venerdì 18 giugno 2010

Paul Zilio 18 giugno 2010

Il PD che vogliamo

Premessa.

I nostri principi, i valori rientrano nel nostro orizzonte, perciò non possiamo non pensare che i progetti o gli obiettivi che vorremmo realizzare non siano figli di questo orizzonte, ma attenzione cerchiamo di non barricarci e tirarci fuori per una presupposta superiorità morale, altrimenti diventerà difficile raggiungere consenso su quella base di elettorato che ci considera degli intellettualoidi snob.
Il lavoro in prospettiva (strategico) si dovrebbe sviluppare fortemente sulla partecipazione a partire dalla base e cioè dalle associazioni di volontariato e da tutti i settori produttivi più lungimiranti nell'offrire nuove opportunità: questo è lavoro culturale che richiede costanza, per riportare le persone nella politica attiva dalla quale si sono allontanate proprio perchè governate a lungo dall'antipolitica, che allontana dai problemi reali e dalle contraddizioni e fa accettare passivamente tutto quello che viene (fuga dalla realtà).
In questo senso si può diventare pragmatici nel momento in cui sappiamo dare delle risposte concrete e responsabili ai problemi di quella situazione (tattica), senza ricadere nella facile demagogia (figlia dell'ideologia).

Il dialogo deve essere aperto con tutti, anche e soprattutto con chi fa della semplice propaganda.

In questo senso diventa fondamentale il discorso dell’identità: quale profilo darsi ? Quali politiche adottare ? Quali sono le priorità ? Queste domande non trovano risposte se ci si chiude dentro il partito; ma sono domande fondamentali da cui dobbiamo partire o ripartire e se non ci si ripensa anche come forma partito si rischia di rimanere fermi sui blocchi di partenza. Sono troppi ormai i falsi movimenti. Le oscillazioni, che rinviano continuamente a valori importanti sicuramente, ma ormai vuoti e sempre troppo pieni di retorica, e a vaghe prospettive di futuro liberista. La nostra politica deve trovare nuovi contenuti su cui muoversi.

Se il processo decisionale parte dalla base e dai circoli può dare davvero delle risposte anche immediate a ciò che ci circonda. Prima però ci deve essere un lavoro di elaborazione per un progetto a partire appunto dall’idea d’identità; e io dico: partecipare davvero democraticamente è il primo grande vero passo verso un effettivo consenso che, ripeto, non può che partire dalla base. I circoli, la base è la conditio sine qua non da cui qualsiasi apparato non può prescindere.

Ci sarebbero tantissime cose da dire perché la situazione in cui ci troviamo a livello nazionale e internazionale è assai grave. L’economia ci presenta ogni giorno il suo conto.

Non facciamoci prendere dal panico: nel senso che spesso la paura viene cavalcata con spregiudicatezza da gruppi politici i quali strumentalizzano con scaltrezza la situazione ottenendo un consenso facile, e almeno sembra, sicuro. E’ chiaro che, da un punto di vista psicologico e utilitaristico, la persona comune si aggrappa a ciò che gli è più familiare e sicuro. La famosa sicurezza.

In questa situazione io credo che un partito o associazione debba essere disponibile ad essere protagonista e a farsi interprete di un disagio sociale crescente. Diventa perciò fondamentale partecipare e fare parte di quei gruppi e associazioni che cercano di trovare delle soluzioni rispetto al degrado presente; in questo senso si è protagonisti e perciò attivi per interpretare la realtà per cambiarla.

1) Credo sia importante partire da un punto di vista che si debba liberare da tutte quelle scorie che ci vincolano ad una visione e a uno stile legato, anche troppo, al nostro passato e vissuto; dobbiamo considerare il PD non come un partito di reduci e di ex appartenenti a vecchie logiche partitiche ma come un partito davvero nuovo e innovativo (qualcuno ha parlato di laboratorio, anche in questo senso).

Che cosa s’intende per nuovo ? Abbandonare la nostra storia e memoria precedente? No. I percorsi segnati dalla storia precedente dovrebbero caso mai diventare occasione di aprirne degli altri, invece troppo spesso sono diventati sentieri che hanno creato delle chiusure: una vera apertura presuppone di togliere ogni pregiudiziale e di ascoltare davvero anche opinioni che troppo spesso vengono sottovalutate. Nessun avventurismo ma scendere qualche volta dalla cattedra, dall’alto del proprio sapere e della propria troppo esibita integrità, potrebbe renderci più credibili anche agli occhi di chi ci ha sempre guardato con sospetto (comunisti, non hanno mai voluto veramente governare, snob, saccenti ma non conoscono la cultura del fare, ecc…).

Perciò dobbiamo essere coraggiosi nel proporre delle alternative vere, realistiche. Ma solo se conosciamo bene ciò di cui parliamo o trattiamo possiamo essere incisivi. Hanno ragione i consiglieri quando affermano che bisogna sapere stimare un bilancio e quant’altro, ma è anche vero che se non c’è informazione e vera collaborazione quella conoscenza rimane chiusa all’interno di un ristretto numero di persone.

L’informazione trasparente era uno dei nostri slogan in campagna elettorale. Sappiamo quanto questo sia importante .

Tornare alla politica vera dunque dopo ormai 15 anni di antipolitica, in cui si sono riciclati apparati che nonostante il bipolarismo hanno mantenuto uno status quo che ha favorito solo Berlusconi e il partito ora più vecchio della seconda Repubblica, ovvero la Lega.

Ma purtroppo qualcosa è cambiato; è cambiata la società sempre più legata al proprio “particolare”, sempre più lontana dalla vera vita politica (il numero dei non votanti sta aumentando sempre di più); è anche vero che l’impegno di ogni famiglia è diventato sempre più faticoso e difficile.

Però attenzione esistono molteplici realtà come i quartieri , le scuole, le associazioni eccetera che non hanno più voce politica e quindi decisionale: punto fondamentale, strategicamente fondamentale per recuperare dal basso le vere esigenze di componenti sociali che altrimenti rimangono senza voce e potere.

2) Autonomia - Indipendenza e Libertà: i circoli devono riappropriarsi di una vera autonomia anche nello stabilire uno statuto il più possibile vicino alle problematiche ed esigenze del circolo (politica orizzontale e dal basso). Maggiore autonomia per essere più propositivi e per mettere nelle condizioni gli apparati di ascoltarci con rispetto delle nostre istanze, il che significa essere più attenti alle realtà e meno invischiati in giochi di potere sempre più fine a se stessi. Sicuramente bisogna ripensare all’idea di rappresentanza degli iscritti, soprattutto per coloro che sono più disponibili a partecipare e a lavorare per lo sviluppo del partito, aggregando componenti esterne che non necessariamente debbano essere iscritte al partito. Questo non significa sminuire il lavoro degli iscritti, bensì vuol dire arricchire il partito, che diventa veramente veicolo di idee e progetti.

La possibilità per i circoli di confrontarsi rispetto alle idee e progetti ritenuti importanti per quell’area.

L’idea di poter sviluppare un partito federalista del nord (vedi Cacciari e Chiamparino), a mio avviso è fondamentale se vogliamo vincere. Rompere gli schemi di convenienza e correntizi che servono solo per garantire posti di potere. Garantire soprattutto un maggiore finanziamento ai circoli.

3) Federalismo: un vero federalismo non può non avere che come proprio orizzonte l’Europa. Può sembrare una contraddizione, ma solo valorizzando le componenti di un’area o territorio all’interno di un progetto di più largo respiro ci può essere futuro (pensiamo per esempio al problema dell’immigrazione, non è solo un problema italiano, non è solo un problema del nord-est ; è risolvibile assieme, se l’Europa lo vuole. Una politica dell’integrazione europea, a partire però dalle situazioni locali). Valorizzare un vero federalismo vuol dire valorizzare una migliore e più articolata idea di Europa.

4) Alcune considerazioni dettate dagli ultimi eventi: ho trovato davvero scandaloso che la direzione regionale abbia fatto mancare per ben due volte il numero legale per decidere la data limite di nuove iscrizioni per l’elettorato attivo dei prossimi congressi. E’ una questione fondamentale per il rinnovamento e l’apertura di tutto il partito, fondamentale per i circoli e va contro il nostro progetto di coalizione. Secondo me sarebbe urgente convocare al più presto l’assemblea degli iscritti per discutere anche di questo episodio nella prospettiva del congresso di settembre.

5) Una veloce riflessione sul risultato elettorale ottenuto dal PD nelle ultime elezioni: è vero abbiamo perso, volevamo vincere, ci siamo anche illusi dopo il risultato del primo turno, a mio avviso di grande portata e novità. Il segno di apertura ha sicuramente messo in moto dei processi che a lungo termine dovrebbe portare dei frutti. Certamente alcuni errori di tattica sono stati compiuti. Perciò non sono affatto d’accordo con coloro che si ostinano a dichiarare che abbiamo subito una sonora batosta, dato che durante la fase antecedente al secondo turno i leghisti non mi sembravano così sicuri di vincere. Abbiamo davvero corso per la vittoria. Ma poi la storia ci ha punito perché la gente si è ricordata dei nostri precedenti momenti di governo (vedi giunta Marchetti), risultata poco attendibile. Proprio per questo radicarsi nei gruppi di lavoro e lavorare con forza assieme ai consiglieri per conoscere sempre di più la situazione del nostro territorio potrà risultare vincente. Proprio perché la spinta propulsiva della base può contribuire a metterci nella condizione di essere sempre coraggiosamente in prima linea e non solo nei luoghi istituzionali.

6) Ultimo punto ma non meno importante: sento sempre un costante richiamo all’unità. Ma un vero partito non è mai veramente unito, nel senso che ci devono essere delle posizioni e delle idee che possono risultare diverse, siamo in democrazia, guai se ci dovessimo appiattire su un falso senso di unità solo per quieto vivere. Nelle contraddizioni vere e nella dialettica emerge davvero poi un partito più forte. Mi sembra che la nostra storia insegni: si è sempre cercata una sorta di sintesi per non scontentare mai nessuno, invece la storia ci ha dimostrato che proprio per questo motivo dal Psi del congresso di Livorno del 1921 in poi ci sono state continue e drammatiche fratture e divisioni.

Piccolo glossario ad uso dei ..

Primarie: sono importanti, mettono in moto una forte partecipazione e qui a Castelfranco hanno funzionato, però attenzione nessuno le ha sposate per cui diventano conditio sine qua non, a volte i tempi non le permettono e perciò non credo che dovremmo strapparci le vesti se qualche volta non vengono fatte. Certo che è un elemento importante di democrazia e partecipazione.

Giovani: dove sono? Senza di loro un rinnovamento non è possibile: una riflessione vera sulle politiche giovanili deve essere pensata: lavoro, ambiente e scuola sono le parole d’ordine, la classe insegnante deve essere risvegliata e coinvolta.

Ambiente: rilancio dell’agricoltura non solo come opportunità di lavoro ma anche come salvaguardia dell’ambiente.

Mi piacerebbe avere un riscontro rispetto alle cose dette .

Paul Zilio

giovedì 17 giugno 2010

Gli 8 possibili motivi di incostituzionalità del ddl intercettazioni

Gli 8 possibili motivi di incostituzionalità del ddl intercettazioni (in ordine di presenza nel testo)

di Stefano Ceccanti

1. Art. 1 comma 2

La sostituzione del pubblico ministero per le ragioni e con le modalità di cui all’ art. 1 comma 2 viola il principio di ragionevolezza e di eguaglianza (art. 3 Cost.) in quanto si presta a strumentalizzazioni e abusi, rendendo possibile a ciascuno di ‘scegliersi’ il pm. Il rischio è anche di violare il principio di indipendenza della magistratura e di soggezione soltanto alla legge (art. 101.2 Cost.), sulla base di una mera iscrizione nel registro degli indagati, in violazione peraltro dell' art. 27.2 Cost

2. Art. 1 comma 5

La non pubblicabilità delle intercettazioni e dei tabulati neanche per riassunto, ancorché pubbliche e ostensibili alle parti, fino alla conclusione delle indagini preliminari viola il principio di ragionevolezza (art. 3) e il diritto di cronaca (art. 21). I limiti al diritto di cronaca vanno peraltro letti in parallelo con il ‘chilling effect’ derivante altre norme, quali ad es. il divieto di cui all’art. 1, comma 5, cpv. “2-ter”, di pubblicazione, anche per riassunto o nel contenuto, delle richieste e ordinanze emesse in materia di misure cautelari, così precludendo totalmente la cronaca giudiziaria relativamente a fatti interesse pubblico. Tali divieti contrastano peraltro con il principio di cui all’articolo 101.1 Cost., secondo cui “la giustizia è amministrata in nome del popolo”, perché sottrae moltissimi atti processuali alla conoscenza legittima da parte di quei cittadini nel cui nome la giustizia è amministrata. I suddetti divieti appaiono tanto più incompatibili con gli artt. 21 Cost. e 10 della CEDU, ove si consideri il rilevante inasprimento sanzionatorio previsto dal disegno di legge per i reati in materia di pubblicazione degli atti, che rischia di inibire del tutto la libertà di stampa e quindi di privare i cittadini del diritto a ricevere informazioni su fatti di rilievo generale. Ove poi si consideri che tale rilevante inasprimento sanzionatorio non è neppure riferito a condotte lesive della privacy delle parti processuali o dei terzi estranei alle indagini, ben si comprende come questa scelta non possa in alcun modo giustificarsi neppure in ragione dell’esigenza di tutelare beni giuridici di rilievo costituzionale, ma appaia nettamente in contrasto con gli artt. 21 Cost. e 10 della Convenzione europea dei diritti umani e funzionale soltanto a privare i cittadini del diritto di (e all’) informazione. Ciò è peraltro asseverato dalla previsione, di cui all’articolo 1, comma 8, della sospensione obbligatoria del giornalista (e di altri soggetti) dalla professione in ragione della sua iscrizione nel registro degli indagati per violazione del divieto di pubblicazione, qualora l’organo titolare del potere disciplinare ravvisi elementi di responsabilità e ritenga il fatto grave. Norma, questa, che viola la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 cpv. Cost., e rischia peraltro di avere un effetto deterrente rispetto al diritto di cronaca. Sulla responsabilità penale degli editori, poi, il testo finale, se da un lato riduce lievemente la cornice edittale (da 100 a 200 copie), tuttavia estende anche ad essi l'applicabilità dei reati di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria, nonché del delitto di violazione dei divieti di pubblicazione. Tali estensioni sono particolarmente gravi in ragione del particolare meccanismo sotteso alla responsabilità da reato degli enti, che presuppone l’adozione di ‘compliance programs’ (modelli anti-illeciti) che rischiano di privare il direttore del giornale e i singoli giornalisti della necessaria indipendenza.

3. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.1, alinea cpp)

Un chiaro vulnus al principio di ragionevolezza deriva dall’equiparazione alle intercettazioni, quanto al regime di ammissibilità, dell’acquisizione dei dati di traffico telefonico o telematico, che in quanto relativa ai soli dati ‘esterni’ e non invece al contenuto delle comunicazioni, non può in alcun modo essere assistita dalle stesse garanzie né essere soggetta alle medesime limitazioni previste per le intercettazioni. Inoltre la nuova disciplina rischia di violare il diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost., nella misura in cui, diversamente dalla normativa attuale, impedisce alle parti private di richiedere al fornitore, in taluni casi anche in virtù del decreto motivato del pubblico ministero, l’acquisizione di tabulati utili alla dimostrazione della fondatezza della propria tesi difensiva.

4. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.2, cpp)

L’estensione a tutte le intercettazioni ambientali a prescindere dal luogo in cui si svolgano, del requisito della necessaria finalizzazione alla osservazione dell’attività criminosa , oltre a depotenziare significativamente le attività di indagine, viola palesemente il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), nella misura in cui equipara, quanto a limiti di ammissibilità, mezzi di ricerca della prova caratterizzati da un grado assolutamente diverso di incidenza sulla privacy individuale e sulla segretezza delle comunicazioni. Inoltre, se la norma rimane com'è ora, non sarà mai possibile ottenere autorizzazioni ad intercettazioni ambientali per indagare su un reato già commesso, sia esso anche un omicidio o una strage. Certamente, infatti, non ci troveremmo di fronte ad una ipotesi di attività criminosa in corso. Un'assurdità palese anche per altra ragione: l'autorità giudiziaria indaga per definizione sui reati già commessi, non per finalità di prevenzione . Dunque, con la sola eccezione dei reati permanenti (ad es., un reato associativo) e dei delitti distrettuali, questo limite incrinerebbe l'essenza dell'attività investigativa giudiziaria. E’ altresì irragionevole la reiterabilità di tre giorni in tre giorni (per la quale i dettagli sono poi precisati dal comma 3-bis del novellato art. 267, inserito dal successivo comma 11), che rischia peraltro di favorire fughe di notizie nella misura in cui la proroga necessita dell’invio al collegio degli atti d’indagine .

5. Art. 1 comma 10 (art. 266, c.1, alinea cpp)

Del tutto irragionevole è l’assimilazione di ogni tipo di videoriprese alle intercettazioni, senza distinguere tra riprese a contenuto captativo di conversazioni o no e tra riprese in luoghi privati o no: assimilare, quanto a regime di ammissibilità, mezzi di ricerca della prova così diversamente lesive della privacy, viola il principio di ragionevolezza.

6. Art. 1 comma 11, c.1, lett.a)

Ingiustificabile in quanto irragionevole (art. 3 Cost.) è l’attribuzione al giudice collegiale del tribunale distrettuale della competenza ad autorizzare le intercettazioni che crea paralisi, fughe di notizie e che è asistematica, considerando che il giudice monocratico può disporre non solo misure cautelari personali, ma può anche irrogare un ergastolo, in sede di rito abbreviato.

7. Art.1, c.11, lett.d)

Le limitazioni alle intercettazioni e in particolare quella relativa ai termini massimi di durata delle operazioni captative, non solo privano di strumenti d’indagine preziosi gli organi inquirenti – ostacolando dunque l’attività di accertamento dei reati e così pregiudicando la tutela della sicurezza dei cittadini di cui all’art. dall’art. 6 della Carta di Nizza e in violazione del 112 Cost., che impone l’obbligatorietà non solo dell’esercizio dell’azione penale, ma anche della raccolta delle prove a ciò necessarie - ma non possono peraltro in alcun modo giustificarsi in nome della tutela della privacy. Si consideri infatti che la CEDU, con la recentissima sentenza del 18 maggio scorso, in Case of Kennedy v. United Kingdom , ha ritenuto non contrastante con l’art. 8 CEDU (tutela della privacy) la disciplina inglese sulle intercettazioni ( Regulation of Investigatory Powers Act 2000: “RIPA”) che prevede la possibilità di disporre intercettazioni senza limiti di tempo (purché con successive proroghe motivate), ove ne permangano i presupposti

8. Art. 1 comma 12 , lett.d)

Il divieto di stralcio delle registrazioni e dei verbali prima del deposito in segreteria rischia paradossalmente di aumentare le possibilità che il contenuto delle intercettazioni, e in particolare di quelle strettamente personali, sia divulgato all’esterno. Dunque, violazione della privacy, oltre che del principio di ragionevolezza.

Per la crescita, per l’equità, per il lavoro

Pubblichiamo le proposte del Pd per correggere una manovra sbagliata e ingiusta, realizzate a cura del
Dipartimento Economia e Lavoro del Partito Democratico.

Il 19 giugno manifestazione a Roma al Palalottomatica

Premessa
La manovra di finanza pubblica in discussione al Senato (il decimo intervento correttivo in due anni di governo), è dovuta alle scelte elettorali ed agli errori di politica economica compiuti dal Governo Berlusconi negli ultimi due anni. Per valutare l’impatto di scelte ed errori, va ricordato che il Governo Berlusconi, a maggio 2008, ha ereditato un quadro di finanza pubblica ricondotto su binari di sostenibilità, dopo il deragliamento causato dal Ministro Tremonti nel periodo 2001-2006. Infatti, il Governo Prodi a maggio 2006 trovò una procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea per deficit eccessivo e un debito pubblico in risalita dopo 13 anni di calo. Dopo due anni, il centrosinistra consegnò al Governo Berlusconi-Tremonti un bilancio pubblico con un saldo primario strutturale al 2% ed un debito ricondotto in discesa. La forza del risanamento avviato è documentata dal risultato di indebitamento 2008: nonostante la contrazione dell’economia (-1%), l’assenza di interventi correttivi in corso d’anno e l’abbandono della lotta all’evasione, il deficit 2008 si è fermato al 2,7% del Pil.

Tra le cause elettorali della manovra, ricordiamo le principali:

a. l’eliminazione delle misure di contrasto all’evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi e il dimezzamento delle sanzioni per l’evasione accertata;

b. il “salvataggio” dell’italianità di Alitalia;

c. la completa eliminazione dell’Ici sulla prima casa per i nuclei familiari a reddito e patrimonio più elevato;

d. gli incentivi fiscali al lavoro straordinario quando già; incominciava a moltiplicarsi il ricorso alla Cassa Integrazione;

e. la riduzione delle compensazioni fiscali alle banche per le perdite su crediti inesigibili in una fase segnata dalla contrazione dell’offerta di liquidità alle piccole imprese.

Tra gli errori, vanno iscritti i seguenti:

a. i tagli orizzontali e ciechi, e pertanto inefficaci, alle spese di funzionamento delle pubbliche amministrazioni senza alcun disegno di riorganizzazione complessiva di ciascuna macchina amministrativa;

b. l’abbattimento delle spese per investimento sia delle pubbliche amministrazioni centrali sia degli enti territoriali a causa di un Patto di Stabilità Interno indifferenziato;

c. l’utilizzo delle risorse per le aree sottoutilizzate (Fas) per coprire ogni genere di spesa corrente;

d. il rinvio delle riforme strutturali al dopo crisi;

e. l’assenza di interventi a sostegno del reddito dei disoccupati “atipici”;

f. le ritardate e deboli misure per il rafforzamento dei fondi di garanzia per il credito alle micro, piccole e medie imprese;

g. il mancato pagamento di parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese;

h. le retromarce sulle principali liberalizzazioni messe in campo nella scorsa legislatura;

i. l’abbandono del “monitoraggio attivo” sull’andamento dei prezzi di beni e servizi fondamentali per il potere d’acquisto delle famiglie (dai prodotti petroliferi, alle polizze assicurative);

j. l’aumento delle tariffe di importanti servizi pubblici per fare cassa (dai servizi postali all’acqua, dall’elettricità al trasporto ferroviario);

k. l’eliminazione di rilevanti detrazioni Irpef (ad esempio, le detrazioni per l’acquisto degli abbonamenti dei pendolari, le detrazioni per le spese di aggiornamento degli insegnanti) e l’aumento di imposte e tasse (dall’assenza di compensazione del fiscal drag alla tassa sulle memorie virtuali presenti in tutti i dispositivi elettronici);

l. lo svuotamento dei crediti d’imposta alle imprese per la ricerca e lo sviluppo e agli investimenti nel Mezzogiorno;

m. l’eliminazione della detrazione del 55% per le eco-ristrutturazioni.

In sintesi, la manovra presentata dal Governo Berlusconi-Tremonti non ha il fine di migliorare gli obiettivi di deficit e debito pubblico in risposta alle turbolenze europee ed internazionali o per tener conto di un quadro macroeconomico peggiore di quello ipotizzato nella Nota di Aggiornamento al Programma di Stabilità e Crescita inviato a Bruxelles a gennaio 2010.
La Relazione Unificata per l’Economia e la Finanza Pubblica, 6 maggio 2010, afferma in modo chiaro che “gli obiettivi programmatici di indebitamento netto restano fermi al 3,9% del Pil per il 2011 e al 2,7% per il 2012 …. il mantenimento degli obiettivi individua una manovra correttiva sul saldo primario pari, in termini cumulati, a circa 1,6 punti percentuali di Pil nel biennio 2011-2012”.
La manovra non ha neppure il fine di recuperare, come avviene per gli altri principali Paesi europei e gli Usa, le risorse dedicate al salvataggio del sistema bancario o gli interventi anti-ciclici attuati dal Governo. Per una serie di ragioni, le banche italiane non hanno avuto bisogno di capitali pubblici e gli interventi anti-ciclici, nonostante i 10 decreti di finanza pubblica realizzati da giugno 2008 ad oggi, sono stati assenti.
Pertanto, la manovra è necessaria a compensare scelte elettorali ed errori, mentre negli altri Paesi Ocse gli interventi straordinari sono necessari a compensare salvataggi bancari e politiche anti-crisi pari, in media, a 3-4 punti percentuali di Pil. Insomma, la manovra poteva essere evitata attraverso una strategia riformista e una responsabile e accorta gestione della finanza pubblica.

Una manovra senza crescita

Il difetto principale della manovra è l’assenza di una strategia di crescita nella quale collocarla.
La “cultura della stabilità”, tardivamente scoperta dal Ministro Tremonti, viene posta in alternativa alla “cultura della crescita sostenibile”. Così, il Ministro dell’Economia continua a far coincidere la politica economica con la politica di bilancio.
Non può funzionare. La politica di bilancio è parte della politica economica. Soprattutto, l’errore fondamentale della politica economica del Governo sta nell’inversione delle variabili “vincolo” con le variabili “obiettivo”.
Il controllo della finanza pubblica è stato assunto come obiettivo della politica economica, mentre doveva essere considerato come vincolo in relazione all’obiettivo della crescita.
L’inversione implica che, per il Ministro dell’Economia, lasciare aumentare la spesa per acquisti di beni e servizi di 14 miliardi nel biennio alle nostre spalle (+12% a fronte di una contrazione del Pil nominale di quasi 2 punti percentuali) è equivalente al blocco degliinvestimenti pubblici e allo svuotamento degli incentivi agli investimenti delle imprese. Ovviamente, ai fini dell’impatto sull’economia reale e sulla produttività, non è così.
Insomma, nel rispetto degli aggiustamenti di finanza pubblica, sarebbe stato (e continua ad essere) necessario puntare sulla crescita, non solo e non tanto in termini anti-ciclici, quanto in termini strutturali, ossia per aggredire i nodi che da un quarto di secolo determinano la caduta della nostra produttività totale dei fattori.
Non è stato un errore tecnico. È stata conseguenza di una cultura politica dominata dalla sfiducia nell’Italia civile ed innovativa, dalla declinazione dell’intervento pubblico in economia in forme discrezionali e dirigiste, per “comprare” o estorcere consenso ad interessi particolaristici più che a migliorare le condizioni di contesto e ad attuare interventi selettivi di politica industriale ancorati a principi generali. Insomma, un minimalismo corporativo a salvaguardia di rendite di posizione e alle cieche convenienze di interessi di corto respiro.
Le politiche per la crescita non possono essere promosse soltanto a livello nazionale. Anzi, gli sforzi nazionali rischiano di essere frustrati se permane un indirizzo di politica economica europea mercantilistico e deflattivo, ossia la “linea” imposta dalla Germania all’area euro.
È necessario impegnare il Governo italiano affinché promuova nell’Unione Europea e nell’area euro una linea alternativa per un’Europa federalista della crescita e del lavoro. Vuol dire accompagnare le misure emergenziali e difensive decise a Bruxelles il 10 maggio scorso con un’offensiva per:
  • un'effettiva e stringente regolazione e vigilanza federale dei mercati finanziari per disciplinare hedge funds, fondi sovrani, attività; speculative degli intermediari finanziari;
  • un "Piano Europeo per il Lavoro", finanziato con eurobonds, per costruire infrastrutture strategiche, sostenere programmi di ristrutturazione industriale, politica industriale, ricerca ed innovazione;
  • il rafforzamento del mercato unico secondo le linee guida elaborate nel recente "Rapporto Monti";
  • un coordinamento contro la competizione fiscale al ribasso, per il contrasto ai paradisi fiscali, per una financial transaction tax contro i movimenti finanziari speculativi;
  • l'apertura, in sede WTO, di una discussione sugli standard sociali ed ambientali minimi per gli scambi di merci e servizi e un border tax adjustment.
In sintesi, la Strategia Europa 2020, approvata a marzo dal Consiglio Europeo, è superata e va radicalmente ridefinita sia sul piano degli obiettivi, che sul piano della governance.

Una manovra sbagliata e ingiusta

La manovra è profondamente iniqua. Non solo perché interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice l’incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito (ad esempio, non solo la scuola e la sanità sono in condizioni diversissime rispetto ad altre amministrazioni, ma anche all’interno del comparto scuola e sanità le differenze sono rilevantissime).
La manovra è profondamente iniqua perché i tagli ciechi alla spesa colpiscono in misura insufficiente gli sprechi e le inefficienze, mentre tagliano in modo insostenibile i diritti dei cittadini, dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati, delle micro e piccole imprese. In particolare, peseranno i tagli ad alcuni capitoli del Bilancio dello Stato (ad esempio, ordine pubblico e sicurezza, infrastrutture, risorse per Fas, ecc.) ed i brutali tagli ai trasferimenti a Regioni, Province e Comuni.
Le Regioni a statuto ordinario sono chiamate ad uno sforzo impossibile in quanto i 4,5 miliardi di minori trasferimenti all’anno previsti si scaricheranno su una quota intorno al 15% dei bilanci regionali, dato che la stragrande maggioranza delle risorse intermediate dalle Regioni è dedicata alla spesa sanitaria.
I Comuni, già soffocati dai vincoli “stupidi” del Patto di Stabilità Interno introdotti nell’estate 2008, dovranno ridurre ancora di più sia la spesa per investimenti, sia i servizi sociali. In sostanza, gli interventi sugli enti territoriali, decisi in modo iper-centralistico dal Governo nazionale, determineranno meno risorse per la scuola, per il diritto allo studio, per l’integrazione al reddito dei disoccupati, per l’assistenza agli anziani, per il trasporto pubblico locale, per il sostegno alle imprese, per l’edilizia pubblica.
In alternativa alla diminuzione delle risorse, Regioni, Province e Comuni saranno costrette ad aumentare imposte e tariffe. Il percorso è anticipato dalla possibilità riconosciuta al Comune di Roma di introdurre, tra l’altro, un’imposta di soggiorno ed un’imposta sugli imbarchi aerei.
In generale, la manovra contiene misure incidenti sulla condizione economica dei cittadini: ad esempio la facoltà riconosciuta alle concessionarie autostradali di aumentare i pedaggi, con aggravi fino al 25%, o l’assoggettamento al pedaggio anche dei raccordi autostradali gestiti dall’ANAS.
Le scelte iper-centralistiche sugli enti territoriali pregiudicano l’avvio del federalismo responsabile e solidale. La manovra, infatti, attraverso il taglio dei trasferimenti a Regioni, Province e Comuni limita lo spazio finanziario e getta le basi per una definizione minimale dei livelli essenziali delle prestazioni di cittadinanza.
Apre la porta, quindi, ad un federalismo differenziato ad esclusivo vantaggio delle realtà più ricche del Paese.
A tal proposito, va rimarcato l’ulteriore aggravamento dell’iniquità territoriale nella politica di bilancio del Governo.
Il “centralismo nordista” del Governo continua a sottrarre risorse alle regioni meridionali. La prima forte sottrazione, circa 2 miliardi, è stata effettuata per compensare i costi della completa eliminazione del taglio dell’ICI. Altri 500 milioni, destinati ad investimenti in Calabria e Sicilia, sono stati usati a copertura di spesa corrente. Sopratutto, le risorse Fas sono state utilizzate per ogni ordine di spesa corrente e spesso per far fronte ad esigenze di carattere ordinario. In totale, i tagli e le preallocazioni improprie sono stati pari a circa 19 miliardi di euro (risultanti per 13,7 miliardi dai tagli indicati nella delibera CIPE n. 112/2008 e, per i restanti 5,3 miliardi, da preallocazioni previste da leggi successive).
Nella manovra le risorse Fas vengono ulteriormente ridotte di 2,6 miliardi di euro nel triennio 2011-2013. La possibilità riconosciuta alle regioni meridionali di azzerare l’Irap sulle nuove imprese è puramente virtuale, dato che è completamente a carico delle medesime regioni le quali, come ricordato, sono soffocate dai tagli dei trasferimenti e rischiano, anche a causa del debito nella Sanità, di dover aumentare l’Irap, oltre che l’addizionale Irpef.
La manovra è profondamente iniqua anche perché non viene chiesto alcun contributo a quanti negli ultimi anni hanno beneficiato di un’enorme redistribuzione di reddito e ricchezza. I redditi milionari ed i grandi patrimoni, esempio estremo il Signor Silvio Berlusconi, non contribuiscono neanche con un euro al “sacrificio necessario a salvare la Patria”. La tassazione aggiuntiva del 10% sui bonus superiori almeno a tre volte l’importo della retribuzione fissa dei manager delle banche è l’ennesima presa in giro dato che, dopo gli interventi della Banca d’Italia, non esistono più mix retributivi simili.
Infine, la manovra è profondamente iniqua perché le misure anti-evasione sono una retromarcia parziale e contraddittoria. Innanzitutto, va ricordata la tolleranza attiva dell’evasione praticata dal Governo Berlusconi-Tremonti.
Al di là delle citazioni del Berlusconi d’annata, il favore all’evasione è evidente nei 18 condoni fiscali, contributivi ed edilizi fatti dal 2001 al 2006 e ripresi in questa legislatura. Inoltre, è evidente anche nella cancellazione delle misure anti-evasione introdotte dal Governo Prodi nella scorsa legislatura.
Infine, è evidente nel mega-condono per i capitali evasi e trasferiti all’estero (il famoso “scudo fiscale”) a prezzi di favore (5% rispetto a circa il 50% dovuto negli altri Paesi), con garanzia di anonimato e sospensione dell’obbligo di segnalazione anti-riciclaggio per gli intermediari finanziari.
A proposito di risultati raggiunti dal Governo Berlusconi- Tremonti nella lotta all’evasione, la contabilità è falsa. Infatti, non si può fare solo riferimento agli incassi da accertamenti, ma si deve guardare all’andamento dei comportamenti dei contribuenti, ossia alla fedeltà fiscale (tax compliance).
In sostanza, negli ultimi 2 anni abbiamo avuto +1 in maggiori incassi da accertamenti e -10 a causa della caduta della fedeltà fiscale. L’andamento del gettito Iva è crollato del 10%, mentre i consumi sono rimasti stabili in termini nominali. Non c’è nessun caso analogo in Europa e, come noto, l’Iva è l’apripista dell’evasione.
Non a caso, nel 2009 e 2010 il crollo delle imposte dirette sul reddito ha superato le pur pessimistiche previsioni del Ministero dell’Economia.
A conferma della retromarcia del Governo viene indicata la re-introduzione della tracciabilità dei pagamenti.
A tal proposito, va ricordato che il Governo Prodi aveva introdotto 2 misure distinte: la soglia dei 5.000 euro in funzione antiriciclaggio (abolita dal Governo Berlusconi nel giugno 2008 ed ora re-introdotta) e la soglia, in graduale riduzione da 1.000 a 100 euro, esclusivamente per i pagamenti dei professionisti (ossia, non si applicava per l’acquisto delle scarpe). Per far seriamente la lotta all’evasione, la retromarcia di Tremonti dovrebbe anche riguardare il ripristino delle sanzioni all’evasione accertata (dimezzate nell’estate del 2008) e l’eliminazione della protezione dai controlli fiscali assicurata agli oltre 200.000 grandi evasori che hanno beneficiato dello scudo fiscale a prezzi stracciati.
Inoltre, per recuperare almeno in minima parte il gettito perduto, il “mitico” redditometro propagandato dall’Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere applicato anche agli accertamenti sugli anni precedenti al 2009: non si vede perché l’amministrazione dovrebbe privarsi di tale potente strumento per accertare il passato.
Infine, non va dimenticato che l’evasione si combatte anche con le politiche industriali e per la competitività delle imprese, insomma con le riforme per la crescita, non solo con i controlli ed i vincoli.
Per rendere credibile, quindi efficace, la retromarcia del Governo Berlusconi-Tremonti nella lotta all’evasione, andrebbe eliminato ogni spazio ai condoni. Invece, la manovra contiene, nonostante le smentite ufficiali, il rischio di condono per gli “immobili fantasma” e per possibili abusi da realizzare entro il 31 dicembre 2010.



Una manovra strutturalmente debole

La manovra, oltre che orfana di una strategia per la crescita e profondamente iniqua, è anche poco strutturale.
Innanzitutto, le correzioni di spese ed entrate si riferiscono ad andamenti tendenziali (ossia a “legislazione vigente”, senza tener conto degli effetti della manovra in discussione) che sono irrealistici.
È irrealistico, viste le serie storiche, assumere per il triennio 2010-2012 la sostanziale invarianza delle spese per acquisti di beni e servizi.
È altrettanto irrealistico prevedere una crescita delle imposte dirette ed indirette con un’elasticità al Pil superiore ad 1, dati i risultati nettamente inferiori conseguiti nel 2008 e 2009 a causa dell’allargamento dell’area dell’evasione.
All’irrealismo dello scenario base, si somma l’irrealismo delle correzioni definite nella manovra. In particolare, sono completamente fuori misura le previsioni di recupero di evasione. Anzi, si deve sottolineare il mutato atteggiamento della Ragioneria Generale dello Stato che, con un’inversione di 180 gradi rispetto alla posizione, corretta, avuta nella scorsa legislatura, ha considerato valide le previsioni di entrata (per alcuni miliardi di euro all’anno) conseguenti all’ “effetto deterrenza”.
Oltre alle valutazioni irrealistiche, i risparmi previsti nella manovra sono in diversi e rilevanti casi di carattere una tantum. Si tratta, ad esempio, della sospensione degli scatti di anzianità nel pubblico impiego per i settori per i quali è previsto il recupero alla fine del triennio.
Si tratta, almeno in parte, data l’assenza di radicali interventi di ristrutturazione e ri-organizzazione mirata, del blocco del turn-over, della cancellazione di metà dei contratti di lavoro a tempo determinato e dei tagli per le spese delle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali.

Le proposte del Pd per la crescita ed il lavoro

Le proposte del Pd si incentrano su misure per la crescita, per il lavoro e per l’equità. Senza sostegno alla crescita, al lavoro, e attenzione all’equità non vi può essere risanamento sostenibile dei conti pubblici.
Gli interventi si concentrano su 4 assi: I) riforme fiscali, per spostare il carico dal lavoro e dall’impresa ai redditi evasi e ai redditi da capitale.
Il baricentro della riforma fiscale è la tassazione di tutti i redditi con un’aliquota di riferimento al 20% a cominciare dalla prima aliquota Irpef, poiché un euro di reddito da lavoro o d’impresa non può essere tassato più di un euro di reddito da capitale o di rendita.
Negli emendamenti alla manovra, intendiamo realizzare i primi passi della riforma.
Per innalzare il tasso di attività femminile, sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, migliorare la competitività delle imprese e qualificare la crescita, proponiamo di:
  • aumentare le detrazioni d’imposta per le donne lavoratrici in nuclei famigliari con figli a carico;
  • introdurre, gradualmente, un contributo annuale di 3000 euro all’anno per ogni figlio fino alla maggiore età, a cominciare dalla fascia 0-3 anni, esteso anche ai lavoratori autonomi e professionisti;
  • eliminare i tetti ed il click day all’utilizzo dei crediti d’imposta per le spese in ricerca e sviluppo e per gli investimenti nel Mezzogiorno;
  • innalzare la franchigia Irap per le piccole imprese;
  • innalzare i limiti di fatturato e patrimonio per il “forfettone fiscale” e rivedere gli Studi di Settore;
  • re-introdurre la detrazione d’imposta del 55% per le eco-ristrutturazioni e per il risparmio energetico e ripristinare il mercato dei “certificati verdi”;
II) allentamento del Patto di Stabilità Interno per evitare a Regioni, Province e Comuni pesanti tagli agli investimenti, in particolare per la messa a norma degli edifici scolastici e per la green economy, ai servizi sociali, alle politiche di sostegno delle piccole imprese e del lavoro autonomo; III) integrazione delle risorse per la scuola, articolazione degli interventi per il contenimento dei costi nel pubblico impiego, in particolare per i giovani precari, revisione degli interventi sugli enti di ricerca pubblici; riforma del sostegno al reddito per i giovani disoccupati da lavori precari; IV) riavvio delle liberalizzazioni nel settore dell’energia, della distribuzione, dei servi bancari, dei servizi professionali, del trasporto pubblico.
Per coprire gli interventi per la crescita, il lavoro e l’equità, il Pd propone le seguenti misure: 1. “piani industriali” specifici ed interventi per la riorganizzazione e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni:
  • cancellazione delle normative in deroga per gli appalti, in particolare la gestione in deroga per la Protezione Civile;
  • revisione del progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina;
  • razionalizzazione delle società pubbliche o partecipate da Stato, Regioni, Province e Comuni;
  • razionalizzazione degli uffici delle amministrazioni centrali sul territorio;
  • centralizzazione degli acquisti;
  • revisioni dei programmi di spesa del Ministero della Difesa ed eliminazione della società Difesa SpA;
  • razionalizzazione sedi universitarie;
  • razionalizzazione corpi di polizia;
  • razionalizzazione dei livelli di governo territoriale;
  • riduzione mirata del numero di dirigenti pubblici;
  • abbassamento dei costi della politica attraverso la riduzione del numero dei parlamentari e la specializzazione delle Camere;
2. il contrasto all’evasione fiscale e contributiva:
  • riduzione a 2.000 euro del limite per la fatturazione elettronica;
  • accertamento sintetico da redditometro potenziato a partire dal 2005;
  • accesso selettivo alle informazioni bancarie;
  • neutralizzazione dei patrimoni condonati dallo “scudo fiscale” ai fini dell’accertamento ed innalzamento dell’aliquota di regolarizzazione;
  • ripristino delle sanzioni per l’evasione accertata come vigenti a maggio 2008;

3. l’allineamento della tassazione dei redditi da capitale (inclusi i redditi da locazione ed esclusi i titoli del debito pubblico) su un’aliquota del 20% e, in coordinamento con la riforma federalista, la destinazione delle imposte sui redditi da capitale immobiliare al finanziamento dei Comuni; l’introduzione e/o innalzamento delle tasse su consumi ed attività produttive ad elevato impatto ambientale;
4. l’asta per l’assegnazione delle frequenze liberate dal digitale terrestre ed il passaggio delle pubbliche amministrazioni all’utilizzo dei software open source.

O.D.G. del 15-6-2010 su regolamento congressuale

O.D.G.: REGOLAMENTO CONGRESSUALE – CONSIDERAZIONI.

Il circolo PD di Castelfranco V.to prende atto del regolamento per il rinnovo delle cariche locali e provinciali appena licenziato dalla Direzione Regionale, anche in conformità con quanto predisposto e licenziato a livello nazionale, non senza disagio e malessere.

Il circolo PD di Castelfranco V.to non condivide la necessità di insistere, in ambiti congressuali del Partito Democratico, con la presentazione e votazione di liste bloccate. Il nostro partito a livello nazionale si è reso giustamente protagonista di una forte critica verso la Legge elettorale per le elezioni politiche attualmente vigente, legge che ci regala un parlamento di nominati anziché di eletti. Con quale coerenza, perpetuiamo l’utilizzo di liste bloccate nei nostri congressi?

Il circolo PD di Castelfranco Veneto si dichiara ancor più deluso per la mancata modifica, da parte della Direzione Regionale, della data limite di iscrizione degli aventi diritto alla partecipazione ed al voto nei nostri congressi. Un partito che aspira a rinnovarsi e ad aprirsi alle generazioni future, un partito che ritiene che uno dei mali dell’Italia sia la difficoltà di ricambio nei ruoli chiave del Paese, NON PUO’ togliere l’opportunità ai nuovi iscritti, ed al loro entusiasmo, di contribuire fattivamente, con il proprio voto, all’evoluzione della propria classe dirigente.

Infine il circolo PD di Castelfranco Veneto intende sottolineare il proprio disagio per il mancato recepimento, da parte dell’ Assemblea Nazionale nelle assise del 21 e 22 maggio 2010, della proposta di maggiore e più diretto finanziamento dei circoli locali. Anche in questo caso non si coglie la coerenza con l’ambizione federalista del nostro Partito. Quale capacità di sviluppo può esserci, da parte dei circoli, di una proposta politica specifica per il proprio territorio, senza almeno una esigua capacità economica garantita?

Il circolo PD di Castelfranco, pur adeguandosi alle nuove regole per il futuro rinnovo congressuale intende manifestare apertamente il proprio disagio per queste nuove regole (che tanto nuove non sono!), ed intende richiedere la solidarietà degli altri circoli del PD, della Direzione Provinciale e degli organismi dirigenti regionali, affinchè il proprio messaggio di forte critica possa trovare maggiore considerazione, in un prossimo futuro, a tutti i livelli del Partito.

IL CIRCOLO PD DI CASTELFRANCO VENETO RITIENE CHE IL PARTITO DEMOCRATICO DEBBA ESSERE, IN FUTURO, PIU’ APERTO, PIU’ INCLINE AD INCLUDERE, PIU’ EFFICACE ANCHE DAL PUNTO DI VISTA DELLA AUTONOMIA FINANZIARIA, A LIVELLO LOCALE. LE REGOLE CHE CI SIAMO APPENA DATI NON CI AIUTANO IN QUESTO.

Il Coordinamento di circolo

Castelfranco Veneto 15 giugno 2010

lunedì 14 giugno 2010

Laura Viola 14 giugno 2010

IL PD CHE VORREI

Il Pd che vorrei ha un chi, un come, e un cosa.
Esattamente in quest’ordine.

Si pensa spesso che il contenuto abbia caratteristiche di priorità, ma questo facile assioma nasconde un’insidia che viviamo tutti i giorni, ma che non sembriamo vedere.

“Il contenuto” può essere un’enorme bugia e se ben confezionata, può essere incredibilmente… credibile, dunque io prima del contenuto voglio sapere CHI mi sta raccontando quel contenuto.

L’identità non è un luogo di villeggiatura nostalgico e un po snob e nemmeno l’ennesimo vocabolo abusato, non è uno slogan (termine vituperato anche a sproposito), ne una scusa per interminabili tavole più o meno rotonde, l’identità è chi io sono, chi noi siamo, chi è un partito; presentarsi è un gesto di attenzione e di rispetto, che è il primo passo per attivare un processo di stima.

Questo riconoscimento non ci sarà dato se di volta in volta ci trasformiamo per poter essere graditi al nostro interlocutore, ma ci sarà dato perché, e se, nel racconto di noi saranno chiari i passaggi, il sentire, i valori e i progetti, ma anche gli inciampi, le cadute, gli errori e i dubbi; saremo credibile quanto più saremo in grado di essere veri, tanto più saremo in grado di ricordare e ricordarci la storia che ci ha fatto da cornice, le idee che ci hanno infiammato il cuore, la maturità che ha smussato gli angoli, ma lasciato intatta l’energia.

Dichiarare la propria identità, il proprio carattere è un atto di coraggio, è il primo segno di esistenza.
Abbiamo due esempi molto precisi, nel panorama italiano di identità definita che si possono tradurre in: “noi siamo la razza eletta”, “ noi siamo i veri liberali, noi vi libereremo”.
Hanno funzionato, e stanno funzionando, mi pare…

Noi siamo arrivati al “scusate siamo del PD”, nella migliore delle ipotesi, e un voto silente con la testa che scuote dentro ad una cabina, nel peggiore.
Perché non ne andiamo più fieri di essere donne e uomini del PD?

Questa è la domanda che non sento, e la risposta che di conseguenza non può arrivare a toglierci dalla buca nella quale ci hanno spinto e nella quale, con un atteggiamento davvero poco lungimirante, ci siamo lasciati spingere.

E chi potremmo far entrare nel nostro progetto se non siamo nessuno, se la nostra identità è talmente sfuggente che tra di noi dobbiamo continuare a ricordarcela e fuori di noi non si ricordano nemmeno sia esistita.
Ci trasformiamo, ci complichiamo, ci appiattiamo, ci scontriamo, ci nascondiamo, ci dividiamo, ci critichiamo, ci analizziamo.
Perché questa è la democrazia.
Ci difendiamo.

Ma nella democrazia non ci dovrebbe essere anche l’incontro e l’ascolto e poi la comunicazione, il coinvolgimento, e finalmente la decisione e l’azione?

E invece viviamo all’interno di una discussione infinita e sfinente, dove ad intervalli più o meno regolati si vede qualcuno arrampicarsi su un palco e dire in un grido “ma questa è la democrazia”, per poi scivolare, anche lui sfinito, sotto lo stesso palco.
E’ davvero una malattia incurabile?

Ecco perché nell’ordine delle priorità dobbiamo ritrovare chi siamo, dobbiamo tornare a tessere la nostra storia, rendere al partito la sua umanità, il suo essere cuore, ritrovare il desiderio di vittoria, l’orgoglio di appartenenza; perché non c’è schiena dritta dove non c’è un corpo da sostenere, dove non ci sono valori di cui andare fieri e anche dai quali distinguersi, perché si è quello che si è.
Continuare ad essere quello che ci impongono di essere, ci consigliano di essere, ci permettono di essere rischia di renderci inutili come pezzi di un puzzle sparsi per una casa, che nessuno riesce a mettere insieme e che, dopo essere stati riposti in diversi cassetti, vengono buttati, perche “ormai, tanto vale…”

Ecco che siamo giunti al come.
Il come prevede prendersi la responsabilità di tornare ad esistere in prima persona. Siamo un ‘organizzazione seria e non viviamo alla corte di un re improbabile, tra cortigiane tristi e buffoni impauriti, ecco perché dobbiamo anche essere capaci di esprimere noi stessi con responsabilità, soprattutto nei momenti di difficoltà, dobbiamo lanciare chiari segnali di azione, facendo sparire quel linguaggio in cui sembra che “la politica è” o “la politica fa” o meglio “la politica non fa”; i politici fanno o non fanno, non sono “capitati” in un ingranaggio che non condividono e di cui si sentono in ostaggio, non è credibile e infatti nessuno ci crede.

Di questo è fatto il come, del PD che vorrei, un come trasparente, testardo, un come che si allena e si impegna, che include e non tace, che sa fare pulizia senza paura, che sa dire i no, ma che non indietreggia di fronte ai si utili al paese.
Come ci comportiamo con gli uomini e le donne del Pd che scambiano il senso del servizio con il diritto al privilegio?
Come vogliamo arrivare a raggiungere il bene del paese?
Come ci poniamo di fronte alla deriva non della politica, ma dei politici, di cui tutti sparlano come fossero, indistintamente, furbetti di quartierini o quartieroni?

Io non li voglio i treni in orario e un delinquente che urla da una finestra frasi deliranti, qualsiasi sia la finestra, qualsiasi sia il delirio, io non voglio gli aiuti alle famiglie in cambio del bavaglio, della lobotomia, del nulla.
Io non vooglio mia figlia sicura in un paese che per sicurezza intende esclusione, razzismo, infamia e pregiudizio.
Ecco perché dobbiamo avere il nostro come, che va raccontato e che viene prima del cosa, perché il nostro modo di essere deve sottolineare che il fine non giustifica i mezzi.

Dobbiamo tornare a sostenere che qualsiasi cosa si debba ottenere, risolvere o creare non prescinde dalla morale, dal rispetto delle regole, dall’eguaglianza, dalla compassione e dalla giustizia, elementi senza i quali una società diviene un enorme terrificante sopruso capace di trasformare i cittadini in sudditi e, inutile negarlo, i politici in parassiti.

Questa trasparenza deve essere il nostro come e non è possibile che nessuno se ne parli, tanto quanto non è possibile che gli uomimi e le donne del PD possano diimenticarlo, come non è pensabile che migliaia di simpatizzanti, di persone di buon senso non abbiano più la possibilità di crederci.

E sempre a proposito di come, anche presentarci uniti darebbe, che dire, un’impressione di forza, di carattere, di credibilità; siamo gonfi di bersaniani, franceschiniani, bindiani, dalemiani, veltroniani, non vorrei offendere nessuno dimenticandolo…,
Ma vi sembra normale che non si riesca a fare di tante correnti un possente vento capace di farci spiegare le vele, capace di portare l’italia e gli italiani fuori dal guado?
Questo non è democratico?
Essere democratici non può essere una maledizione che ci porta al continuo stallo, alla paralisi, all’autodistruzione; essere democratici, l’ho già detto e ci tengo a ridirlo, vuol dire credere nella migliore e più alta forma di GOVERNO, non di partecipazione fine a se stessa.

Ora possiamo concentrarci sul cosa, e i cosa oggi, nel nostro paese sono davvero infiniti;
Cosa rispondiamo ad una giustizia che sta diventando farsa, che offende i più deboli e chi cerca con fatica e impegno di metterla in atto, e premia tiranni e privilegiati?
Faccio un esempio; alla domanda di un giornalista al nostro segretario che recitava “Occuperete l’aula se dovesse passare la legge bavaglio?”
La risposta è stata “Non sta a me dire cosa faremo precisamente, ma certamente i capogruppo parlamentari utilizzeranno tutti gli strumenti istituzionali per evitare che …”

Che ve ne sembra?
Era sicuramnete una risposta corretta ma quanti avranno ascoltato, pazientato, soprattutto capito?
Immaginatevi un ragazzo di vent’anni che vede la politica distante anni luce, ad un professore stanco che ad ogni manovra è l’orso da centrare con tre palle, a tutti i militanti che militanti più non sono, perché hanno deciso che la loro lotta è stata negata e soprattutto è stata inutile e sono stanchi.
A tutta questa gente non era giusto dire “Certo che occuperemo l’aula e se questo non basterà porteremo tutti gli italiani indignati in piazza, sosterremo i movimenti che sono la nostra voce nelle piazze senza un milione di distinguo e saremo con loro e li aiuteremo per tornare a vivere in un paese normale fatto di confronto e di buon senso dove chi partecipa in modo positivo alla società pagando le tasse, occupandosi del volontariato creando posti di lavoro è un cittadino onorario, e chi vuole difendere i delinquenti, fornire loro strumenti, chi vuole l’autorizzazione ad un sistema di privilegi meschini e sporchi ci vedrà sempre e comunque contro”.





Altro contenuto imprescindibile è l’onestà, che volutamente non chiamo “questione morale”, che mi sembra un inutile edulcorazione lessicale del problema.
Dobbiamo tornare a farci garanti dei nostri rappresentanti, che se non “rappresentano” i nostri valori non possono più essere all’interno del nostro partito, dobbiamo dare senso alla tanto citata quanto disattesa meritrocrazia e dobbiamo dire come vogliamo razionalizzare e rendere davvero efficaci ed efficienti i costi della politica senza che questi sembrino un continuo e costante ladrocinio.

E sull’integrazione che è un diritto per chi arriva e una vera opportunità di crescita per tutti abbiamo proposte ferme e chiare?
E quando chi viene nel nostro paese potrà avere la cittadinanza e partecipare alla vita politica italiana con il voto che dovrebbe essere normale conseguenza per persone che vivono, lavorano e crescono nel nostro paese?

Ci vogliono risposte precise sulle soluzioni di una crisi finanziario/economica che sta disgregando la società e diventa strumento per aizzare poveri contro poveri.
Tassazione delle rendite? Quale lotta all’evasione? Quale genere di aiuti alle piccole imprese? Come tutelarle di fronte alla concorrenza sleale, ai crediti che se non vengono onorati sono semplicemente persi?

Scuola, dove sta il PD rispetto ad una riforma che vede soccombere le famiglie che hanno un figlio disabile, le famiglie che devono adattarsi ad una scuola pubblica che non riconosce i suoi maestri e di conseguenza pesta i diritti dei suoi studenti?
Cosa vogliamo dire al mondo della cultura che non ha più spazio di espressione, che è stato o sta per essere rinchiuso in ghetti vergognosi, togliendo voce e sostentamento, che, come dire, è un bel sistema per disfarsi delle voci libere.

E il nucleare? Cosa pensa il Pd sul nucleare e quali sono le sue battaglie, le proposte alternative?

E l’attenzione al territorio? Come pensiamo di rispondere?
I comuni non sono altro rispetto alle province che a loro volta non sono altro rispetto alle regioni, che non possono essere altro rispetto al paese; ragionare per compartimenti stagni è una visione vecchia oltre che chiaramente fallimentare, abbiamo bisogno di una filiera in sintonia sul chi, sul come e sul cosa, essere radicati sul territorio cos’altro vuol dire se non allargare la propria visione e far sentire tutti partecipi di un sistema nella sua interezza, evitando quel processo a “catena di montaggio” in cui nessuno si sente parte del tutto perché il tutto non gli appartiene.

E la sanità? Io sono stata operata di tumore al seno cinque anni fa e vorrei essere certa che se mi dicono che posso interrompere la cura che sto facendo è perché è la scelta migliore, non perché i miei farmaci costano troppo al sistema, milioni di italiani, come me, hanno bisogno di sentirsi sereni e protetti.
E quanto vale la ricerca medica in questo paese, quanto vale la vita di ognuno di noi, indipendentemente dalla classe sociale alla quale si appartiene?

Ma tutti questi sono argomenti nostri, si potrebbe obiettare, contenuti sui quali siamo gli unici a proporre, a insistere, a lavorare…

Bene vi do una notizia; non lo sa nessuno, e non è una visione pessimista.
Mettete insieme chi ci vota per “fede”, e dunque lo fa indipendentemente dal cosa, chi ha scelto di votare altre formazioni politiche, e dunque non ha capito il nostro cosa e chi non va a votare ed era della nostra area e vediamo che, praticamente, i numeri di chi è con noi con cognizione di causa, perche ha capito le nostre posizioni, e dunque i nostri contenuti, sono numeri tristemente esigui.

Potremmo anche pensare di vivere in un paese distratto, incupito, pieno di disvalori, con giovani assenti e adulti smemorati e disinteressati, ma sarebbe davvero ingiusto verso il nostro paese e soprattutto sarebbe davvero ingiusto verso noi stessi toglierci il peso di questo diffuso disinteresse, di questa rassegnazione dilagante, di questa sfiducia svilente. Vi rendete conto che, negli ultimi 15 anni, ogni volta che siamo chiamati a votare ci andiamo sapendo di perdere? E se per caso, con enorme stupore, questo non accade stiamo al governo del paese da Natale a Santo Stefano?
Lo sapete che a Castelfranco Veneto nelle ultime amministrative l’argomento principe della Lega e del PDL (che tra l’altro ha una sigla davvero troppo simile alla nostra, io proporrei di parlare del nostro partito sempre come PARTITO DEMOCRATICO evitando gli acromimi…) insomma l’argomento principe era che se per caso, ma proprio per caso, ce l’avessimo fatta dopo sei mesi saremmo tornati a votare?
“litigano sempre loro…” sentivi nei bar, in posta, al supermercato…

E poi vogliamo entrare nei contenuti o vogliamo continuare a non pestare i piedi a nessuno, con l’unico risultato che non ci sono più piedi da pestare perché abbiamo il vuoto intorno?
E ancora vogliamo entrare nei contenuti o continuare a coltivare un silenzio che ci rende invisibili, dunque insceglibili?

Ecco il PD cher vorrei; un PD vivo.
Vogliamo dare una seria dimostrazione di cambiamento?
Torniamo ad esistere, non per noi, ma per il paese, chiediamo aiuto ai cittadini, diciamo chiaro e tondo che abbiamo bisogno di tutti, che possiamo cambiare la rotta che ha preso l’Italia solo con il loro sostegno, perché loro ci fanno forti, chiediamogli di uscire dalle case e partecipare alla vita politica e al voto, rassicuriamoli ricordando che siamo dalla loro parte.
E ricordiamo a noi stessi che moltissimi di loro sanno, e non possono essersi scordati, la sensazione di gioia e l’impegno e l’orgoglio che hanno fatto di loro uomini e donne di sinistra.
E una volta che avremmo risvegliato l’orgoglio di appartenenza e la partecipazione delle aree vicine al nostro chi, al nostro come e al nostro cosa, altri occhi saranno pronti a vederci e altre orecchie saranno pronte ad ascoltarci; perché l’entusiasmo e la forza sono contagiose, tanto quanto, purtroppo, è contagiosa la rassegnazione…

Dobbiamo tornare ad avere voce e a chiedere FIDUCIA, e poi dobbiamo davvero meritarcela.


Vietato l'inno di Mameli

Dalla "Tribuna" del 13 giugno 2010:

Treviso. Luca Zaia vieta l’Inno di Mameli, è bufera

Imbarazzo, con seguito di polemiche, all’inaugurazione di una scuola di Vedelago, dove Luca Zaia, neopresidente della regione, ha vietato l’Inno di Mameli, previsto dal cerimoniale. I collaboratori del governatore hanno fatto presente che era meglio il Va’ pensiero caro a Bossi. E così è stato.
Leggi l'articolo

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sabato 5 giugno 2010

IL VENETO CHE VOGLIAMO, LE POLITICHE DEL PD

Si è svolto presso l'Auditorium Santa Croce a Treviso, la sera del primo giugno, un'importante riunione che ha visto l'intervento delle più rappresentative cariche istituzionali del PD trevigiano. E' possibile vedere i video degli interventi qui.
Si è trattato di una serata importante che ha fornito utili stimoli alla discussione congressuale nello spirito unitario che ispira questa fase del PD trevigiano.

venerdì 4 giugno 2010

Verità sulla manovra economica

“Noi non facciamo questa manovra per l'Europa, la speculazione o per la Grecia. Ci chiedono di tenere i conti in ordine ma se li abbiamo in disordine per la bellezza di 25 miliardi, e' responsabilita' di un governo che ha sbagliato la politica economica, ha favorito l'evasione fiscale, non ha controllato la spesa corrente, mentre tagliava 8 miliardi sulla scuola, ne spendeva 14 in piu' nell'acquisto di beni e servizi della pubblica amministrazione e ha ridotto la crescita.”. Con questo passaggio Pier Luigi Bersani ha voluto riassumere la sua intervista al Tg1 nel post cha ha pubblicato qui. Nel video, Bersani spiega il no del PD alla manovra del governo, ti invitiamo a dire la tua nei commenti al post.

Il PD, nella sua proposta di manovra, chiede di puntare tutto su 4 obiettivi chiari: investimenti sull'economia verde, l'università e la ricerca, una riforma fiscale, l'allentamento del Patto di Stabilità, il riavvio delle liberalizzazioni. Leggi in dettaglio la nostra proposta e partecipa alla discussione.

.... E non dimenticare di guardare il video Berlusconi e le tasse

Tremonti e le tasse

mercoledì 2 giugno 2010

Intervento Direzione regionale PD Veneto

(di Giuseppe Esposito)

PREMESSA

Scrivo queste brevi note indirizzandole ai colleghi membri della Direzione regionale del Partito Democratico Veneto. Nella nostra riunione di lunedì 31 maggio u.s. non abbiamo potuto discutere di questi temi, pur essendoci lo specifico punto all’ordine del giorno, perché l’obbligo di approvazione delle norme attuative per i congressi territoriali avevano la precedenza. E’ quindi con la finalità già espressa dalla segretaria regionale in chiusura della nostra riunione del 16 aprile u.s., cioè scambio di analisi e proposte per iscritto, che aggiungo queste riflessioni alle altre già offerte dai colleghi, cercando di contribuire alla definizione di quel profilo identitario verso il quale, con tanto affanno, stiamo cercando di approdare in questi mesi. Lo faccio, consapevole del fatto che un profilo politico e di identità non può prescindere da quello che si è e da quello che si vuole fare; di questo sono convinto ma mi pare che questa semplice affermazione stenti a trovare comportamenti coerenti a partire dall’assemblea nazionale del 21-22 maggio uu.ss. Cercherò quindi di partire da alcune valutazioni relative agli esiti dell’assemblea nazionale per arrivare alle proposte per l’immediato futuro.


L’Assemblea nazionale del 21-22 maggio 2010: luci ed ombre

Inizio dalle questioni che più hanno a che fare con la nostra identità e con la capacità di riconoscere la società italiana per come si propone anche nella vasta area democratica, ovvero quello che amiamo definire “il nostro elettorato”; ed in questa area si collocano a pieno titolo i nostri circoli; assumono quindi estrema importanza le regole del funzionamento del PD. Voglio subito dire che riflessioni di questo tipo non sono ne stucchevoli ne oziose; le questioni relative alle regole del gioco hanno a che vedere con l’atteggiamento che abbiamo quando cerchiamo di risolvere le questioni più vitali del nostro rapporto con la società italiana. Ecco allora che le considerazioni sull’esito che ha avuto il dibattito sullo statuto nazionale con la stesura attualmente disponibile è questione fondamentale per il PD. Preciso inoltre che queste riflessioni fanno riferimento alla versione attualmente presente sul sito nazionale del PD nella sezione “pdopen” (ore 17 del 2 giugno 2010) che vede, in testa, la dicitura “versione non corretta”.


Le primarie

Inizio dalla questione delle primarie; qui non voglio discutere del problema correttamente sollevato da Salvatore Vassallo,

ovvero di una proposta di modifica statutaria che mutava il meccanismo delle primarie ma che non si è avuto il coraggio di sostenere nella discussione. Detto per inciso, questo fatto andrebbe spiegato invece di nascondere un’opinione che avrebbe avuto, a mio avviso, piena legittimità per essere sostenuta nel dibattito.

Qui intendo riferirmi ad una richiesta che ho recepito, come estremamente diffusa nei nostri circoli, quando abbiamo tenuto le assemblee degli iscritti nel settembre del 2009. Io ho presentato la mozione Bersani in una decina di circoli della provincia di Treviso; in tutti i casi mi sono misurato con la necessità, espressa dagli iscritti, di una semplificazione del meccanismo di elezione del segretario nazionale e regionale e degli organismi dirigenti relativi; di fatto la stessa mozione che sostenevo si impegnava in quella direzione; è stata sostenuta dagli iscritti, in particolare, l’esigenza di eleggere direttamente i segretari e gli organismi dirigenti e di rinunciare, per quelli, alle primarie, semplificando così e riducendo ad una sola fase il congresso.

Cosa se ne ricava? Se ne ricava che gli iscritti vogliono essere pienamente padroni di eleggere il propri segretari e scegliere (loro) la linea del partito. Le norme che si leggono per il segretario nazionale e per quello regionale non sono cambiate con questa nuova versione dello statuto nazionale. Io credo che ci possano essere opinioni anche molto diverse sul tema; ma è possibile che su un tema così sentito dagli iscritti non si sviluppi un dibattito nazionale? Non è questo un metodo a dir poco controproducente? Sono convinto di avere fatto nel 2009 un congresso in terra patria, non su di un altro pianeta. A meno di non considerare la provincia di Treviso come aliena.

Solo una cosa nel merito di questa questione: se davvero si temeva che il segretario nazionale potesse non essere il candidato presidente del consiglio bastava l’introduzione del comma 8 dell’art.18 ora presente:

8. Qualora il Partito Democratico aderisca a primarie di coalizione per la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri è ammessa, tra gli iscritti del Partito Democratico, la sola candidatura del Segretario nazionale.

Per il resto la questione andava almeno discussa dando ampia visibilità delle posizioni.

E’ successo anche qualcos’altro. Con uno statuto e le relative norme transitorie per i congressi di circolo e provinciali abbiamo la coesistenza di due sistemi:

1. Primarie per i segretari nazionale e regionale e relative assemblee;

2. Elezione da parte degli iscritti per circoli e strutture provinciali.

A chiunque può sorgere spontanea una domanda: perché due sistemi diversi?

La riflessione sulle primarie è un tentativo di ritrovare il senso perduto di uno strumento di straordinaria innovazione democratica. Insomma: quello che è successo in questi primi due anni e mezzo di vita del PD è che le primarie non sono state usate per definire le candidature di deputati e senatori, di parlamentari europei ed, in molti casi, di presidenti della regione. Ricordo che questa è la funzione fondamentale delle primarie. Si sono, al contrario, utilizzate per eleggere il segretario nazionale, quello regionale e le rispettive assemblee. In altre parole le abbiamo usate dove non le vogliono i nostri iscritti (e dove tutto sommato non servono) e non le abbiamo usate dove davvero servono, ovvero dove trovano la loro piena giustificazione: la selezione della classe politica per le candidature alle cariche istituzionali.

Per semplificare: piedi in aria e testa in giù; primarie per i segretari nazionali e regionale e non-primarie per deputati e senatori. In questo modo continueremo a deludere i nostri iscritti, da una parte, e gli elettori dall’altra, contribuendo a mantenere in piedi un sistema politico per la cui modifica, in fin dei conti, è nato il Partito Democratico.


Il finanziamento ai circoli

Una seconda riflessione sullo statuto riguarda il finanziamento dei circoli; ho sottoposto all’attenzione della commissione nazionale per lo statuto un emendamento portato e discusso nelle assemblee di circolo della provincia di Treviso durante il settembre 2009. Tale emendamento assegna il 20% delle risorse provenienti dal finanziamento pubblico ai circoli in ragione dei voti del PD su quel territorio.

Si propone l'aggiunta del comma 5 all'art 14:

"Il 20% di tutti i rimborsi elettorali spettanti al partito democratico per elezioni regionali, nazionali ed europee sono attribuiti ai circoli territoriali. Tali rimborsi sono distribuiti in ragione dei voti ottenuti dal Partito Democratico nella singola elezione nel comune o entità territoriale corrispondente a ciascun circolo."

La proposta tende a stabilire una base di finanziamento trasparente e paritaria secondo un criterio di uguaglianza fra i circoli territoriali; certamente non esaurisce le necessità di finanziamento dei circoli, i quali devono integrare le risorse soprattutto con l’autofinanziamento, il tesseramento e la ripartizione di risorse ad opera dei livelli regionale e provinciale, ma intanto stabilisce una regola uguale per tutti. Definirsi “partito federale”, come fa lo statuto in apertura, significa poi riconoscere pari dignità agli organismi, in questo caso territoriali. Pari dignità significa anche pari opportunità.

La norma non è stata accettata dalla commissione statuto con alcune curiose motivazioni; vale la pena di conoscerne almeno un paio. Si è detto, ad esempio, che i soldi che arrivano con la modifica dell’ART. 34 saranno davvero tanti e tanti in più rispetto a prima. Le norme contenute nell’ART. 34 semplicemente vanno ad acclarare quella che è, oggi con l’attuale tesoreria nazionale, una buona gestione delle risorse finanziarie. Oggi abbiamo una tesoreria nazionale che finanzia le organizzazioni provinciali (questa è la nostra esperienza a Treviso) mettendole, nel nostro caso, in condizioni almeno di avere un supporto amministrativo (e non è poco!). Ma attenzione: una cosa è una buona gestione delle risorse finanziarie esistenti (per quel che vedo considero ottima la gestione attuale non solo del nazionale ma anche del regionale e del provinciale) e cosa ben diversa è un principio di uguaglianza, base necessaria per un vero federalismo delle risorse finanziarie. In altre parole inserire l’emendamento proposto non contrasta ne con il nuovo ART. 34, che è ben fatto nella sua stesura attuale, e nemmeno con un principio di buona gestione delle risorse che, io credo, dovrebbe essere sempre garantito e non anteposto a trasparenti regole del gioco. In altri termini la versione attuale dell’ART.34 non collide con l’introduzione dell’emendamento proposto.

Diciamocela chiara: non si è voluto devolvere una parte del potere ai circoli.

La seconda obiezione mossa all’emendamento proposto è addirittura parossistica: Si dice che un meccanismo automatico di devoluzione di risorse ai circoli andrebbe a favorire “possibili abusi”. Volendo dirla in modo provocatorio: abbiamo una classe politica che non ha il coraggio di mettersi in discussione attuando le primarie dove servono, che dice di voler valorizzare i circoli, autentici bracci operativi sul territorio e che non ha il coraggio di affrontare un possibile rischio di abusi (ammesso che ci siano). Se davvero c’è il pericolo di abusi si diano gli strumenti gestionali adeguati (a partire dalla formazione) a segretari regionali e provinciali; si dia loro, cioè, la possibilità di essere (ciò che serve!) parte vitale di una spina dorsale che consolida nei territori il PD; non si rinunci a crescere come partito e come struttura interna solo per l’esistenza di un rischio. Lo si affronti con un passo avanti e non ripiegando.

Un’ultima considerazione: Risulta che nel testo votato all’unanimità dalla commissione statuto e poi portato in assemblea per l’approvazione siano stati introdotti in modo esplicito i circoli nella formulazione del comma 4 dell’art. 34; la parola è misteriosamente sparita dal testo attualmente pubblicato sul sito nazionale del PD:

4. Una quota non inferiore al 50% delle risorse trasferite alle Unioni regionali a titolo di rimborsi elettorali è ripartita tra le Unioni provinciali e/o territoriali sotto forma di trasferimenti e/o servizi secondo i criteri definiti dai Regolamenti finanziari regionali o, in assenza degli stessi, in proporzione al numero di elettori di ogni provincia.

Mi chiedo se i membri dell’assemblea nazionale sanno esattamente cosa hanno votato quando, il 22 maggio, sono state votate in blocco le modifiche statutarie.


Da dove ripartire

Se la dimensione dei problemi è quella che riconosciamo da questi fatti, molto significativi, allora è demandata all’azione del partito, a partire dal livello regionale, la possibilità di riprendere un rapporto con la nostra società. E l’occasione dei prossimi congressi territoriali è preziosa per questo scopo. E’ positivo ed importante che la presidenza dell’Assemblea nazionale abbia affidato alla discussione dei circoli i 6 documenti preliminari che sono stati la base dei lavori in commissione. L’invito è quindi alle segreterie provinciali perché diffondano nei circoli quei documenti e li valorizzino come base di discussione per il prossimo congresso. E’ importante che su quei temi (lavoro, giustizia, riforme, green economy, Europa, università e ricerca) si sviluppi la discussione; ma è altrettanto importante che questa discussione possa avere quei riflessi nazionali necessari per portare a “sintesi” le proposte del PD in considerazione del fatto che quei 6 documenti non delineano ancora in modo chiaro e netto il profilo riformista del partito (si pensi solo al tema del lavoro). Sono quindi una buona base di discussione per la quale oggi il partito ha bisogno del contributo degli iscritti. E’ quindi importante che, questa volta, gli iscritti possano contare.

E, per noi, diventa importante che la tensione sulle modifiche statutarie brevemente accennate in precedenza non venga meno: primarie e finanziamento delle attività sul territorio sono troppo importanti per essere trattate come semplici questioni da gestire in modo ordinario; necessitano di regole chiare e condivise con gli iscritti.

A tutte le questioni sopra ricordate voglio poi aggiungerne una che, al pari delle altre, deve diventare cifra caratteristica del Partito Democratico: la questione dei diritti civili. Oggi stiamo combattendo una battaglia di civiltà chiedendo in alcuni nostri comuni (Castelfranco è uno di questi, dove da qualche giorno abbiamo festeggiato il primo anno dalla costituzione dell’Associazione “Libera Scelta” alla quale partecipa anche il PD) l’istituzione del registro comunale del testamento biologico.

Per quel che riguarda i membri della nostra Direzione l’invito è a firmare il documento presentato da Cristiano Samueli l’8 gennaio 2010.

Altra questione su cui impostare un lavoro con le segreterie provinciali è lo sviluppo delle relazioni dei nostri circoli con l’associazionismo. Come esempio cito la mia esperienza: a Castelfranco abbiamo un’associazione creata un anno e mezzo fa

che ci ha permesso di entrare in contatto con il vasto mondo dell’associazionismo e degli organismi di coordinamento, anche nella condivisione di progetti. Quella esperienza poggia sul contributo della fondazione Treviso 2000. Ne approfitto per dire che, nel recente passato, ho sentito, da parte di alcuni esponenti del PD Veneto, critiche che mi sono apparse pretestuose ed infondate sul ruolo di queste fondazioni nel Veneto ma poi, a seguire, un “silenzio assordante”. Io conosco solo la situazione del trevigiano. Vorrei che se ne discutesse e che si cercasse di fare il punto, come direzione regionale, su qual è lo stato dei rapporti fra le fondazioni “ex DS” ed il PD. Se possono essere risorse da utilizzare in modo fattivo e sistematico vale la pena di lavorarci.


Conclusioni

Con l’auspicio di un lavoro serio sul nostro territorio concludo queste brevi riflessioni; la sfida che abbiamo di fronte è duplice: da una parte dobbiamo consolidarci come partito per ottenere un lavoro sintonico nelle istituzioni e sul territorio (circoli) e dall’altra recuperare (proprio con quello) una credibilità che oggi è messa pericolosamente in crisi dallo scarso coraggio, dalle esitazioni, dai personalismi. Cominciamo dal Veneto.


Giuseppe Esposito - Direzione regionale del PD Veneto


Padova 2 giugno 2010