate a cura del
Dipartimento Economia e Lavoro del Partito Democratico.

Il 19 giugno manifestazione a Roma al Palalottomatica

Premessa
La manovra di finanza pubblica in discussione al Senato (il decimo intervento correttivo in due anni di governo), è dovuta alle scelte elettorali ed agli errori di politica economica compiuti dal Governo Berlusconi negli ultimi due anni. Per valutare l’impatto di scelte ed errori, va ricordato che il Governo Berlusconi, a maggio 2008, ha ereditato un quadro di finanza pubblica ricondotto su binari di sostenibilità, dopo il deragliamento causato dal Ministro Tremonti nel periodo 2001-2006. Infatti, il Governo Prodi a maggio 2006 trovò una procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea per deficit eccessivo e un debito pubblico in risalita dopo 13 anni di calo. Dopo due anni, il centrosinistra consegnò al Governo Berlusconi-Tremonti un bilancio pubblico con un saldo primario strutturale al 2% ed un debito ricondotto in discesa. La forza del risanamento avviato è documentata dal risultato di indebitamento 2008: nonostante la contrazione dell’economia (-1%), l’assenza di interventi correttivi in corso d’anno e l’abbandono della lotta all’evasione, il deficit 2008 si è fermato al 2,7% del Pil.

Tra le cause elettorali della manovra, ricordiamo le principali:

a. l’eliminazione delle misure di contrasto all’evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi e il dimezzamento delle sanzioni per l’evasione accertata;

b. il “salvataggio” dell’italianità di Alitalia;

c. la completa eliminazione dell’Ici sulla prima casa per i nuclei familiari a reddito e patrimonio più elevato;

d. gli incentivi fiscali al lavoro straordinario quando già; incominciava a moltiplicarsi il ricorso alla Cassa Integrazione;

e. la riduzione delle compensazioni fiscali alle banche per le perdite su crediti inesigibili in una fase segnata dalla contrazione dell’offerta di liquidità alle piccole imprese.

Tra gli errori, vanno iscritti i seguenti:

a. i tagli orizzontali e ciechi, e pertanto inefficaci, alle spese di funzionamento delle pubbliche amministrazioni senza alcun disegno di riorganizzazione complessiva di ciascuna macchina amministrativa;

b. l’abbattimento delle spese per investimento sia delle pubbliche amministrazioni centrali sia degli enti territoriali a causa di un Patto di Stabilità Interno indifferenziato;

c. l’utilizzo delle risorse per le aree sottoutilizzate (Fas) per coprire ogni genere di spesa corrente;

d. il rinvio delle riforme strutturali al dopo crisi;

e. l’assenza di interventi a sostegno del reddito dei disoccupati “atipici”;

f. le ritardate e deboli misure per il rafforzamento dei fondi di garanzia per il credito alle micro, piccole e medie imprese;

g. il mancato pagamento di parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese;

h. le retromarce sulle principali liberalizzazioni messe in campo nella scorsa legislatura;

i. l’abbandono del “monitoraggio attivo” sull’andamento dei prezzi di beni e servizi fondamentali per il potere d’acquisto delle famiglie (dai prodotti petroliferi, alle polizze assicurative);

j. l’aumento delle tariffe di importanti servizi pubblici per fare cassa (dai servizi postali all’acqua, dall’elettricità al trasporto ferroviario);

k. l’eliminazione di rilevanti detrazioni Irpef (ad esempio, le detrazioni per l’acquisto degli abbonamenti dei pendolari, le detrazioni per le spese di aggiornamento degli insegnanti) e l’aumento di imposte e tasse (dall’assenza di compensazione del fiscal drag alla tassa sulle memorie virtuali presenti in tutti i dispositivi elettronici);

l. lo svuotamento dei crediti d’imposta alle imprese per la ricerca e lo sviluppo e agli investimenti nel Mezzogiorno;

m. l’eliminazione della detrazione del 55% per le eco-ristrutturazioni.

In sintesi, la manovra presentata dal Governo Berlusconi-Tremonti non ha il fine di migliorare gli obiettivi di deficit e debito pubblico in risposta alle turbolenze europee ed internazionali o per tener conto di un quadro macroeconomico peggiore di quello ipotizzato nella Nota di Aggiornamento al Programma di Stabilità e Crescita inviato a Bruxelles a gennaio 2010.
La Relazione Unificata per l’Economia e la Finanza Pubblica, 6 maggio 2010, afferma in modo chiaro che “gli obiettivi programmatici di indebitamento netto restano fermi al 3,9% del Pil per il 2011 e al 2,7% per il 2012 …. il mantenimento degli obiettivi individua una manovra correttiva sul saldo primario pari, in termini cumulati, a circa 1,6 punti percentuali di Pil nel biennio 2011-2012”.
La manovra non ha neppure il fine di recuperare, come avviene per gli altri principali Paesi europei e gli Usa, le risorse dedicate al salvataggio del sistema bancario o gli interventi anti-ciclici attuati dal Governo. Per una serie di ragioni, le banche italiane non hanno avuto bisogno di capitali pubblici e gli interventi anti-ciclici, nonostante i 10 decreti di finanza pubblica realizzati da giugno 2008 ad oggi, sono stati assenti.
Pertanto, la manovra è necessaria a compensare scelte elettorali ed errori, mentre negli altri Paesi Ocse gli interventi straordinari sono necessari a compensare salvataggi bancari e politiche anti-crisi pari, in media, a 3-4 punti percentuali di Pil. Insomma, la manovra poteva essere evitata attraverso una strategia riformista e una responsabile e accorta gestione della finanza pubblica.

Una manovra senza crescita

Il difetto principale della manovra è l’assenza di una strategia di crescita nella quale collocarla.
La “cultura della stabilità”, tardivamente scoperta dal Ministro Tremonti, viene posta in alternativa alla “cultura della crescita sostenibile”. Così, il Ministro dell’Economia continua a far coincidere la politica economica con la politica di bilancio.
Non può funzionare. La politica di bilancio è parte della politica economica. Soprattutto, l’errore fondamentale della politica economica del Governo sta nell’inversione delle variabili “vincolo” con le variabili “obiettivo”.
Il controllo della finanza pubblica è stato assunto come obiettivo della politica economica, mentre doveva essere considerato come vincolo in relazione all’obiettivo della crescita.
L’inversione implica che, per il Ministro dell’Economia, lasciare aumentare la spesa per acquisti di beni e servizi di 14 miliardi nel biennio alle nostre spalle (+12% a fronte di una contrazione del Pil nominale di quasi 2 punti percentuali) è equivalente al blocco degliinvestimenti pubblici e allo svuotamento degli incentivi agli investimenti delle imprese. Ovviamente, ai fini dell’impatto sull’economia reale e sulla produttività, non è così.
Insomma, nel rispetto degli aggiustamenti di finanza pubblica, sarebbe stato (e continua ad essere) necessario puntare sulla crescita, non solo e non tanto in termini anti-ciclici, quanto in termini strutturali, ossia per aggredire i nodi che da un quarto di secolo determinano la caduta della nostra produttività totale dei fattori.
Non è stato un errore tecnico. È stata conseguenza di una cultura politica dominata dalla sfiducia nell’Italia civile ed innovativa, dalla declinazione dell’intervento pubblico in economia in forme discrezionali e dirigiste, per “comprare” o estorcere consenso ad interessi particolaristici più che a migliorare le condizioni di contesto e ad attuare interventi selettivi di politica industriale ancorati a principi generali. Insomma, un minimalismo corporativo a salvaguardia di rendite di posizione e alle cieche convenienze di interessi di corto respiro.
Le politiche per la crescita non possono essere promosse soltanto a livello nazionale. Anzi, gli sforzi nazionali rischiano di essere frustrati se permane un indirizzo di politica economica europea mercantilistico e deflattivo, ossia la “linea” imposta dalla Germania all’area euro.
È necessario impegnare il Governo italiano affinché promuova nell’Unione Europea e nell’area euro una linea alternativa per un’Europa federalista della crescita e del lavoro. Vuol dire accompagnare le misure emergenziali e difensive decise a Bruxelles il 10 maggio scorso con un’offensiva per:
  • un'effettiva e stringente regolazione e vigilanza federale dei mercati finanziari per disciplinare hedge funds, fondi sovrani, attività; speculative degli intermediari finanziari;
  • un "Piano Europeo per il Lavoro", finanziato con eurobonds, per costruire infrastrutture strategiche, sostenere programmi di ristrutturazione industriale, politica industriale, ricerca ed innovazione;
  • il rafforzamento del mercato unico secondo le linee guida elaborate nel recente "Rapporto Monti";
  • un coordinamento contro la competizione fiscale al ribasso, per il contrasto ai paradisi fiscali, per una financial transaction tax contro i movimenti finanziari speculativi;
  • l'apertura, in sede WTO, di una discussione sugli standard sociali ed ambientali minimi per gli scambi di merci e servizi e un border tax adjustment.
In sintesi, la Strategia Europa 2020, approvata a marzo dal Consiglio Europeo, è superata e va radicalmente ridefinita sia sul piano degli obiettivi, che sul piano della governance.

Una manovra sbagliata e ingiusta

La manovra è profondamente iniqua. Non solo perché interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice l’incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito (ad esempio, non solo la scuola e la sanità sono in condizioni diversissime rispetto ad altre amministrazioni, ma anche all’interno del comparto scuola e sanità le differenze sono rilevantissime).
La manovra è profondamente iniqua perché i tagli ciechi alla spesa colpiscono in misura insufficiente gli sprechi e le inefficienze, mentre tagliano in modo insostenibile i diritti dei cittadini, dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati, delle micro e piccole imprese. In particolare, peseranno i tagli ad alcuni capitoli del Bilancio dello Stato (ad esempio, ordine pubblico e sicurezza, infrastrutture, risorse per Fas, ecc.) ed i brutali tagli ai trasferimenti a Regioni, Province e Comuni.
Le Regioni a statuto ordinario sono chiamate ad uno sforzo impossibile in quanto i 4,5 miliardi di minori trasferimenti all’anno previsti si scaricheranno su una quota intorno al 15% dei bilanci regionali, dato che la stragrande maggioranza delle risorse intermediate dalle Regioni è dedicata alla spesa sanitaria.
I Comuni, già soffocati dai vincoli “stupidi” del Patto di Stabilità Interno introdotti nell’estate 2008, dovranno ridurre ancora di più sia la spesa per investimenti, sia i servizi sociali. In sostanza, gli interventi sugli enti territoriali, decisi in modo iper-centralistico dal Governo nazionale, determineranno meno risorse per la scuola, per il diritto allo studio, per l’integrazione al reddito dei disoccupati, per l’assistenza agli anziani, per il trasporto pubblico locale, per il sostegno alle imprese, per l’edilizia pubblica.
In alternativa alla diminuzione delle risorse, Regioni, Province e Comuni saranno costrette ad aumentare imposte e tariffe. Il percorso è anticipato dalla possibilità riconosciuta al Comune di Roma di introdurre, tra l’altro, un’imposta di soggiorno ed un’imposta sugli imbarchi aerei.
In generale, la manovra contiene misure incidenti sulla condizione economica dei cittadini: ad esempio la facoltà riconosciuta alle concessionarie autostradali di aumentare i pedaggi, con aggravi fino al 25%, o l’assoggettamento al pedaggio anche dei raccordi autostradali gestiti dall’ANAS.
Le scelte iper-centralistiche sugli enti territoriali pregiudicano l’avvio del federalismo responsabile e solidale. La manovra, infatti, attraverso il taglio dei trasferimenti a Regioni, Province e Comuni limita lo spazio finanziario e getta le basi per una definizione minimale dei livelli essenziali delle prestazioni di cittadinanza.
Apre la porta, quindi, ad un federalismo differenziato ad esclusivo vantaggio delle realtà più ricche del Paese.
A tal proposito, va rimarcato l’ulteriore aggravamento dell’iniquità territoriale nella politica di bilancio del Governo.
Il “centralismo nordista” del Governo continua a sottrarre risorse alle regioni meridionali. La prima forte sottrazione, circa 2 miliardi, è stata effettuata per compensare i costi della completa eliminazione del taglio dell’ICI. Altri 500 milioni, destinati ad investimenti in Calabria e Sicilia, sono stati usati a copertura di spesa corrente. Sopratutto, le risorse Fas sono state utilizzate per ogni ordine di spesa corrente e spesso per far fronte ad esigenze di carattere ordinario. In totale, i tagli e le preallocazioni improprie sono stati pari a circa 19 miliardi di euro (risultanti per 13,7 miliardi dai tagli indicati nella delibera CIPE n. 112/2008 e, per i restanti 5,3 miliardi, da preallocazioni previste da leggi successive).
Nella manovra le risorse Fas vengono ulteriormente ridotte di 2,6 miliardi di euro nel triennio 2011-2013. La possibilità riconosciuta alle regioni meridionali di azzerare l’Irap sulle nuove imprese è puramente virtuale, dato che è completamente a carico delle medesime regioni le quali, come ricordato, sono soffocate dai tagli dei trasferimenti e rischiano, anche a causa del debito nella Sanità, di dover aumentare l’Irap, oltre che l’addizionale Irpef.
La manovra è profondamente iniqua anche perché non viene chiesto alcun contributo a quanti negli ultimi anni hanno beneficiato di un’enorme redistribuzione di reddito e ricchezza. I redditi milionari ed i grandi patrimoni, esempio estremo il Signor Silvio Berlusconi, non contribuiscono neanche con un euro al “sacrificio necessario a salvare la Patria”. La tassazione aggiuntiva del 10% sui bonus superiori almeno a tre volte l’importo della retribuzione fissa dei manager delle banche è l’ennesima presa in giro dato che, dopo gli interventi della Banca d’Italia, non esistono più mix retributivi simili.
Infine, la manovra è profondamente iniqua perché le misure anti-evasione sono una retromarcia parziale e contraddittoria. Innanzitutto, va ricordata la tolleranza attiva dell’evasione praticata dal Governo Berlusconi-Tremonti.
Al di là delle citazioni del Berlusconi d’annata, il favore all’evasione è evidente nei 18 condoni fiscali, contributivi ed edilizi fatti dal 2001 al 2006 e ripresi in questa legislatura. Inoltre, è evidente anche nella cancellazione delle misure anti-evasione introdotte dal Governo Prodi nella scorsa legislatura.
Infine, è evidente nel mega-condono per i capitali evasi e trasferiti all’estero (il famoso “scudo fiscale”) a prezzi di favore (5% rispetto a circa il 50% dovuto negli altri Paesi), con garanzia di anonimato e sospensione dell’obbligo di segnalazione anti-riciclaggio per gli intermediari finanziari.
A proposito di risultati raggiunti dal Governo Berlusconi- Tremonti nella lotta all’evasione, la contabilità è falsa. Infatti, non si può fare solo riferimento agli incassi da accertamenti, ma si deve guardare all’andamento dei comportamenti dei contribuenti, ossia alla fedeltà fiscale (tax compliance).
In sostanza, negli ultimi 2 anni abbiamo avuto +1 in maggiori incassi da accertamenti e -10 a causa della caduta della fedeltà fiscale. L’andamento del gettito Iva è crollato del 10%, mentre i consumi sono rimasti stabili in termini nominali. Non c’è nessun caso analogo in Europa e, come noto, l’Iva è l’apripista dell’evasione.
Non a caso, nel 2009 e 2010 il crollo delle imposte dirette sul reddito ha superato le pur pessimistiche previsioni del Ministero dell’Economia.
A conferma della retromarcia del Governo viene indicata la re-introduzione della tracciabilità dei pagamenti.
A tal proposito, va ricordato che il Governo Prodi aveva introdotto 2 misure distinte: la soglia dei 5.000 euro in funzione antiriciclaggio (abolita dal Governo Berlusconi nel giugno 2008 ed ora re-introdotta) e la soglia, in graduale riduzione da 1.000 a 100 euro, esclusivamente per i pagamenti dei professionisti (ossia, non si applicava per l’acquisto delle scarpe). Per far seriamente la lotta all’evasione, la retromarcia di Tremonti dovrebbe anche riguardare il ripristino delle sanzioni all’evasione accertata (dimezzate nell’estate del 2008) e l’eliminazione della protezione dai controlli fiscali assicurata agli oltre 200.000 grandi evasori che hanno beneficiato dello scudo fiscale a prezzi stracciati.
Inoltre, per recuperare almeno in minima parte il gettito perduto, il “mitico” redditometro propagandato dall’Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere applicato anche agli accertamenti sugli anni precedenti al 2009: non si vede perché l’amministrazione dovrebbe privarsi di tale potente strumento per accertare il passato.
Infine, non va dimenticato che l’evasione si combatte anche con le politiche industriali e per la competitività delle imprese, insomma con le riforme per la crescita, non solo con i controlli ed i vincoli.
Per rendere credibile, quindi efficace, la retromarcia del Governo Berlusconi-Tremonti nella lotta all’evasione, andrebbe eliminato ogni spazio ai condoni. Invece, la manovra contiene, nonostante le smentite ufficiali, il rischio di condono per gli “immobili fantasma” e per possibili abusi da realizzare entro il 31 dicembre 2010.



Una manovra strutturalmente debole

La manovra, oltre che orfana di una strategia per la crescita e profondamente iniqua, è anche poco strutturale.
Innanzitutto, le correzioni di spese ed entrate si riferiscono ad andamenti tendenziali (ossia a “legislazione vigente”, senza tener conto degli effetti della manovra in discussione) che sono irrealistici.
È irrealistico, viste le serie storiche, assumere per il triennio 2010-2012 la sostanziale invarianza delle spese per acquisti di beni e servizi.
È altrettanto irrealistico prevedere una crescita delle imposte dirette ed indirette con un’elasticità al Pil superiore ad 1, dati i risultati nettamente inferiori conseguiti nel 2008 e 2009 a causa dell’allargamento dell’area dell’evasione.
All’irrealismo dello scenario base, si somma l’irrealismo delle correzioni definite nella manovra. In particolare, sono completamente fuori misura le previsioni di recupero di evasione. Anzi, si deve sottolineare il mutato atteggiamento della Ragioneria Generale dello Stato che, con un’inversione di 180 gradi rispetto alla posizione, corretta, avuta nella scorsa legislatura, ha considerato valide le previsioni di entrata (per alcuni miliardi di euro all’anno) conseguenti all’ “effetto deterrenza”.
Oltre alle valutazioni irrealistiche, i risparmi previsti nella manovra sono in diversi e rilevanti casi di carattere una tantum. Si tratta, ad esempio, della sospensione degli scatti di anzianità nel pubblico impiego per i settori per i quali è previsto il recupero alla fine del triennio.
Si tratta, almeno in parte, data l’assenza di radicali interventi di ristrutturazione e ri-organizzazione mirata, del blocco del turn-over, della cancellazione di metà dei contratti di lavoro a tempo determinato e dei tagli per le spese delle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali.

Le proposte del Pd per la crescita ed il lavoro

Le proposte del Pd si incentrano su misure per la crescita, per il lavoro e per l’equità. Senza sostegno alla crescita, al lavoro, e attenzione all’equità non vi può essere risanamento sostenibile dei conti pubblici.
Gli interventi si concentrano su 4 assi: I) riforme fiscali, per spostare il carico dal lavoro e dall’impresa ai redditi evasi e ai redditi da capitale.
Il baricentro della riforma fiscale è la tassazione di tutti i redditi con un’aliquota di riferimento al 20% a cominciare dalla prima aliquota Irpef, poiché un euro di reddito da lavoro o d’impresa non può essere tassato più di un euro di reddito da capitale o di rendita.
Negli emendamenti alla manovra, intendiamo realizzare i primi passi della riforma.
Per innalzare il tasso di attività femminile, sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, migliorare la competitività delle imprese e qualificare la crescita, proponiamo di:
  • aumentare le detrazioni d’imposta per le donne lavoratrici in nuclei famigliari con figli a carico;
  • introdurre, gradualmente, un contributo annuale di 3000 euro all’anno per ogni figlio fino alla maggiore età, a cominciare dalla fascia 0-3 anni, esteso anche ai lavoratori autonomi e professionisti;
  • eliminare i tetti ed il click day all’utilizzo dei crediti d’imposta per le spese in ricerca e sviluppo e per gli investimenti nel Mezzogiorno;
  • innalzare la franchigia Irap per le piccole imprese;
  • innalzare i limiti di fatturato e patrimonio per il “forfettone fiscale” e rivedere gli Studi di Settore;
  • re-introdurre la detrazione d’imposta del 55% per le eco-ristrutturazioni e per il risparmio energetico e ripristinare il mercato dei “certificati verdi”;
II) allentamento del Patto di Stabilità Interno per evitare a Regioni, Province e Comuni pesanti tagli agli investimenti, in particolare per la messa a norma degli edifici scolastici e per la green economy, ai servizi sociali, alle politiche di sostegno delle piccole imprese e del lavoro autonomo; III) integrazione delle risorse per la scuola, articolazione degli interventi per il contenimento dei costi nel pubblico impiego, in particolare per i giovani precari, revisione degli interventi sugli enti di ricerca pubblici; riforma del sostegno al reddito per i giovani disoccupati da lavori precari; IV) riavvio delle liberalizzazioni nel settore dell’energia, della distribuzione, dei servi bancari, dei servizi professionali, del trasporto pubblico.
Per coprire gli interventi per la crescita, il lavoro e l’equità, il Pd propone le seguenti misure: 1. “piani industriali” specifici ed interventi per la riorganizzazione e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni:
  • cancellazione delle normative in deroga per gli appalti, in particolare la gestione in deroga per la Protezione Civile;
  • revisione del progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina;
  • razionalizzazione delle società pubbliche o partecipate da Stato, Regioni, Province e Comuni;
  • razionalizzazione degli uffici delle amministrazioni centrali sul territorio;
  • centralizzazione degli acquisti;
  • revisioni dei programmi di spesa del Ministero della Difesa ed eliminazione della società Difesa SpA;
  • razionalizzazione sedi universitarie;
  • razionalizzazione corpi di polizia;
  • razionalizzazione dei livelli di governo territoriale;
  • riduzione mirata del numero di dirigenti pubblici;
  • abbassamento dei costi della politica attraverso la riduzione del numero dei parlamentari e la specializzazione delle Camere;
2. il contrasto all’evasione fiscale e contributiva:
  • riduzione a 2.000 euro del limite per la fatturazione elettronica;
  • accertamento sintetico da redditometro potenziato a partire dal 2005;
  • accesso selettivo alle informazioni bancarie;
  • neutralizzazione dei patrimoni condonati dallo “scudo fiscale” ai fini dell’accertamento ed innalzamento dell’aliquota di regolarizzazione;
  • ripristino delle sanzioni per l’evasione accertata come vigenti a maggio 2008;

3. l’allineamento della tassazione dei redditi da capitale (inclusi i redditi da locazione ed esclusi i titoli del debito pubblico) su un’aliquota del 20% e, in coordinamento con la riforma federalista, la destinazione delle imposte sui redditi da capitale immobiliare al finanziamento dei Comuni; l’introduzione e/o innalzamento delle tasse su consumi ed attività produttive ad elevato impatto ambientale;
4. l’asta per l’assegnazione delle frequenze liberate dal digitale terrestre ed il passaggio delle pubbliche amministrazioni all’utilizzo dei software open source.