domenica 20 giugno 2010

M.Grazia Giacomazzi 20 giugno 2010

IL PD CHE VORREI……

Alcuni appunti in ordine sparso per proseguire il confronto in corso nel nostro circolo:

1. Penso che uno dei compiti che la politica deve assumersi, forse il più essenziale culturalmente, vale a dire civilmente, sia quello di cercare declinazioni differenti da quelle del diffuso cinismo sociale (individuo senza relazione con la comunità) e del fondamentalismo nostalgico (identità rigida, rifiuto dell’Altro) con cui siamo ripetutamente messi a confronto.

Nella società globalizzata e massificata il cittadino (concetto su cui occorrerebbe riflettere e su cui la lega, e in maniera distorta, ha costruito la sua difesa identitaria) si sente smarrito, confuso, mortificato, abbandonato. Privo di orientamento, esposto a nuove forme di disgregazione sociale e a nuove povertà che talvolta lo privano di quella dignità che una società civile dovrebbe invece garantire. In questi ultimi decenni infatti lo spazio della politica si è progressivamente ridotto. La politica in questi decenni ha continuato ad assicurare all’economia –soprattutto alla finanza- un’autonomia sostanziale i cui effetti disastrosi sono ora riconosciuti da tutti.

Mentre intolleranze religiose e paventati conflitti di civiltà minacciano le società aperte e democratiche; mentre l’avidità e il delirio di onnipotenza di pochi potenti della finanza scatenano una pandemia economica che travolge l’intero sistema del capitalismo occidentale, mettendo a repentaglio il futuro di tutti noi, come possiamo rispondere, arginare, limitare, le conseguenze di una deriva tanto caotica quanto senza precedenti?

Quali aspirazioni, quale “visione” dei legami sociali vogliamo incentivare in questa situazione?

Occorre rilanciare l’attualità della riflessione teorica nei vari campi dell’intervento politico, perché solo questo può aiutarci a comprendere meglio i mutamenti sociali attuali e può aiutarci a individuare quelle buone pratiche e quelle risposte capaci di rendere il PD una realtà irrinunciabile per la società italiana (e magari anche europea).

2. La somma dei due partiti fondatori (Ds, Margherita) non mi è mai sembrata sufficiente alla creazione di una nuova cultura politica se non altro perché entrambi, anche se per motivi storici contrari (che infatti hanno pesato e pesano ancora moltissimo), condividono la stessa logica generalizzante (es. DC/famiglia, PCI/classe) che tende a trascurare quei principi di rispetto dei diritti civili e individuali che, non solo in Italia, sono stati sempre salvaguardati dalla tradizione liberale nelle sue varie manifestazioni.

D’accordo la DC e il PCI non esistono più da tempo e non voglio certo ignorare un ventennio di storia del nostro Paese, ma la matrice ideologica di questi due filoni di pensiero di fatto emerge tutte le volte che la società cosiddetta civile reclama spazi di riconoscimento e di cambiamento. Penso alla legge sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico, sui dico ecc. Le posizioni del PD su questi temi hanno contribuito a chiarire le idee ai cittadini?

3. La fusione dei due partiti come iniziale scelta strategica dei vertici dovrebbe potersi articolare in modo capillare, orizzontale, con proposte concrete (formative) per potersi avvalere non solo del consenso dei cittadini (necessario, ma non sufficiente), ma della loro fattiva partecipazione.

Per questo ad esempio è fondamentale avere uno Statuto realmente democratico….il quale limiterebbe la tendenza delle diverse componenti storiche del PD ad agire per mantenere interessi che nulla hanno a che fare con il bene comune.

Diversamente il partito potrebbe trovarsi limitato –e di fatto talvolta lo è- alla gestione dei gruppi di opposizione interna perdendo di vista l’essenziale della sua funzione. Con grande dispendio di energia e con il perpetuarsi di situazioni che lasciano i più insoddisfatti, insofferenti e –condizione peggiore- indifferenti (c’è una generale disaffezione alla politica con conseguente affermazione di un populismo che, con la sua propaganda, si rivolge non al cittadino ma al soggetto qualunque della pubblicità).

3. Che in un partito esistano differenti visioni è un segno di evidente libertà politica, almeno fino a quando queste visioni riflettono reali differenze di orientamento politico, vale a dire di pensiero. Ma quando le idee intervengono solo per mascherare l’adesione a questo o quel gruppo di interesse – come succede quando prevale la logica correntizia – che valore possono avere quelle idee?

Vorrei fare un’altra osservazione. Marino non ha voluto la sua corrente, esigenza sacrosanta, ma cosa è successo a Marino? In una struttura fondata sulla logica correntizia come poteva –o può- Marino trovare uno spazio sufficiente?

Ma al di là di Marino, come la tensione etica di chiunque può trovare spazio nel discorso di un partito che agisce nella stessa logica che vuole contrastare?

Chiunque s’ impegni -ad un qualche livello- con un compito che lo renda responsabile nei confronti di un altro, conosce la difficoltà del passaggio dalla teoria alla prassi, dalla grammatica alla pratica. Ma se le regole del gioco sono in contraddizione con il concetto e la funzione della regola, che gioco ne uscirà?

4.Occorre infatti ricostruire interamente il ruolo della politica quale assunzione di responsabilità verso la società, anche per guidarla eventualmente, ma a partire da criteri sempre esplicitabili e comprensibili. Il PD in questa ricostruzione può avere un ruolo decisivo. E probabilmente decidere realmente a partire dalle strutture simboliche e dalle logiche istituzionali di funzionamento che saprà mettere in atto.

Esiste nel PD lo spazio per poter proporre liberamente delle idee?

Un partito che si vuole laico non può mancare di questo spazio e dei meccanismi istituzionali che assicurino l’efficacia d’una discussione sempre aperta e costruttiva.

Si promuova l’azione politica di base, nel circolo, sviluppando contatti personali, reti di persone che si educano alla partecipazione e alla responsabilità civile. Tutti questi obiettivi si raggiungono con nuovi metodi, vera democrazia interna, senza che gli accordi tra i dirigenti del partito siano la scusa per imporre appelli all’unità che soffocano la libertà d’espressione.

La capacità di mediare i conflitti è un’arte complessa, ma è anche impossibile?

5. Oltre ai due poli originari e costitutivi del PD è auspicabile prenda sempre più vita un terzo polo che favorisca l’estendersi delle adesioni al progetto del PD di altre tradizioni, laiche e liberali. E’essenziale accogliere e rilanciare alcuni principi del pensiero liberale (il quale afferma l’esistenza di diritti fondamentali e inviolabili fondati sull’individuo) e riformista (che assicuri che l’organizzazione dello Stato corrisponda alle esigenze della società civile –e certo non il contrario). Le matrici dell’azione politica non vanno ricercate nell’ideologia (ossia su un sistema posto a priori a cui tutto si deve uniformare. Pensiero ottocentesco valido fino alla caduta del muro di Berlino) né tanto meno nella logica del compromesso al fine delle tattiche elettorali, ma vanno ricercate su quanto c’è di essenziale nella nostra tradizione.

In quanto occidentali (eredi della democrazia ateniese, del diritto romano, della civiltà cristiana ed infine dell’illuminismo) siamo necessariamente difensori delle libertà individuali, cioè del diritto di ciascuno di decidere quel che è meglio per sé nel rispetto assoluto della libertà degli altri. Questo vero e proprio principio di democrazia è davvero formativo se può sperimentarsi nella concreta relazione tra individui reali, che si conoscono e partecipano alla realizzazione di obiettivi comuni. E’ questa la società civile, che non è la società tout-court anonima e astratta del consumatore di massa, impegnata a trovare uno spazio di confronto e uno spazio di azione tra il localismo e la globalizzazione. Per questo la libertà di espressione deve essere garantita all’interno del PD, senza infingimenti, per promuovere spazi di apprendimento ed esperienza concreta a sostegno di coloro che sono chiamati ad affrontare la complessità delle nuove sfide.

Solo rispettando l’individualità degli altri s’impara a rispettare anche la propria libertà individuale, limitandola. Continuo a pensare, a credere, che l’individuo ha un peso determinante nella articolazione dei discorsi e quindi nella organizzazione delle strutture simboliche. Ma questo individuo deve formarsi e auto formarsi alla convivenza, deve riconoscere quando mettersi tra parentesi, deve essere capace di trascendere la sua posizione per favorire il bene comune. L’individuo deve essere educato a non essere individualista.

Un partito che si vuole libero e democratico –come il nostro partito deve essere- non ha anche questa funzione educativo/formativa?

6. Ciò che naturalmente è più necessario è il coraggio: pensare creativamente e proporre nuovi modelli riformisti della società, per avvicinare i giovani alla politica e per avere il coraggio di proporre nuove logiche e quindi una nuova classe dirigente.

Dobbiamo comunicare e far capire ai giovani che cambiare si può e quindi si deve (testimoniarlo con le proprie scelte non solo con i propri discorsi), e dobbiamo dare ai cittadini una ragione chiara per partecipare alle attività di un soggetto politico che sa offrire, oltre a corrette interpretazioni, delle soluzioni fondate.

Il PD deve far ritrovare a chiunque lo desideri l’entusiasmo dell’impegno e dell’azione e deve essere capace di sostenere: le individualità, i diritti individuali, i diritti civili, il diritto al lavoro, il diritto a una dignitosa retribuzione, l’equa tassazione, le pari opportunità, il rispetto per l’ambiente… in altri termini una prospettiva di futuro.

Ci rendiamo conto che si è invertita la freccia apparentemente unidirezionale del progresso? I giovani, a differenza di quanto è accaduto a noi e ai nostri padri, non hanno nessuna garanzia di stare meglio della generazione precedente. Chi si deve far carico di questo dato che non è solo politico ma anche esistenziale?

Occorre avere fiducia nelle giovani generazioni perché sarà loro compito adattare quei principi di libertà e democrazia ben sperimentati della nostra tradizione alle nuove realtà cogliendone le potenzialità positive e riattualizzandoli nel mondo globalizzato. La globalizzazione deve essere per loro anche una opportunità e non rappresentare, o peggio essere, solamente l’esperienza di un mondo più precario e più insicuro.

7. Il PD che vorrei è una libera associazione di cittadini capaci di esprime una nuova cultura della cittadinanza. Una nuova cultura della convivenza dove emergesse con sufficiente chiarezza che impostare eticamente il proprio agire non è semplicemente corretto ma anche vantaggioso. Vorrei un partito che non continuasse ad essere appesantito e appiattito nella gestione dell’esistente, ma che fosse capace di suscitare entusiasmo e accrescimento nelle persone che partecipano al suo successo, dove la possibilità di azione politica fosse ampia e desse al cittadino la consapevolezza di poter incidere, poter cambiare. Vorrei un partito dove i vertici riconoscessero, con i necessari limiti, l’importanza imprescindibile di nuove forme di democrazia diretta anche in un sistema di democrazia rappresentativa. Vorrei un partito che partisse dalla base come criterio d’impostazione dell’intera struttura e non solo quando è conveniente, che riconoscesse l’importanza dei circoli. Vorrei un partito che riconoscesse ai circoli l’essenziale necessità di una loro autonomia economica (per promuovere iniziative) senza che questo suscitasse paranoiche sospettosità ma relazioni di fiducia. E’ impegnativo ma la fiducia va sempre reciprocamente verificata, anche quella che la base ripone ai suoi vertici.

Vorrei un partito capace di operare con discernimento sul campo economico, senza pregiudizi.

Vorrei un partito capace di salvaguardare la società civile e che riconoscesse che la fonte del diritto è l’individuo e non lo Stato, la Chiesa o la Nazione (quando si accetta di fondare il diritto su qualunque autorità si giunge sempre ad un vicolo cieco: statalismo, teocrazia, nazionalismo).

Promuovere l’individuo non è promuovere l’individualismo, così come non è giusto chi ascolta la legge ma è nel giusto chi pratica la legge (e a volte è nel giusto chi trasgredisce la legge quando questa è illegittima).

M. Grazia Giacomazzi

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Condivido buona parte dell'intervento e credo anche sia essenziale il dibattito culturale: chi siamo, dove andiamo, che cosa vogliamo. La politica tutta o quasi ci ha abituato ad identificarla con la gestione del potere e dei problemi del momento, ma ha dimenticato di indicarci la strada, il PD come gli altri in questo.
Ritengo tuttavia che un dibattito ed una culturale PD siano liberamente possibili solo quando gli "azionisti" ex-PDS ed ex-Margherita faranno un esame di coscienza nel quale oltre a riconoscersi i meriti individueranno le loro responsabilità per aver sempre dato al paese meno di quello che aveva bisogno in termini di capacità e decisione politica. Alla fine di questo esame dovrebbe risultare che gli attuali big, a tutti i livelli centrali e non, decidano di fare i padri nobili invece che i politici implicati nella difesa dei loro interessi di bottega e di corrente.
E' una premessa indispensabili senza la quale la realtà di un partito nuovo tende ad essere puro desiderio.

giovanni pavan
gmpavan@etics.it

Partito democratico Castelfranco Veneto ha detto...

Si tratta di un atteggiamento desiderabile; anche nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa per aiutare il ricambio. Tuttavia una classe politica rappresenta sempre, nel bene e nel male, il proprio popolo.