IL PD CHE VORREI
Il Pd che vorrei ha un chi, un come, e un cosa.
Esattamente in quest’ordine.
Si pensa spesso che il contenuto abbia caratteristiche di priorità, ma questo facile assioma nasconde un’insidia che viviamo tutti i giorni, ma che non sembriamo vedere.
“Il contenuto” può essere un’enorme bugia e se ben confezionata, può essere incredibilmente… credibile, dunque io prima del contenuto voglio sapere CHI mi sta raccontando quel contenuto.
L’identità non è un luogo di villeggiatura nostalgico e un po snob e nemmeno l’ennesimo vocabolo abusato, non è uno slogan (termine vituperato anche a sproposito), ne una scusa per interminabili tavole più o meno rotonde, l’identità è chi io sono, chi noi siamo, chi è un partito; presentarsi è un gesto di attenzione e di rispetto, che è il primo passo per attivare un processo di stima.
Questo riconoscimento non ci sarà dato se di volta in volta ci trasformiamo per poter essere graditi al nostro interlocutore, ma ci sarà dato perché, e se, nel racconto di noi saranno chiari i passaggi, il sentire, i valori e i progetti, ma anche gli inciampi, le cadute, gli errori e i dubbi; saremo credibile quanto più saremo in grado di essere veri, tanto più saremo in grado di ricordare e ricordarci la storia che ci ha fatto da cornice, le idee che ci hanno infiammato il cuore, la maturità che ha smussato gli angoli, ma lasciato intatta l’energia.
Dichiarare la propria identità, il proprio carattere è un atto di coraggio, è il primo segno di esistenza.
Abbiamo due esempi molto precisi, nel panorama italiano di identità definita che si possono tradurre in: “noi siamo la razza eletta”, “ noi siamo i veri liberali, noi vi libereremo”.
Hanno funzionato, e stanno funzionando, mi pare…
Noi siamo arrivati al “scusate siamo del PD”, nella migliore delle ipotesi, e un voto silente con la testa che scuote dentro ad una cabina, nel peggiore.
Perché non ne andiamo più fieri di essere donne e uomini del PD?
Questa è la domanda che non sento, e la risposta che di conseguenza non può arrivare a toglierci dalla buca nella quale ci hanno spinto e nella quale, con un atteggiamento davvero poco lungimirante, ci siamo lasciati spingere.
E chi potremmo far entrare nel nostro progetto se non siamo nessuno, se la nostra identità è talmente sfuggente che tra di noi dobbiamo continuare a ricordarcela e fuori di noi non si ricordano nemmeno sia esistita.
Ci trasformiamo, ci complichiamo, ci appiattiamo, ci scontriamo, ci nascondiamo, ci dividiamo, ci critichiamo, ci analizziamo.
Perché questa è la democrazia.
Ci difendiamo.
Ma nella democrazia non ci dovrebbe essere anche l’incontro e l’ascolto e poi la comunicazione, il coinvolgimento, e finalmente la decisione e l’azione?
E invece viviamo all’interno di una discussione infinita e sfinente, dove ad intervalli più o meno regolati si vede qualcuno arrampicarsi su un palco e dire in un grido “ma questa è la democrazia”, per poi scivolare, anche lui sfinito, sotto lo stesso palco.
E’ davvero una malattia incurabile?
Ecco perché nell’ordine delle priorità dobbiamo ritrovare chi siamo, dobbiamo tornare a tessere la nostra storia, rendere al partito la sua umanità, il suo essere cuore, ritrovare il desiderio di vittoria, l’orgoglio di appartenenza; perché non c’è schiena dritta dove non c’è un corpo da sostenere, dove non ci sono valori di cui andare fieri e anche dai quali distinguersi, perché si è quello che si è.
Continuare ad essere quello che ci impongono di essere, ci consigliano di essere, ci permettono di essere rischia di renderci inutili come pezzi di un puzzle sparsi per una casa, che nessuno riesce a mettere insieme e che, dopo essere stati riposti in diversi cassetti, vengono buttati, perche “ormai, tanto vale…”
Ecco che siamo giunti al come.
Il come prevede prendersi la responsabilità di tornare ad esistere in prima persona. Siamo un ‘organizzazione seria e non viviamo alla corte di un re improbabile, tra cortigiane tristi e buffoni impauriti, ecco perché dobbiamo anche essere capaci di esprimere noi stessi con responsabilità, soprattutto nei momenti di difficoltà, dobbiamo lanciare chiari segnali di azione, facendo sparire quel linguaggio in cui sembra che “la politica è” o “la politica fa” o meglio “la politica non fa”; i politici fanno o non fanno, non sono “capitati” in un ingranaggio che non condividono e di cui si sentono in ostaggio, non è credibile e infatti nessuno ci crede.
Di questo è fatto il come, del PD che vorrei, un come trasparente, testardo, un come che si allena e si impegna, che include e non tace, che sa fare pulizia senza paura, che sa dire i no, ma che non indietreggia di fronte ai si utili al paese.
Come ci comportiamo con gli uomini e le donne del Pd che scambiano il senso del servizio con il diritto al privilegio?
Come vogliamo arrivare a raggiungere il bene del paese?
Come ci poniamo di fronte alla deriva non della politica, ma dei politici, di cui tutti sparlano come fossero, indistintamente, furbetti di quartierini o quartieroni?
Io non li voglio i treni in orario e un delinquente che urla da una finestra frasi deliranti, qualsiasi sia la finestra, qualsiasi sia il delirio, io non voglio gli aiuti alle famiglie in cambio del bavaglio, della lobotomia, del nulla.
Io non vooglio mia figlia sicura in un paese che per sicurezza intende esclusione, razzismo, infamia e pregiudizio.
Ecco perché dobbiamo avere il nostro come, che va raccontato e che viene prima del cosa, perché il nostro modo di essere deve sottolineare che il fine non giustifica i mezzi.
Dobbiamo tornare a sostenere che qualsiasi cosa si debba ottenere, risolvere o creare non prescinde dalla morale, dal rispetto delle regole, dall’eguaglianza, dalla compassione e dalla giustizia, elementi senza i quali una società diviene un enorme terrificante sopruso capace di trasformare i cittadini in sudditi e, inutile negarlo, i politici in parassiti.
Questa trasparenza deve essere il nostro come e non è possibile che nessuno se ne parli, tanto quanto non è possibile che gli uomimi e le donne del PD possano diimenticarlo, come non è pensabile che migliaia di simpatizzanti, di persone di buon senso non abbiano più la possibilità di crederci.
E sempre a proposito di come, anche presentarci uniti darebbe, che dire, un’impressione di forza, di carattere, di credibilità; siamo gonfi di bersaniani, franceschiniani, bindiani, dalemiani, veltroniani, non vorrei offendere nessuno dimenticandolo…,
Ma vi sembra normale che non si riesca a fare di tante correnti un possente vento capace di farci spiegare le vele, capace di portare l’italia e gli italiani fuori dal guado?
Questo non è democratico?
Essere democratici non può essere una maledizione che ci porta al continuo stallo, alla paralisi, all’autodistruzione; essere democratici, l’ho già detto e ci tengo a ridirlo, vuol dire credere nella migliore e più alta forma di GOVERNO, non di partecipazione fine a se stessa.
Ora possiamo concentrarci sul cosa, e i cosa oggi, nel nostro paese sono davvero infiniti;
Cosa rispondiamo ad una giustizia che sta diventando farsa, che offende i più deboli e chi cerca con fatica e impegno di metterla in atto, e premia tiranni e privilegiati?
Faccio un esempio; alla domanda di un giornalista al nostro segretario che recitava “Occuperete l’aula se dovesse passare la legge bavaglio?”
La risposta è stata “Non sta a me dire cosa faremo precisamente, ma certamente i capogruppo parlamentari utilizzeranno tutti gli strumenti istituzionali per evitare che …”
Che ve ne sembra?
Era sicuramnete una risposta corretta ma quanti avranno ascoltato, pazientato, soprattutto capito?
Immaginatevi un ragazzo di vent’anni che vede la politica distante anni luce, ad un professore stanco che ad ogni manovra è l’orso da centrare con tre palle, a tutti i militanti che militanti più non sono, perché hanno deciso che la loro lotta è stata negata e soprattutto è stata inutile e sono stanchi.
A tutta questa gente non era giusto dire “Certo che occuperemo l’aula e se questo non basterà porteremo tutti gli italiani indignati in piazza, sosterremo i movimenti che sono la nostra voce nelle piazze senza un milione di distinguo e saremo con loro e li aiuteremo per tornare a vivere in un paese normale fatto di confronto e di buon senso dove chi partecipa in modo positivo alla società pagando le tasse, occupandosi del volontariato creando posti di lavoro è un cittadino onorario, e chi vuole difendere i delinquenti, fornire loro strumenti, chi vuole l’autorizzazione ad un sistema di privilegi meschini e sporchi ci vedrà sempre e comunque contro”.
Altro contenuto imprescindibile è l’onestà, che volutamente non chiamo “questione morale”, che mi sembra un inutile edulcorazione lessicale del problema.
Dobbiamo tornare a farci garanti dei nostri rappresentanti, che se non “rappresentano” i nostri valori non possono più essere all’interno del nostro partito, dobbiamo dare senso alla tanto citata quanto disattesa meritrocrazia e dobbiamo dire come vogliamo razionalizzare e rendere davvero efficaci ed efficienti i costi della politica senza che questi sembrino un continuo e costante ladrocinio.
E sull’integrazione che è un diritto per chi arriva e una vera opportunità di crescita per tutti abbiamo proposte ferme e chiare?
E quando chi viene nel nostro paese potrà avere la cittadinanza e partecipare alla vita politica italiana con il voto che dovrebbe essere normale conseguenza per persone che vivono, lavorano e crescono nel nostro paese?
Ci vogliono risposte precise sulle soluzioni di una crisi finanziario/economica che sta disgregando la società e diventa strumento per aizzare poveri contro poveri.
Tassazione delle rendite? Quale lotta all’evasione? Quale genere di aiuti alle piccole imprese? Come tutelarle di fronte alla concorrenza sleale, ai crediti che se non vengono onorati sono semplicemente persi?
Scuola, dove sta il PD rispetto ad una riforma che vede soccombere le famiglie che hanno un figlio disabile, le famiglie che devono adattarsi ad una scuola pubblica che non riconosce i suoi maestri e di conseguenza pesta i diritti dei suoi studenti?
Cosa vogliamo dire al mondo della cultura che non ha più spazio di espressione, che è stato o sta per essere rinchiuso in ghetti vergognosi, togliendo voce e sostentamento, che, come dire, è un bel sistema per disfarsi delle voci libere.
E il nucleare? Cosa pensa il Pd sul nucleare e quali sono le sue battaglie, le proposte alternative?
E l’attenzione al territorio? Come pensiamo di rispondere?
I comuni non sono altro rispetto alle province che a loro volta non sono altro rispetto alle regioni, che non possono essere altro rispetto al paese; ragionare per compartimenti stagni è una visione vecchia oltre che chiaramente fallimentare, abbiamo bisogno di una filiera in sintonia sul chi, sul come e sul cosa, essere radicati sul territorio cos’altro vuol dire se non allargare la propria visione e far sentire tutti partecipi di un sistema nella sua interezza, evitando quel processo a “catena di montaggio” in cui nessuno si sente parte del tutto perché il tutto non gli appartiene.
E la sanità? Io sono stata operata di tumore al seno cinque anni fa e vorrei essere certa che se mi dicono che posso interrompere la cura che sto facendo è perché è la scelta migliore, non perché i miei farmaci costano troppo al sistema, milioni di italiani, come me, hanno bisogno di sentirsi sereni e protetti.
E quanto vale la ricerca medica in questo paese, quanto vale la vita di ognuno di noi, indipendentemente dalla classe sociale alla quale si appartiene?
Ma tutti questi sono argomenti nostri, si potrebbe obiettare, contenuti sui quali siamo gli unici a proporre, a insistere, a lavorare…
Bene vi do una notizia; non lo sa nessuno, e non è una visione pessimista.
Mettete insieme chi ci vota per “fede”, e dunque lo fa indipendentemente dal cosa, chi ha scelto di votare altre formazioni politiche, e dunque non ha capito il nostro cosa e chi non va a votare ed era della nostra area e vediamo che, praticamente, i numeri di chi è con noi con cognizione di causa, perche ha capito le nostre posizioni, e dunque i nostri contenuti, sono numeri tristemente esigui.
Potremmo anche pensare di vivere in un paese distratto, incupito, pieno di disvalori, con giovani assenti e adulti smemorati e disinteressati, ma sarebbe davvero ingiusto verso il nostro paese e soprattutto sarebbe davvero ingiusto verso noi stessi toglierci il peso di questo diffuso disinteresse, di questa rassegnazione dilagante, di questa sfiducia svilente. Vi rendete conto che, negli ultimi 15 anni, ogni volta che siamo chiamati a votare ci andiamo sapendo di perdere? E se per caso, con enorme stupore, questo non accade stiamo al governo del paese da Natale a Santo Stefano?
Lo sapete che a Castelfranco Veneto nelle ultime amministrative l’argomento principe della Lega e del PDL (che tra l’altro ha una sigla davvero troppo simile alla nostra, io proporrei di parlare del nostro partito sempre come PARTITO DEMOCRATICO evitando gli acromimi…) insomma l’argomento principe era che se per caso, ma proprio per caso, ce l’avessimo fatta dopo sei mesi saremmo tornati a votare?
“litigano sempre loro…” sentivi nei bar, in posta, al supermercato…
E poi vogliamo entrare nei contenuti o vogliamo continuare a non pestare i piedi a nessuno, con l’unico risultato che non ci sono più piedi da pestare perché abbiamo il vuoto intorno?
E ancora vogliamo entrare nei contenuti o continuare a coltivare un silenzio che ci rende invisibili, dunque insceglibili?
Ecco il PD cher vorrei; un PD vivo.
Vogliamo dare una seria dimostrazione di cambiamento?
Torniamo ad esistere, non per noi, ma per il paese, chiediamo aiuto ai cittadini, diciamo chiaro e tondo che abbiamo bisogno di tutti, che possiamo cambiare la rotta che ha preso l’Italia solo con il loro sostegno, perché loro ci fanno forti, chiediamogli di uscire dalle case e partecipare alla vita politica e al voto, rassicuriamoli ricordando che siamo dalla loro parte.
E ricordiamo a noi stessi che moltissimi di loro sanno, e non possono essersi scordati, la sensazione di gioia e l’impegno e l’orgoglio che hanno fatto di loro uomini e donne di sinistra.
E una volta che avremmo risvegliato l’orgoglio di appartenenza e la partecipazione delle aree vicine al nostro chi, al nostro come e al nostro cosa, altri occhi saranno pronti a vederci e altre orecchie saranno pronte ad ascoltarci; perché l’entusiasmo e la forza sono contagiose, tanto quanto, purtroppo, è contagiosa la rassegnazione…
Dobbiamo tornare ad avere voce e a chiedere FIDUCIA, e poi dobbiamo davvero meritarcela.
Il Pd che vorrei ha un chi, un come, e un cosa.
Esattamente in quest’ordine.
Si pensa spesso che il contenuto abbia caratteristiche di priorità, ma questo facile assioma nasconde un’insidia che viviamo tutti i giorni, ma che non sembriamo vedere.
“Il contenuto” può essere un’enorme bugia e se ben confezionata, può essere incredibilmente… credibile, dunque io prima del contenuto voglio sapere CHI mi sta raccontando quel contenuto.
L’identità non è un luogo di villeggiatura nostalgico e un po snob e nemmeno l’ennesimo vocabolo abusato, non è uno slogan (termine vituperato anche a sproposito), ne una scusa per interminabili tavole più o meno rotonde, l’identità è chi io sono, chi noi siamo, chi è un partito; presentarsi è un gesto di attenzione e di rispetto, che è il primo passo per attivare un processo di stima.
Questo riconoscimento non ci sarà dato se di volta in volta ci trasformiamo per poter essere graditi al nostro interlocutore, ma ci sarà dato perché, e se, nel racconto di noi saranno chiari i passaggi, il sentire, i valori e i progetti, ma anche gli inciampi, le cadute, gli errori e i dubbi; saremo credibile quanto più saremo in grado di essere veri, tanto più saremo in grado di ricordare e ricordarci la storia che ci ha fatto da cornice, le idee che ci hanno infiammato il cuore, la maturità che ha smussato gli angoli, ma lasciato intatta l’energia.
Dichiarare la propria identità, il proprio carattere è un atto di coraggio, è il primo segno di esistenza.
Abbiamo due esempi molto precisi, nel panorama italiano di identità definita che si possono tradurre in: “noi siamo la razza eletta”, “ noi siamo i veri liberali, noi vi libereremo”.
Hanno funzionato, e stanno funzionando, mi pare…
Noi siamo arrivati al “scusate siamo del PD”, nella migliore delle ipotesi, e un voto silente con la testa che scuote dentro ad una cabina, nel peggiore.
Perché non ne andiamo più fieri di essere donne e uomini del PD?
Questa è la domanda che non sento, e la risposta che di conseguenza non può arrivare a toglierci dalla buca nella quale ci hanno spinto e nella quale, con un atteggiamento davvero poco lungimirante, ci siamo lasciati spingere.
E chi potremmo far entrare nel nostro progetto se non siamo nessuno, se la nostra identità è talmente sfuggente che tra di noi dobbiamo continuare a ricordarcela e fuori di noi non si ricordano nemmeno sia esistita.
Ci trasformiamo, ci complichiamo, ci appiattiamo, ci scontriamo, ci nascondiamo, ci dividiamo, ci critichiamo, ci analizziamo.
Perché questa è la democrazia.
Ci difendiamo.
Ma nella democrazia non ci dovrebbe essere anche l’incontro e l’ascolto e poi la comunicazione, il coinvolgimento, e finalmente la decisione e l’azione?
E invece viviamo all’interno di una discussione infinita e sfinente, dove ad intervalli più o meno regolati si vede qualcuno arrampicarsi su un palco e dire in un grido “ma questa è la democrazia”, per poi scivolare, anche lui sfinito, sotto lo stesso palco.
E’ davvero una malattia incurabile?
Ecco perché nell’ordine delle priorità dobbiamo ritrovare chi siamo, dobbiamo tornare a tessere la nostra storia, rendere al partito la sua umanità, il suo essere cuore, ritrovare il desiderio di vittoria, l’orgoglio di appartenenza; perché non c’è schiena dritta dove non c’è un corpo da sostenere, dove non ci sono valori di cui andare fieri e anche dai quali distinguersi, perché si è quello che si è.
Continuare ad essere quello che ci impongono di essere, ci consigliano di essere, ci permettono di essere rischia di renderci inutili come pezzi di un puzzle sparsi per una casa, che nessuno riesce a mettere insieme e che, dopo essere stati riposti in diversi cassetti, vengono buttati, perche “ormai, tanto vale…”
Ecco che siamo giunti al come.
Il come prevede prendersi la responsabilità di tornare ad esistere in prima persona. Siamo un ‘organizzazione seria e non viviamo alla corte di un re improbabile, tra cortigiane tristi e buffoni impauriti, ecco perché dobbiamo anche essere capaci di esprimere noi stessi con responsabilità, soprattutto nei momenti di difficoltà, dobbiamo lanciare chiari segnali di azione, facendo sparire quel linguaggio in cui sembra che “la politica è” o “la politica fa” o meglio “la politica non fa”; i politici fanno o non fanno, non sono “capitati” in un ingranaggio che non condividono e di cui si sentono in ostaggio, non è credibile e infatti nessuno ci crede.
Di questo è fatto il come, del PD che vorrei, un come trasparente, testardo, un come che si allena e si impegna, che include e non tace, che sa fare pulizia senza paura, che sa dire i no, ma che non indietreggia di fronte ai si utili al paese.
Come ci comportiamo con gli uomini e le donne del Pd che scambiano il senso del servizio con il diritto al privilegio?
Come vogliamo arrivare a raggiungere il bene del paese?
Come ci poniamo di fronte alla deriva non della politica, ma dei politici, di cui tutti sparlano come fossero, indistintamente, furbetti di quartierini o quartieroni?
Io non li voglio i treni in orario e un delinquente che urla da una finestra frasi deliranti, qualsiasi sia la finestra, qualsiasi sia il delirio, io non voglio gli aiuti alle famiglie in cambio del bavaglio, della lobotomia, del nulla.
Io non vooglio mia figlia sicura in un paese che per sicurezza intende esclusione, razzismo, infamia e pregiudizio.
Ecco perché dobbiamo avere il nostro come, che va raccontato e che viene prima del cosa, perché il nostro modo di essere deve sottolineare che il fine non giustifica i mezzi.
Dobbiamo tornare a sostenere che qualsiasi cosa si debba ottenere, risolvere o creare non prescinde dalla morale, dal rispetto delle regole, dall’eguaglianza, dalla compassione e dalla giustizia, elementi senza i quali una società diviene un enorme terrificante sopruso capace di trasformare i cittadini in sudditi e, inutile negarlo, i politici in parassiti.
Questa trasparenza deve essere il nostro come e non è possibile che nessuno se ne parli, tanto quanto non è possibile che gli uomimi e le donne del PD possano diimenticarlo, come non è pensabile che migliaia di simpatizzanti, di persone di buon senso non abbiano più la possibilità di crederci.
E sempre a proposito di come, anche presentarci uniti darebbe, che dire, un’impressione di forza, di carattere, di credibilità; siamo gonfi di bersaniani, franceschiniani, bindiani, dalemiani, veltroniani, non vorrei offendere nessuno dimenticandolo…,
Ma vi sembra normale che non si riesca a fare di tante correnti un possente vento capace di farci spiegare le vele, capace di portare l’italia e gli italiani fuori dal guado?
Questo non è democratico?
Essere democratici non può essere una maledizione che ci porta al continuo stallo, alla paralisi, all’autodistruzione; essere democratici, l’ho già detto e ci tengo a ridirlo, vuol dire credere nella migliore e più alta forma di GOVERNO, non di partecipazione fine a se stessa.
Ora possiamo concentrarci sul cosa, e i cosa oggi, nel nostro paese sono davvero infiniti;
Cosa rispondiamo ad una giustizia che sta diventando farsa, che offende i più deboli e chi cerca con fatica e impegno di metterla in atto, e premia tiranni e privilegiati?
Faccio un esempio; alla domanda di un giornalista al nostro segretario che recitava “Occuperete l’aula se dovesse passare la legge bavaglio?”
La risposta è stata “Non sta a me dire cosa faremo precisamente, ma certamente i capogruppo parlamentari utilizzeranno tutti gli strumenti istituzionali per evitare che …”
Che ve ne sembra?
Era sicuramnete una risposta corretta ma quanti avranno ascoltato, pazientato, soprattutto capito?
Immaginatevi un ragazzo di vent’anni che vede la politica distante anni luce, ad un professore stanco che ad ogni manovra è l’orso da centrare con tre palle, a tutti i militanti che militanti più non sono, perché hanno deciso che la loro lotta è stata negata e soprattutto è stata inutile e sono stanchi.
A tutta questa gente non era giusto dire “Certo che occuperemo l’aula e se questo non basterà porteremo tutti gli italiani indignati in piazza, sosterremo i movimenti che sono la nostra voce nelle piazze senza un milione di distinguo e saremo con loro e li aiuteremo per tornare a vivere in un paese normale fatto di confronto e di buon senso dove chi partecipa in modo positivo alla società pagando le tasse, occupandosi del volontariato creando posti di lavoro è un cittadino onorario, e chi vuole difendere i delinquenti, fornire loro strumenti, chi vuole l’autorizzazione ad un sistema di privilegi meschini e sporchi ci vedrà sempre e comunque contro”.
Altro contenuto imprescindibile è l’onestà, che volutamente non chiamo “questione morale”, che mi sembra un inutile edulcorazione lessicale del problema.
Dobbiamo tornare a farci garanti dei nostri rappresentanti, che se non “rappresentano” i nostri valori non possono più essere all’interno del nostro partito, dobbiamo dare senso alla tanto citata quanto disattesa meritrocrazia e dobbiamo dire come vogliamo razionalizzare e rendere davvero efficaci ed efficienti i costi della politica senza che questi sembrino un continuo e costante ladrocinio.
E sull’integrazione che è un diritto per chi arriva e una vera opportunità di crescita per tutti abbiamo proposte ferme e chiare?
E quando chi viene nel nostro paese potrà avere la cittadinanza e partecipare alla vita politica italiana con il voto che dovrebbe essere normale conseguenza per persone che vivono, lavorano e crescono nel nostro paese?
Ci vogliono risposte precise sulle soluzioni di una crisi finanziario/economica che sta disgregando la società e diventa strumento per aizzare poveri contro poveri.
Tassazione delle rendite? Quale lotta all’evasione? Quale genere di aiuti alle piccole imprese? Come tutelarle di fronte alla concorrenza sleale, ai crediti che se non vengono onorati sono semplicemente persi?
Scuola, dove sta il PD rispetto ad una riforma che vede soccombere le famiglie che hanno un figlio disabile, le famiglie che devono adattarsi ad una scuola pubblica che non riconosce i suoi maestri e di conseguenza pesta i diritti dei suoi studenti?
Cosa vogliamo dire al mondo della cultura che non ha più spazio di espressione, che è stato o sta per essere rinchiuso in ghetti vergognosi, togliendo voce e sostentamento, che, come dire, è un bel sistema per disfarsi delle voci libere.
E il nucleare? Cosa pensa il Pd sul nucleare e quali sono le sue battaglie, le proposte alternative?
E l’attenzione al territorio? Come pensiamo di rispondere?
I comuni non sono altro rispetto alle province che a loro volta non sono altro rispetto alle regioni, che non possono essere altro rispetto al paese; ragionare per compartimenti stagni è una visione vecchia oltre che chiaramente fallimentare, abbiamo bisogno di una filiera in sintonia sul chi, sul come e sul cosa, essere radicati sul territorio cos’altro vuol dire se non allargare la propria visione e far sentire tutti partecipi di un sistema nella sua interezza, evitando quel processo a “catena di montaggio” in cui nessuno si sente parte del tutto perché il tutto non gli appartiene.
E la sanità? Io sono stata operata di tumore al seno cinque anni fa e vorrei essere certa che se mi dicono che posso interrompere la cura che sto facendo è perché è la scelta migliore, non perché i miei farmaci costano troppo al sistema, milioni di italiani, come me, hanno bisogno di sentirsi sereni e protetti.
E quanto vale la ricerca medica in questo paese, quanto vale la vita di ognuno di noi, indipendentemente dalla classe sociale alla quale si appartiene?
Ma tutti questi sono argomenti nostri, si potrebbe obiettare, contenuti sui quali siamo gli unici a proporre, a insistere, a lavorare…
Bene vi do una notizia; non lo sa nessuno, e non è una visione pessimista.
Mettete insieme chi ci vota per “fede”, e dunque lo fa indipendentemente dal cosa, chi ha scelto di votare altre formazioni politiche, e dunque non ha capito il nostro cosa e chi non va a votare ed era della nostra area e vediamo che, praticamente, i numeri di chi è con noi con cognizione di causa, perche ha capito le nostre posizioni, e dunque i nostri contenuti, sono numeri tristemente esigui.
Potremmo anche pensare di vivere in un paese distratto, incupito, pieno di disvalori, con giovani assenti e adulti smemorati e disinteressati, ma sarebbe davvero ingiusto verso il nostro paese e soprattutto sarebbe davvero ingiusto verso noi stessi toglierci il peso di questo diffuso disinteresse, di questa rassegnazione dilagante, di questa sfiducia svilente. Vi rendete conto che, negli ultimi 15 anni, ogni volta che siamo chiamati a votare ci andiamo sapendo di perdere? E se per caso, con enorme stupore, questo non accade stiamo al governo del paese da Natale a Santo Stefano?
Lo sapete che a Castelfranco Veneto nelle ultime amministrative l’argomento principe della Lega e del PDL (che tra l’altro ha una sigla davvero troppo simile alla nostra, io proporrei di parlare del nostro partito sempre come PARTITO DEMOCRATICO evitando gli acromimi…) insomma l’argomento principe era che se per caso, ma proprio per caso, ce l’avessimo fatta dopo sei mesi saremmo tornati a votare?
“litigano sempre loro…” sentivi nei bar, in posta, al supermercato…
E poi vogliamo entrare nei contenuti o vogliamo continuare a non pestare i piedi a nessuno, con l’unico risultato che non ci sono più piedi da pestare perché abbiamo il vuoto intorno?
E ancora vogliamo entrare nei contenuti o continuare a coltivare un silenzio che ci rende invisibili, dunque insceglibili?
Ecco il PD cher vorrei; un PD vivo.
Vogliamo dare una seria dimostrazione di cambiamento?
Torniamo ad esistere, non per noi, ma per il paese, chiediamo aiuto ai cittadini, diciamo chiaro e tondo che abbiamo bisogno di tutti, che possiamo cambiare la rotta che ha preso l’Italia solo con il loro sostegno, perché loro ci fanno forti, chiediamogli di uscire dalle case e partecipare alla vita politica e al voto, rassicuriamoli ricordando che siamo dalla loro parte.
E ricordiamo a noi stessi che moltissimi di loro sanno, e non possono essersi scordati, la sensazione di gioia e l’impegno e l’orgoglio che hanno fatto di loro uomini e donne di sinistra.
E una volta che avremmo risvegliato l’orgoglio di appartenenza e la partecipazione delle aree vicine al nostro chi, al nostro come e al nostro cosa, altri occhi saranno pronti a vederci e altre orecchie saranno pronte ad ascoltarci; perché l’entusiasmo e la forza sono contagiose, tanto quanto, purtroppo, è contagiosa la rassegnazione…
Dobbiamo tornare ad avere voce e a chiedere FIDUCIA, e poi dobbiamo davvero meritarcela.
1 commento:
Questo discorso andrebbe trasmesso a ogni iscritto al PD, (anzi, al Partito Democratico) perché ci si ricordasse finalmente chi dovremmo essere e che cosa dovremmo volere.
C'è qualche speranza se fa ancora politica gente come Laura.
Franco Parmiggiani
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