Dal 14 settembre, inizio dell’attuale anno scolastico, come ha trovato applicazione la nuova normativa sul maestro unico nelle classi della scuola primaria? Nella quasi totalità delle classi gli alunni non sono stati affidati ad un unico insegnante; gli Istituti Comprensivi si sono orientati nella scelta di suddividere tra due o più docenti l’insegnamento delle materie, eliminando però i momenti di contemporaneità degli insegnanti. Il tempo scuola ridotto a 24 ore proposto dal ministro è stato scartato dalla maggioranza delle famiglie. C’è una decimazione di posti di lavoro sia nelle classi prime (a 24 ore nella normativa), sia nelle classi successive (organizzate mediamente sulle 27/30 ore), sia nel cosiddetto tempo pieno. Il tempo pieno però non è più con due insegnanti per classe e con i bambini suddivisi in gruppi nelle attività di recupero e laboratorio, ora è un tempo scuola in cui gli insegnanti garantiscono la loro presenza singola e frontale per l’attività didattica di 40 ore. Quest’anno la scuola può ancora, in alcuni casi, utilizzare alcune ore di compresenza, destinate a scomparire. Credo sia legittimo pensare, per chi è al di fuori del mondo della scuola, che sia giusto affidare una classe, anche di 26 o 27 alunni, ad un unico insegnante: così era quando molti di noi sono andati a scuola. Ricordiamo tutti però come i nostri compagni in difficoltà avessero come prospettiva la bocciatura. Ora, dopo anni di organizzazione di attività di recupero per portare anche i più deboli a raggiungere traguardi minimi, quale genitore è preparato a sentirsi dire fin dalla scuola primaria che suo figlio (sì, proprio il suo!) non raggiungerà il sei e sarà bocciato? E come rispondere al meglio alla realtà di una scuola inclusiva che vede seduti nelle nostre classi alunni che ieri erano nel loro lontano paese ed oggi sono qui, impauriti e spaesati? Sono anch’essi soggetti di diritti sanciti dalle normative nazionali e internazionali, abbisognano di un tempo e di attenzioni per poter imparare la lingua italiana e seguire con profitto le proposte didattiche. Ci sono già classi nel nostro territorio in cui la presenza di alunni stranieri raggiunge il 50-60%. La notizia deve spaventarci? No, gli
alunni nati in Italia da genitori di origine straniera (per i quali da più parti si chiede giustamente a mio avviso la cittadinanza italiana) mediamente hanno risultati scolastici uguali se non migliori dei loro pari italiani. Altra cosa sono coloro che hanno bisogno di apprendere la lingua italiana e per i quali la scuola da sempre si è attivata per rispondere alle esigenze di apprendimento attraverso un oculato uso delle compresenze. Eliminandole, a questi bambini viene ridotto il diritto ad un buon inserimento scolastico; lasciati in disparte ed emarginati nella classe, provocheranno situazioni di disturbo all’attività didattica, se non il conflitto. Ecco allora la proposta della Lega Nord di costituire le cosiddette “classi ponte”, vere e proprie classi speciali, già valutate negativamente da pedagogisti e linguisti, sperimentate con vari danni dai figli dei nostri emigrati in Svizzera e Germania. Il ministro Gelmini ha ventilato la possibilità di ridurre la presenza di alunni stranieri nelle classi a non più del 30%. E quelli che avanzano? Non era meglio lasciare agli insegnanti la possibilità di avere alcune ore alla settimana per insegnare la lingua italiana e/o aiutare i nostri bambini a recuperare le loro difficoltà di apprendimento? Non era meglio mantenere alla scuola primaria l’alto livello di qualità che le veniva riconosciuto in Europa e nel mondo? Siamo certi che il notevole taglio di finanziamenti alla scuola pubblica, seppur motivato con esigenze di bilancio, abbia come effetto il bene dei nostri figli? Ricerche mostrano come il successo scolastico e formativo sia correlato con il grado di coinvolgimento delle famiglie nel progetto scuola; ma ciò avviene o piuttosto si fa passare per tale la sola libertà di scegliere il tempo scuola per i propri figli? Son tutti contenti così?
Antonia Simonetto
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