Gli 8 possibili motivi di incostituzionalità del ddl intercettazioni (in ordine di presenza nel testo)
di Stefano Ceccanti
1. Art. 1 comma 2
La sostituzione del pubblico ministero per le ragioni e con le modalità di cui all’ art. 1 comma 2 viola il principio di ragionevolezza e di eguaglianza (art. 3 Cost.) in quanto si presta a strumentalizzazioni e abusi, rendendo possibile a ciascuno di ‘scegliersi’ il pm. Il rischio è anche di violare il principio di indipendenza della magistratura e di soggezione soltanto alla legge (art. 101.2 Cost.), sulla base di una mera iscrizione nel registro degli indagati, in violazione peraltro dell' art. 27.2 Cost
2. Art. 1 comma 5
La non pubblicabilità delle intercettazioni e dei tabulati neanche per riassunto, ancorché pubbliche e ostensibili alle parti, fino alla conclusione delle indagini preliminari viola il principio di ragionevolezza (art. 3) e il diritto di cronaca (art. 21). I limiti al diritto di cronaca vanno peraltro letti in parallelo con il ‘chilling effect’ derivante altre norme, quali ad es. il divieto di cui all’art. 1, comma 5, cpv. “2-ter”, di pubblicazione, anche per riassunto o nel contenuto, delle richieste e ordinanze emesse in materia di misure cautelari, così precludendo totalmente la cronaca giudiziaria relativamente a fatti interesse pubblico. Tali divieti contrastano peraltro con il principio di cui all’articolo 101.1 Cost., secondo cui “la giustizia è amministrata in nome del popolo”, perché sottrae moltissimi atti processuali alla conoscenza legittima da parte di quei cittadini nel cui nome la giustizia è amministrata. I suddetti divieti appaiono tanto più incompatibili con gli artt. 21 Cost. e 10 della CEDU, ove si consideri il rilevante inasprimento sanzionatorio previsto dal disegno di legge per i reati in materia di pubblicazione degli atti, che rischia di inibire del tutto la libertà di stampa e quindi di privare i cittadini del diritto a ricevere informazioni su fatti di rilievo generale. Ove poi si consideri che tale rilevante inasprimento sanzionatorio non è neppure riferito a condotte lesive della privacy delle parti processuali o dei terzi estranei alle indagini, ben si comprende come questa scelta non possa in alcun modo giustificarsi neppure in ragione dell’esigenza di tutelare beni giuridici di rilievo costituzionale, ma appaia nettamente in contrasto con gli artt. 21 Cost. e 10 della Convenzione europea dei diritti umani e funzionale soltanto a privare i cittadini del diritto di (e all’) informazione. Ciò è peraltro asseverato dalla previsione, di cui all’articolo 1, comma 8, della sospensione obbligatoria del giornalista (e di altri soggetti) dalla professione in ragione della sua iscrizione nel registro degli indagati per violazione del divieto di pubblicazione, qualora l’organo titolare del potere disciplinare ravvisi elementi di responsabilità e ritenga il fatto grave. Norma, questa, che viola la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 cpv. Cost., e rischia peraltro di avere un effetto deterrente rispetto al diritto di cronaca. Sulla responsabilità penale degli editori, poi, il testo finale, se da un lato riduce lievemente la cornice edittale (da 100 a 200 copie), tuttavia estende anche ad essi l'applicabilità dei reati di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria, nonché del delitto di violazione dei divieti di pubblicazione. Tali estensioni sono particolarmente gravi in ragione del particolare meccanismo sotteso alla responsabilità da reato degli enti, che presuppone l’adozione di ‘compliance programs’ (modelli anti-illeciti) che rischiano di privare il direttore del giornale e i singoli giornalisti della necessaria indipendenza.
3. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.1, alinea cpp)
Un chiaro vulnus al principio di ragionevolezza deriva dall’equiparazione alle intercettazioni, quanto al regime di ammissibilità, dell’acquisizione dei dati di traffico telefonico o telematico, che in quanto relativa ai soli dati ‘esterni’ e non invece al contenuto delle comunicazioni, non può in alcun modo essere assistita dalle stesse garanzie né essere soggetta alle medesime limitazioni previste per le intercettazioni. Inoltre la nuova disciplina rischia di violare il diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost., nella misura in cui, diversamente dalla normativa attuale, impedisce alle parti private di richiedere al fornitore, in taluni casi anche in virtù del decreto motivato del pubblico ministero, l’acquisizione di tabulati utili alla dimostrazione della fondatezza della propria tesi difensiva.
4. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.2, cpp)
L’estensione a tutte le intercettazioni ambientali a prescindere dal luogo in cui si svolgano, del requisito della necessaria finalizzazione alla osservazione dell’attività criminosa , oltre a depotenziare significativamente le attività di indagine, viola palesemente il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), nella misura in cui equipara, quanto a limiti di ammissibilità, mezzi di ricerca della prova caratterizzati da un grado assolutamente diverso di incidenza sulla privacy individuale e sulla segretezza delle comunicazioni. Inoltre, se la norma rimane com'è ora, non sarà mai possibile ottenere autorizzazioni ad intercettazioni ambientali per indagare su un reato già commesso, sia esso anche un omicidio o una strage. Certamente, infatti, non ci troveremmo di fronte ad una ipotesi di attività criminosa in corso. Un'assurdità palese anche per altra ragione: l'autorità giudiziaria indaga per definizione sui reati già commessi, non per finalità di prevenzione . Dunque, con la sola eccezione dei reati permanenti (ad es., un reato associativo) e dei delitti distrettuali, questo limite incrinerebbe l'essenza dell'attività investigativa giudiziaria. E’ altresì irragionevole la reiterabilità di tre giorni in tre giorni (per la quale i dettagli sono poi precisati dal comma 3-bis del novellato art. 267, inserito dal successivo comma 11), che rischia peraltro di favorire fughe di notizie nella misura in cui la proroga necessita dell’invio al collegio degli atti d’indagine .
5. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.1, alinea cpp)
Del tutto irragionevole è l’assimilazione di ogni tipo di videoriprese alle intercettazioni, senza distinguere tra riprese a contenuto captativo di conversazioni o no e tra riprese in luoghi privati o no: assimilare, quanto a regime di ammissibilità, mezzi di ricerca della prova così diversamente lesive della privacy, viola il principio di ragionevolezza.
6. Art. 1 comma 11, c.1, lett.a)
Ingiustificabile in quanto irragionevole (art. 3 Cost.) è l’attribuzione al giudice collegiale del tribunale distrettuale della competenza ad autorizzare le intercettazioni che crea paralisi, fughe di notizie e che è asistematica, considerando che il giudice monocratico può disporre non solo misure cautelari personali, ma può anche irrogare un ergastolo, in sede di rito abbreviato.
7. Art.1, c.11, lett.d)
Le limitazioni alle intercettazioni e in particolare quella relativa ai termini massimi di durata delle operazioni captative, non solo privano di strumenti d’indagine preziosi gli organi inquirenti – ostacolando dunque l’attività di accertamento dei reati e così pregiudicando la tutela della sicurezza dei cittadini di cui all’art. dall’art. 6 della Carta di Nizza e in violazione del 112 Cost., che impone l’obbligatorietà non solo dell’esercizio dell’azione penale, ma anche della raccolta delle prove a ciò necessarie - ma non possono peraltro in alcun modo giustificarsi in nome della tutela della privacy. Si consideri infatti che la CEDU, con la recentissima sentenza del 18 maggio scorso, in Case of Kennedy v. United Kingdom , ha ritenuto non contrastante con l’art. 8 CEDU (tutela della privacy) la disciplina inglese sulle intercettazioni ( Regulation of Investigatory Powers Act 2000: “RIPA”) che prevede la possibilità di disporre intercettazioni senza limiti di tempo (purché con successive proroghe motivate), ove ne permangano i presupposti
8. Art. 1 comma 12 , lett.d)
Il divieto di stralcio delle registrazioni e dei verbali prima del deposito in segreteria rischia paradossalmente di aumentare le possibilità che il contenuto delle intercettazioni, e in particolare di quelle strettamente personali, sia divulgato all’esterno. Dunque, violazione della privacy, oltre che del principio di ragionevolezza.
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