domenica 30 maggio 2010

Assemblea 21-22 maggio - Università e ricerca

Le nostre proposte

1) Shock Generazionale: ringiovanire la classe docente (età media più bassa di dieci anni in dieci anni), investire sui ricercatori con percorsi rapidi e chiari. Eliminare il blocco del turn-over e anticipare la data di pensionamento a 65 anni (con contratti di ricerca o didattica per i docenti in pensione). Per i ricercatori, nuovi concorsi per i primi 6 anni, dotazioni di start-up e riduzione del divario dello stipendio con gli ordinari. Spazi di liberalizzazione dei compensi con incentivi legati alla qualità dell’insegnamento, valutati con peer review. Contratto unico per i ricercatori in formazione, con diritti sociali, previdenziali ed economici certi.

2) Erasmus in Italia, per la mobilità geografica e la mobilità sociale: a) un diritto allo studio “mobile”, con il potenziamento delle residenze universitarie (da legare alla conversione degli uffici sfitti) e i contributi all’affitto per studenti fuorisede; b) credito (voucher) di studio universale: un contributo che copre il costo dei servizi, rinnovato in base ai risultati (agevolato per gli studenti lavoratori); c) opportunità e responsabilità: nell’orientamento, un liceale deve sapere dove andare per prepararsi al meglio, e uno studente deve sapere che, se andrà fuoricorso, le sue tasse aumenteranno, costituendo un fondo i più meritevoli.

3) Istituzione dell’Agenzia per la ricerca e l’innovazione e di un Piano nazionale della ricerca per superare la frammentazione ministeriale. Un modello di agenzia innovativo, nella forma e nei contenuti: ruolo di analisi di scenario (con comitati scientifici di alto livello e composti in modo trasparente, che lavorano gratis), programmazione e finanziamento nazionale della ricerca fondamentale, road-mapping università-politica-impresa, coordinamento dell’innovazione nella PA.

4) Efficienza e investimenti: a) raggiungere in dieci anni la spesa media degli altri Paesi europei (dallo 0,8% all’1,3% del PIL); b) detassare le donazioni e gli investimenti privati per le università; c) progressiva attribuzione delle risorse ordinarie in base a pochi criteri (e dunque non esclusivamente alla spesa storica o alla dimensione): scelta degli studenti; valutazione di didattica e ricerca; coesione territoriale; obiettivi-paese; d) intervenire sui rapporti tra Università e sistema sanitario, a partire dalla ripartizione dei costi e la gestione dei servizi di assistenza clinica.

5) Piano strategico del sistema universitario italiano: programmazione strategica per definire il futuro dell’università regione per regione, che orienti gli accordi di programma, la concentrazione delle risorse e la differenziazione responsabile del sistema. Usiamo la leva della valutazione per chiarire che non tutti gli atenei possono fare tutto: alcuni dipartimenti o facoltà saranno focalizzati sulle lauree triennali e magistrali, alcune università saranno orientate alla ricerca. Federazione di atenei per definire un piano di razionalizzazione e rientro per le università in crisi.

6) Valutazione: far partire subito l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e la ricerca, con un’adeguata dotazione di partenza. L’Anvur deve essere indipendente e trasparente. Proponiamo che la valutazione sia fondata su: a) ricerca universitaria, b) didattica universitaria, c) impatto dell’università sulla società, l’economia e il territorio.

7) Dalla fuga dei cervelli all’attrazione e circolazione dei cervelli. Politiche di immigrazione selettiva: a) double appointment per docenti di riconosciuta alta qualificazione; b) bandi per posizioni universitarie chiari, anche in inglese; c) istituzione di un fondo per visiting scholars e visiting professors in co-finanziamento con regioni e privati.

8) Valorizzazione del dottorato di ricerca: a) obbligatorietà per tutti i concorsi per posti da ricercatore a tempo determinato; b) premialità per i concorsi della PA; c) agevolazioni fiscali per le imprese che assumono dottorandi come consulenti; d) mettiamo il dottorato al centro di una rete tra scuole superiori e le università per un rilancio della formazione (long-life learning) per l’impresa e la pubblica amministrazione.

9) Politiche per promuovere la scienza e l’innovazione: a) coordinare programmi specifici per le scuole con le regioni; b) dedicare una quota di programmi RAI alla scienza e all’innovazione; c) attivare corsie preferenziali per le borse di studio degli studenti delle facoltà scientifiche e per il finanziamento dei progetti di ricerca in settori strategici.

10) Una rete idee/impresa per creare valore con la ricerca: a) agevolazioni per il venture capital e start-up school per portare la cultura imprenditoriale nella scuola e nella ricerca; b) connessione continua tra impresa e ricerca nella formazione, anche con e-learning; c) rilancio del piano dei distretti industriali con una programmazione nazionale chiara e trasparente, di concerto con le regioni.



La nostra visione

Premessa. La vera emergenza italiana è la ricerca, la ricerca parte dall’Università.

La vera emergenza italiana è la ricerca, con gravi conseguenze strategiche, sociali e morali. La crisi economica – prima negata dal governo, poi usata per giustificare tagli inaccettabili – ha messo in luce i nodi irrisolti del modello di sviluppo italiano. L’Italia è una nazione in ritardo: durante una congiuntura favorevole cresciamo meno dei già lenti partner europei, durante un periodo di recessione la nostra decrescita diventa drammatica. In Italia il governo ha bruciato preziose risorse - parliamo di molti miliardi di euro - per interventi improduttivi e sprechi inauditi, da Alitalia alle “grandi opere”. Non esiste nessuna programmazione strategica. Non esiste nessun piano per uscire dalla crisi con un nuovo modello di sviluppo e per affrontare i nostri problemi strutturali. Senza una svolta, non potremo agganciare quella crescita che, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, è fondamentale per garantire la stessa unità del Paese. A causa dei tagli del governo, l’Italia si avvia a diventare la più insignificante periferia dei nuovi imperi della conoscenza.

Cominciamo da una seria autocritica: le politiche dei governi di centrosinistra non sono esenti da colpe. Ora guardiamo avanti, con una forte discontinuità, con coraggio e contro ogni conservatorismo. Abbiamo bisogno di una svolta radicale di innovazione. Anzi, di una rivoluzione. A partire dall’università, che è la sede primaria della formazione, della ricerca, dell’elaborazione e della trasmissione del sapere, e dal sistema degli enti di ricerca. Sono questi i luoghi prioritari dell’interazione tra tecnologia e innovazione e tra settore pubblico e privato. L’obiettivo è costruire un’università innovativa, che valorizzi i punti di forza della nostra cultura e del sistema produttivo, e che sappia allo stesso tempo competere con gli altri Paesi, connettere l’Italia con l’estero e attrarre immigrazione altamente qualificata. Per favorire la coesione e la competitività, dobbiamo intervenire su tutti gli attori del sistema. E avere chiare le strategie per guidare gli investimenti, la programmazione, per sostenere la mobilità sociale e quella territoriale, la cultura scientifica e l’imprenditorialità; per stipulare patti chiari con gli studenti, i ricercatori e gli atenei per l’utilizzo delle risorse e per conseguire maggiore efficienza basata sull’autonomia responsabile e sulla valutazione.

I. La rivoluzione della ricerca.

1. La nuova ricchezza delle nazioni.
Guardiamo in faccia la realtà. Mentre la conoscenza corre, la politica rallenta. Assistiamo alla rivoluzione geopolitica operata da un nuovo protagonismo asiatico, evidente dall’alto rapporto tra investimenti e PIL, dall’alto numero di brevetti registrati, dalla crescita di macroregioni dedicate all’innovazione e alla tecnologia. L’Europa rilancia la Strategia 2020, per una crescita economica basata su conoscenza, creatività, innovazione, sviluppo sostenibile e integrazione sociale. La ricchezza delle nazioni si misura non solo sul denaro, ma sulla capacità di apprendimento e sulla condivisione della conoscenza: questa è la sentenza senza appello emessa dal tribunale della crisi, il nuovo paradigma che percorre l’intero sistema economico. Dobbiamo andare con coraggio oltre la crisi, evitando mere operazioni difensive. Abbiamo bisogno di scelte politiche strategiche che superino i tradizionali veti incrociati dei gruppi d’interesse e le politiche localistiche. Se l’Italia, che già si trova in forte difficoltà (lo dicono i dati OCSE, Human Development Report, Global Competitivess Index, European Innovation Scoreboard), non mette in cima alle sue priorità gli investimenti in conoscenza, in ricerca e sviluppo, nel settore pubblico e nel settore privato, è semplicemente spacciata. La ricerca è la vera “grande opera” che può unire le generazioni, e perciò deve diventare protagonista del circuito della formazione, nel dibattito pubblico e nella cultura diffusa. È giunto il momento di promuovere lo studio e la divulgazione della scienza e della tecnologia.

2. Un’economia dell’apprendimento.
Siamo in coda tra i paesi europei per investimenti, numero di laureati e di ricercatori, apertura del sistema all’esterno. La media degli studenti stranieri nei nostri atenei è soltanto il 2%. Mentre il governo italiano straparla di “merito” e taglia del 20% i fondi per l’università, rischiando di impedire il funzionamento degli atenei, nel mondo si afferma un’economia dell’apprendimento, che misura la propria efficienza sulla capacità continua di evolversi e di innovare e sulla capacità di attrarre talenti. Per andare veramente oltre la crisi, dobbiamo costruire le infrastrutture della conoscenza e impostare una programmazione precisa delle politiche della ricerca. L’esempio da seguire è la Hightech-Strategie della Germania, che individua con chiarezza le priorità di investimento e le modalità di destinazione delle risorse. Inoltre, regole chiare per la ripartizione delle risorse e apertura del sistema alla differenziazione: non tutti devono fare tutto allo stesso modo, né sono in grado di farlo. Proponiamo la creazione di un’Agenzia nazionale indipendente per il finanziamento della ricerca pubblica, con la responsabilità di un’analisi della società del futuro, attraverso un Gruppo di riflessione strategica indipendente sul modello del Rapporto 2020 del Ministero degli Esteri e con il coinvolgimento dei principali attori italiani dell’innovazione (università, piccola impresa, industria, imprese ad alto impatto tecnologico, ricerca, venture capital). Il Gruppo, coinvolto in modo gratuito in uno sforzo di responsabilità, avrebbe il compito di stabilire con chiarezza le priorità (nel primo rapporto) e l’allocazione di risorse (nei rapporti successivi) per i settori strategici (a partire da innovazione della pubblica amministrazione, , aerospaziale, biomedicale, ICT, energia, nuovi materiali, agroalimentare), riconoscendo i punti di debolezza e di forza del sistema e coordinando a partire da queste scelte gli investimenti nella ricerca fondamentale e in quella finalizzata, attraverso un rilancio del Programma Industria 2015 e del First, il fondo investimenti ricerca scientifica e tecnologica azzerato dal governo. L’Agenzia dovrebbe accelerare le procedure e garantire il rispetto dei tempi dei progetti di ricerca, e svolgere una continua attività di road-mapping università-politica-impresa. Inoltre, dovrebbe coordinare un programma di borse di studio Master and Back, dedicato agli studenti capaci e meritevoli in periodi di perfezionamento all’estero e di cooperazione internazionale nei settori strategici sopra indicati.

3. La rete tra idee e impresa: il futuro della ricerca.
Dobbiamo evitare di confinare alla parola magica della governance universitaria l’articolazione del tema, ben più ampio, del rapporto tra impresa, ricerca e università. Qualcuno ritiene che fare impresa nell’università significhi soltanto creare università private. Cambiamo prospettiva: come notato da numerosi operatori di venture capital, nel nostro Paese è debole non solo l’offerta di innovazione, ma anche la domanda da parte delle imprese. Anche in questo caso si tratta di un problema culturale e strutturale: l’Italia soffre dell’incapacità di far fruttare le idee. Se il capitale umano è la chiave per realizzare il trasferimento tecnologico, serve una nuova cultura del rischio per i ricercatori, che devono intuire le potenzialità delle loro idee ed essere messi nelle condizioni di realizzarle, anche a livello imprenditoriale. Perciò proponiamo un patto Stato-Regioni per il rafforzamento della rete di incubatori di start-up tecnologiche e la creazione di veri e propri distretti tecnologici concentrati per promuovere investimenti finalizzati in settori strategici del Paese. Proponiamo misure volte a favorire il venture capital per valorizzare i risultati della ricerca e promuovere la creazione di start-up tecnologiche, anche attraverso la defiscalizzazione degli investimenti in ricerca. Con regole chiare e stabili, e non certo con misure inaffidabili e inapplicabili e come il click-day. Come ha dimostrato David Singh Grewal, il mondo non è piatto, è connesso. Il futuro della crescita non sta nel “piccolo mondo antico” cantato dalla destra, ma nella sfida di un’Italia connessa con le idee e le intelligenze della ricerca, comprese quelle dei tanti cervelli italiani all’estero. Serve un’iniezione di realismo, perché le immagini pur vincenti nel mondo della bellezza e della cultura italiane, della gastronomia e del design non possono salvare il paese dal declino. Investire nella ricerca è la vera salvezza per il Made in Italy: solo l’innovazione può lanciare un “rinascimento digitale” per valorizzare la domanda di Italia che esiste nel mondo, anche in settori come il restauro, l’archivistica, i beni culturali.


II. Quale università per l’Italia.

4. Vocazioni, talenti, mobilità.
L’università italiana è in grave difficoltà. I dati internazionali sono impietosi: siamo agli ultimi posti, tra i paesi europei, per molti parametri: numero dei laureati e dei ricercatori, investimenti per studente, rapporto docenti/studenti, internazionalizzazione; investimenti in università. Ancor più preoccupante è la tendenza alla riduzione delle immatricolazioni universitarie dei giovani dopo la maturità: nell’ultimo anno accademico siamo a - 17.000 unità rispetto al precedente. I giovani ritengono sempre meno importante studiare, in un giudizio che riguarda anche il modello di sviluppo della nostra economia, in termini di compensi, carriera, prospettiva di vita. L’Università è ingiusta verso i giovani, perché non adempie alla sua funzione di motore della mobilità sociale. Trasmissione della ricchezza e insuperabilità della povertà sono la fotografia, ormai ampiamente condivisa, di una società iniqua e bloccata: in Italia quasi il 50% del differenziale dei redditi dei padri si trasmette ai figli (in Danimarca è il 15%, in Spagna il 32%); solo il 10% dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi (in Gran Bretagna il 40%, in Francia il 35%). La tensione tra equità e merito è l’anima di una proposta progressista. Serve un’etica delle opportunità: l’opportunità di studiare e qualificarsi per i “capaci e meritevoli”, qualunque sia la loro condizione di partenza. Per questo proponiamo un credito (voucher) di studio universale, che copra il costo dei servizi degli studenti e venga rinnovato in base ai crediti acquisiti.

5. Cultura, Coesione, Competitività.
La qualità della crescita di una nazione si misura su quella del sistema universitario. I cambiamenti nell’università di oggi devono partire dagli obiettivi-Paese per i prossimi 10 anni. Per costruire un'Italia più colta, più competitiva e più coesa, abbiamo bisogno di un numero adeguato di laureati e di dottori di ricerca, di qualificare l’offerta formativa e migliorare le regole di governo degli atenei, di aprire le porte della ricerca ai giovani, di aprire il nostro sistema all’esterno. Obiettivi che erano contenuti nel DPEF 2010/2013, approvato dalla maggioranza nel 2009, ma sconfessati dal DDL Gelmini. Parole come qualità, autonomia, merito, ammantano un provvedimento del tutto diverso nei contenuti: un disegno iper-centralista, che sottopone a un reticolo inestricabile di norme e al controllo della burocrazia ministeriale ogni passaggio della vita degli atenei. Stabilizzazione dei tagli del 2008 (oltre 1 miliardo di euro, quasi il 20% in meno nel 2008 rispetto al 2011) e nessuna risorsa per gli studenti meritevoli. Già ora molti atenei non sono in gradi di assicurare il loro funzionamento e tanto meno di programmare l’attività nel prossimo anno accademico, visto che i tagli previsti per il 2011 impediranno a molti di loro persino il pagamento degli stipendi. Dobbiamo e vogliamo contrastare questa dequalificazione del sistema di formazione universitaria. Serve, dunque, un intervento incisivo e coraggioso, a partire dallo scenario e dagli obiettivi che abbiamo delineato. Si deve mirare a costruire un sistema universitario articolato, che contenga principi ispiratori e le regole-base per il suo funzionamento, e che affidi all’autonomia responsabile il funzionamento degli atenei. Trasparenza per le risorse, secondo obiettivi di coesione territoriale e competizione equa tra gli atenei, aprendo il sistema a una differenziazione fondata sulla qualità; nuova impostazione dei meccanismi della valutazione e del sistema di ripartizione delle risorse.

6. Le persone della nostra università.
Gli studenti al primo posto: orientamento, mobilità, diritto allo studio. Dobbiamo passare da un’università dove è facile entrare e difficile uscire, a un’università dove si può entrare, per rimanere bisogna studiare, si esce normalmente in corso: possibilità per gli atenei di programmare meccanismi di selezione per la permanenza dopo il secondo o terzo anno, come incentivo per mantenere il ritmo degli studi con maggiore flessibilità nell’imposizione delle tasse per gli studenti con livelli di reddito più elevati fuori corso. Uno studente deve poter scegliere l’Università più adatta al suo talento: servono parametri chiari per definire la qualità della formazione, con una valutazione per aree disciplinari dinamica (il miglioramento nel livello di conoscenza e di comprensione conseguito negli anni di corso), in cui le scelte degli studenti saranno il primo dei criteri di valutazione in base ai quali ripartire le risorse ordinarie agli atenei. Il diritto allo studio significa, anche, diritto alla mobilità geografica: serve un Erasmus in Italia, con politiche di residenze e affitto agevolato per gli studenti fuorisede. Concretamente, proponiamo di agire sull’enorme patrimonio di uffici sfitti delle nostre città, favorendo la costituzione di agenzie immobiliari sociali che, trasformando gli uffici in residenziale, offrano affitti calmierati. Infine, con le nostre proposte, il dottorato di ricerca uscirà dall’attuale “stato di minorità”. Ricercatori e docenti: shock generazionale, patti chiari e diritti. Abbiamo la classe accademica più anziana del mondo occidentale. Proponiamo lo sblocco del turn over e il pensionamento a 65 anni, destinando le risorse “liberate” all’assunzione di nuovi docenti. Patti chiari per chi, dopo il dottorato, entra nell’università come ricercatore. Un vero percorso di ruolo (tenure-track), che riserva una posizione di docenza, al termine del primo periodo contrattuale di tre anni, a coloro che superano una selezione e che hanno a disposizione un secondo triennio durante il quale conseguire un’abilitazione. Il ricercatore che abbiamo in mente è anche un “professore in prova” che non deve, però, essere sacrificato alla didattica, e deve poter disporre di fondi di ricerca e spazi concreti di autonomia. Per i ricercatori attuali, a tempo indeterminato e determinato, un’adeguata quota di concorsi da bandire nei primi 6 anni di applicazione della riforma, e possibilità della chiamata diretta. Per assegnisti e contrattisti, abolizione delle forme attuali di precariato, con un “contratto unico di formazione e ricerca”: tutele assistenziali, previdenziali ed economiche. Proponiamo che, dopo la verifica dell’attitudine alla ricerca, si entri in un ruolo unico di docenza, articolato in livelli. Per chi lascia l’università, a un’età di massimo 32/33 anni, valorizzazione dell'esperienza di ricerca con priorità nei passaggi nella pubblica amministrazione e nell'insegnamento nelle scuole secondarie superiori.

7. Autonomia vera, valutazione severa per un’Università efficiente.
Funzionamento: Proponiamo che la legge preveda pochi principi essenziali sul sistema di governo degli atenei: autonomia nell’organizzazione, responsabilità per i risultati. Incentivi e disincentivi per favorire meccanismi virtuosi, focalizzando l’attribuzione delle risorse sulla valutazione.
Stato e Regioni per il sistema universitario. Valorizzazione delle Regioni per contribuire allo sviluppo dell’Università, e favorire i legami col territorio. Proponiamo un patto Stato-Regioni per definire le missioni e la coesione del sistema universitario, anche attraverso accordi e federazioni di atenei al fine di razionalizzare il sistema a livello territoriale. Un patto che governi il diritto allo studio e il welfare studentesco, e supporti l’orientamento post-laurea, il placement e gli stage in istituzioni pubbliche e private, la formazione continua. Finanziamento. L’obiettivo è aumentare l’efficienza e le risorse. Non è una contraddizione: come mostrano molte analisi, per l’università si spende poco e male. Per essere coerenti con gli obiettivi-Paese, è necessario aumentare di circa il 40% sia l’efficienza che gli investimenti. Per questo i criteri di ripartizione delle risorse devono disincentivare sprechi e meccanismi poco corretti di gestione del reclutamento e delle carriere. Il punto centrale è stabilire regole certe sulle risorse ordinarie (FFO): nell’immediato proponiamo di unificare tutti i finanziamenti statali in un unico capitolo di spesa, e di destinare a incentivi legati a parametri trasparenti tutte le risorse eccedenti il costo del personale. L’obiettivo è giungere a un sistema di attribuzione delle risorse integralmente ancorato a pochi criteri di valutazione: la qualità dell’attività didattica e della ricerca; le scelte degli studenti; la coesione territoriale del Paese; gli obiettivi di sviluppo strategico del sistema universitario.
Per liberare risorse, occorre affrontare il problema dell’interazione tra Università e sistema sanitario, intervenendo anzitutto sulla ripartizione dei costi e la gestione dei servizi di assistenza clinica. Infine, dobbiamo puntare a un aumento consistente dei fondi di dotazione per le singole università: serve una detassazione che incentivi le donazioni private alle Università.

Assemblea 21-22 maggio - Riforme

Linee per la modernizzazione e la riforma democratica dell’ordinamento costituzionale

1. Premesse:

1.1 Le linee che qui si presentano si muovono nel solco del documento dei senatori PD approvato dal Senato il 2 dicembre 2009 e del ddl approvato nella scorsa Legislatura dalla Commissione AACC della Camera. Ma vanno oltre il confine di quei documenti perchè si pongono l’obbiettivo di costruire una completa piattaforma per modernizzare e riformare con contenuti democratici il nostro ordinamento costituzionale. Perciò le linee affrontano anche i temi dell’ etica pubblica, del referendum, delle leggi di iniziativa popolare.

1.2 Le linee non prendono in esame le questioni costituzionali relative all’assetto delle diverse magistrature; al tema (salvaguardare e rafforzare, ove necessario, la indipendenza di tutti i magistrati, ma garantire trasparenza e responsabilità per ciascuno di essi) il PD intende dedicare un apposito approfondimento, sul se innanzitutto, e se sarà superata la prima valutazione, sul come e sul quando. In quella sede si valuterà, tra l’altro, se sia opportuno costituire un organo indipendente, in parte significativa espresso dalle diverse magistrature, che sia giudice disciplinare per tutti i magistrati (ordinari, amministrativi, contabili e militari) e giudice dei ricorsi contro le decisioni degli organi di autogoverno delle diverse magistrature. Si assicurerebbe così lo stesso “trattamento” disciplinare a tutti i magistrati, indipendentemente dal tipo di giurisdizione alla quale appartengono, e si individuerebbe l’organo competente a decidere, in caso di ricorso, al di fuori di una delle giurisdizioni in causa.

1.3 Sui temi della forma di governo e della riforma del bicameralismo paritario il PD ha già presentato da tempo le sue proposte. Il centro destra non l’ha ancora fatto per le sue note difficoltà interne. Noi non stiamo ad aspettare; andiamo avanti nella costruzione di una piattaforma strategica per la modernizzazione e la riforma democratica perché è nostro dovere farlo e perché i cittadini hanno il diritto di conoscere in modo completo le nostre proposte.

1.4 Le riforme devono garantire in modo inequivoco: unità nazionale, coesione civile, trasparenza delle decisioni politiche, separazione dei poteri.

1.5 I modelli di altri Paesi vanno valutati con attenzione. I tentativi di innesto di esperienze altrui falliscono se non si tiene conto delle convenzioni costituzionali che accompagnano il funzionamento dei singoli ordinamenti e delle trasformazioni che stanno verificandosi anche in ordinamenti fortemente consolidati.

1.6 Ad esempio, in Francia e in Germania vige la convenzione del non accordo con i partiti estremi. In omaggio a questa consuetudine Chirac, alcuni anni fa, in occasione delle elezioni regionali, vietò al suo partito un patto di coalizione con il Fronte Nazionale. Schroeder, nel corso della sua ultima campagna elettorale, assicurò che non avrebbe stipulato alcun patto con la Linke. Dopo il voto, se avesse stretto una intesa con l’estrema sinistra, avrebbe governato al posto della Merkel. Ma fedele alla parola data agli elettori e alla convenzione di non accordo con i partiti estremi, il Leader della SPD non stipulò quella intesa, cedette il governo alla CDU e si ritirò dalla vita politica. In Italia, invece, ha prevalso il principio dell’alleanza di tutti contro tutti, con la sola eccezione delle elezioni politiche del 2008. L’eccezione non si è riproposta nelle successive elezioni regionali. In Gran Bretagna, il patto di coalizione tra Cameron e Clegg prevede (par. 6) lo scioglimento della Camera dei Comuni non più per decisione del premier, ma solo se la richiesta è sostenuta almeno dal 55% dei componenti della Camera. Se la clausola verrà confermata attraverso una legge, si tratterrà di un significativo cambiamento del sistema britannico, con un passaggio di poteri dal Governo al Parlamento.

1.7 Le questioni vanno affrontate con distinti e omogenei disegni di legge. La presentazione dei diversi disegni di legge deve essere contestuale. In materia costituzionale è opportuno seguire il criterio del “minimo necessario”, piuttosto che il criterio del “massimo possibile”. Un disegno di legge omnibus presenterebbe il rischio di prestarsi a espansioni improprie, impedirebbe, in caso di referendum confermativo, un giudizio di carattere omogeneo, data l’eterogeneità delle materie trattate e probabilmente violerebbe il principio dell’art. 138 Cost, che prevede “leggi di revisione costituzionale”, non leggi che riscrivono intere parti della Costituzione. Le riforme che il PD propone vanno attuate con la procedura prevista dall’articolo 138; siamo contrari ad ipotesi di assemblee costituenti o di commissioni speciali.

2. Le riforme e la Costituzione

2.1 Nel corso della esperienza repubblicana l’impianto della Costituzione si è rivelato un fondamentale fattore di coesione e di modernizzazione del Paese. Le riforma vanno fatte non “contro” la Costituzione, ma “secondo” la Costituzione.

2.2 Il dibattito sulla riforma della Costituzione risale alla seconda metà degli anni Settanta, quando si lamentava il peso eccessivo delle Assemblee, la fragilità dei governi, le difficoltà della decisione politica. In tutti questi anni si è continuato a parlare di riforme, ma i termini del dibattito sono cambiati nel tempo e sono cambiate anche le esigenze.

2.3 Oggi le principali esigenze sono:
a) assicurare il rispetto dei principi fondamentali dell’etica pubblica;
b) rendere il sistema decisionale più rapido, più efficiente e più controllabile;
c) potenziare gli strumenti di partecipazione dei cittadini (nuova legge elettorale, referendum e leggi di iniziativa popolare);
d) riqualificare il Parlamento come luogo della rappresentanza politica della nazione ( Camera) e dei territori (Senato);
e) completare e razionalizzare, alla luce dell’esperienza, la riforma attuata con il nuovo Titolo V ;
f) garantire i diritti fondamentali in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale;
g) ridurre le improprie concentrazioni di potere nelle istituzioni e nei partiti.

3. Conferme e riforme

3.1 Le finalità indicate possono essere conseguite attraverso alcune conferme e alcune riforme.

3.2 Conferme: a) confermare il carattere parlamentare della Repubblica; b) confermare il ruolo di garanzia costituzionale e di equilibrio tra i poteri della Repubblica proprio del Presidente della Repubblica; c) confermare il pluralismo come carattere fondamentale del nostro ordinamento costituzionale.

3.3 Riforme
ETICA PUBBLICA
a. Affrontare, prevalentemente con leggi ordinarie, il tema della disciplina dei partiti politici e dei costi della politica distinguendo costi della democrazia, costi del funzionamento delle istituzioni politiche, costi dell’amministrazione pubblica. Secondo alcune valutazioni il costo globale di tutto il personale politico si aggirerebbe attorno ai 4 miliardi di euro; è corretto individuare un parametro generale di riferimento per le retribuzioni di tutte le funzioni politiche (ad esempio, con riferimento ai parlamentari, considerare la media delle retribuzioni nei Paesi europei, e, come avviene nel Parlamento europeo, legare le risorse per assistenti e servizi alle prestazioni effettivamente rese). Rivedere il meccanismo dei rimborsi elettorali. Vanno inoltre individuate e colpite le fonti di spreco, che comporterebbero, secondo alcune valutazioni un costo improprio per le finanze pubbliche attorno agli 80 mld di euro. Spesso questi sprechi sono indicati con precisione nei documenti della Corte dei Conti: quanto sono costate, ad esempio, le ordinanze emanate con i poteri della protezione civile per questioni che non avevano e non hanno nulla a che vedere con la protezione civile?. Prevedere casi di incandidabilità e di decadenza in conseguenza di condanne definitive per delitti infamanti.
DIRITTI DEI CITTADINI
b. Rafforzare l’istituto del referendum, aumentando il numero delle sottoscrizioni necessarie per l’iniziativa, anticipando il giudizio della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti, abbassando il quorum richiesto per la validità della consultazione, riferendolo alla partecipazione al voto registrata nelle precedenti elezioni per la Camera dei deputati.
c. Rafforzare le proposte di legge di iniziativa popolare, assicurando entro termini ragionevoli l’esame parlamentare della proposta e il voto finale.
LEGGE ELETTORALE
d. Riformare la legge elettorale; restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento; proporre una netta differenziazione tra il sistema elettorale della Camera, che deve favorire la costruzione nelle urne di una maggioranza di governo, e il sistema elettorale del Senato, che deve favorire la rappresentanza dei territori. Per la Camera un buon sistema elettorale sarebbe quello di impianto maggioritario fondato sui collegi uninominali. Per il Senato, sarebbe positiva l’elezione diretta in collegi regionali, insieme alla elezione del Consiglio Regionale, con sistema proporzionale e clausola di sbarramento. In entrambi i casi le leggi elettorali devono garantire l’attuazione dell’art. 51 della Costituzione.
e. Divieto di doppio mandato. Costituzionalizzare il divieto di conflitto di interessi per tutte le cariche di governo nazionale, regionale e locale. Rendere più rigorosi i casi di incandidabilità, incompatibilità, ineleggibilità; attribuire alla Corte Costituzionale la competenza a decidere sui ricorsi avverso le decisioni delle Camere in queste materie.
RIFORMA DEL BICAMERALISMO PARITARIO
f. Particolarmente impegnativa è la riforma del bicameralismo paritario. Il federalismo esige un centro forte per evitare che si avviino processi di dissoluzione dell’unità nazionale; è opportuno diffidare di soluzioni “deboli” che sarebbero destinate all’insuccesso e favorirebbero processi istituzionali centrifughi. Il Senato non può essere una camera dimezzata perchè verrebbe meno tanto il principio, per noi fondamentale, del recupero della dignità delle istituzioni parlamentari quanto la necessità di una istituzione autorevole che ricolleghi l’impianto federale all’unità nazionale. Sinora la materia delle funzioni del Senato Federale è stata trattata per “sottrazione” dal bicameralismo paritario. E’ un metodo sbagliato, che non tiene conto delle specifiche funzioni di un Senato federale. Sarebbe utile, invece, ridislocare le funzioni delle due Camere in modo totalmente nuovo.
g. La Camera dei deputati, rappresentante della nazione, sarebbe titolare del rapporto fiduciario; rientrerebbe perciò nelle sue competenze conferire e ritirare la fiducia, approvare in via definitiva le leggi, con maggioranza qualificata quando intende superare le proposte correttive del Senato. Il Senato, rappresentante delle Regioni e degli Enti Locali, avrebbe il potere di richiamare tutte le pdl approvate dalla Camera entro i limiti e alle condizioni fissate dalla Costituzione; dovrebbe inoltre “governare” il rapporto tra Stato, Regioni, Autonomie Locali. Studiare il rapporto tra Il nuovo Senato e le Conferenze: le Conferenze devono restare, ma occorre ridefinirne i compiti, in relazione alle nuove competenze del Senato. Le leggi costituzionali e quelle che regolano i rapporti tra Stato, Regioni e Autonomie locali sono bicamerali, ad eccezione delle leggi che implicano una responsabilità politica del governo ( es. legge finanziaria) o la responsabilità esclusiva dello Stato (es. leggi di principio nelle materie concorrenti).
PARLAMENTO
h. Ridare autorevolezza e rappresentatività al Parlamento, oltre che con nuove leggi elettorali, attraverso la riduzione del numero dei parlamentari (da 400 a 500 deputati, da 200 a 250 senatori), il potenziamento delle funzioni di controllo, il superamento del bicameralismo paritario.
i. Prevedere principi che valorizzino, come richiesto dal Trattato di Lisbona, il ruolo dell’intero Parlamento e dei Consigli regionali nei processi di decisione comunitaria.
j. Prestare cura particolare per un procedimento legislativo snello.
k. Allo scopo di consentire al Parlamento la determinazione delle risorse necessarie per ogni legge che comporti nuove o maggiori spese, occorre costituire un Comitato di controllo della spesa pubblica, composto in modo da garantire la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni, supportata da un’agenzia tecnica indipendente costituita in base alla legge;
l. Rendere possibili i decreti legge solo per la materia fiscale e per le emergenze improvvise e imprevedibili; omogeneità dei d.legge e loro inemendabilità se non per la copertura finanziaria;
m. rivedere la materia delle leggi delega, estendendo i poteri di controllo del Parlamento;
GOVERNO
n. Sviluppare le indicazioni contenute nella Costituzione secondo le quali il presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Proponiamo di discutere attorno ai seguenti punti: il PdCM riceve direttamente la fiducia; nomina e revoca i ministri; può chiedere al presidente della Repubblica, dopo la deliberazione del CdM, lo scioglimento della Camera; sui ddl del governo può chiedere il voto a data fissa, compatibile con la complessità del provvedimento, nei limiti e secondo le modalità stabilite dai regolamenti parlamentari;
FEDERALISMO
o. Completare e razionalizzare la riforma del Titolo V della Costituzione attraverso la riduzione della materia della competenza concorrente, l’introduzione della clausola di sovranità, la realizzazione di una cornice unitaria di comune responsabilità (Stato, Regioni, AALL) nell’attuazione delle politiche nazionali. Occorre in particolare il coordinamento della finanza pubblica e del federalismo fiscale per la garanzia dei livelli essenziali e per il migliore funzionamento dei servizi rivolti ai cittadini.
MESSA IN SICUREZZA DELLA COSTITUZIONE
p. La Costituzione dev’essere messa in sicurezza attraverso un rafforzamento delle procedure previste dall’art. 138 Cost.; in particolare la Prima Parte della Costituzione deve essere revisionabile solo con la maggioranza dei due terzi dei parlamentari.


Questo testo è stato preparato insieme ai parlamentari PD delle Commissioni Affari Costituzionali della Camera e del Senato.

Assemblea 21-22 maggio - Lavoro

Due problemi fondamentali attanagliano il lavoro italiano: la precarietà ed il bassissimo tasso di occupazione delle donne e dei giovani, in modo drammatico nel Mezzogiorno. La profonda crisi in corso ha pesantemente aggravato i nostri mali storici: quasi 700.000 occupati in meno da Aprile 2008 e quasi un milione di lavoratori a reddito tagliato dalla collocazione in cassa integrazione nel 2009. Soffrono, in particolare, i giovani per i quali il tasso di disoccupazione si è impennato di oltre 7 punti percentuali (al 28%) e per i quali sono spesso assenti sostegni al reddito. Il tasso di occupazione è caduto di quasi 3 punti negli ultimi 18 mesi (dal 59% al 56%). Diventa sempre più intensa la rassegnazione di quanti, soprattutto giovani e donne, soprattutto al Sud, non trovano lavoro e smettono di cercarlo. Le previsioni per il 2010 indicano ulteriore aumento della disoccupazione. Alle storiche categorie “escluse” dal mercato del lavoro, si sono aggiunti negli ultimi mesi anche gli ultracinquantenni di tutte le qualifiche.

Oggi, tra i problemi prioritari, oltre alla precarietà e all’assenza di lavoro, si inserisce l’insicurezza di quanti hanno il lavoro a tempo indeterminato, ma hanno perso la prospettiva di stabilità, nonostante le “forti” garanzie giuridiche godute: i 150 tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo per affrontare il futuro di aziende medie e grandi sono esempi chiari dell’insicurezza dei cosiddetti “garantiti”. Inoltre, il mercato del lavoro è partecipato da italiani e “nuovi italiani”. Anche i lavoratori e le lavoratrici migranti e le loro famiglie, oltre 4 milioni di persone, subiscono le conseguenze della crisi, in particolare nell’agricoltura. Ma, la transizione demografica in corso e la crescente domanda di servizi alla persona richiedono la presenza strutturale di immigrati.

Le condizioni del lavoro sono connesse con le situazioni di disagio sociale e di povertà, in particolare estrema e minorile. Nel 2008, il 5% della popolazione residente in Italia era in condizioni di povertà assoluta. Le famiglie in condizione di povertà relativa sono 2.737.000 e rappresentano l’11,3% del totale, mentre gli individui poveri sono oltre 8 milioni, pari al 13,6% della popolazione, con un significativo aumento dei working poors. Sono dati tra i peggiori di Europa. Soffrono soprattutto le famiglie con figli minori ed, in particolare, nel Mezzogiorno.

Nell’ultimo quarto di secolo, il lavoro è cambiato in tutta l’area dei Paesi più sviluppati. Tenere conto delle diversità, spesso subite, qualche volta scelte, delle condizioni del lavoro e riconoscere la molteplicità dei rapporti tra tempi di vita e tempi di lavoro per valorizzarla vuol dire superare i tanti dualismi del mercato del lavoro. Alcuni Paesi additati in questi anni a modello di performance economica (Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Spagna), caratterizzati dalla liberalizzazione estrema del mercato del lavoro, hanno conosciuto ritmi di crescita intensi grazie, soprattutto, a politiche macroeconomiche espansive, ossia al colossale indebitamento delle famiglie. Il debito privato ha compensato gli effetti negativi sulla crescita derivanti dalla precarietà delle condizioni e dei redditi da lavoro. In fondo, la svalutazione del lavoro è stata la causa primaria della crisi in corso. Per contro, altri paesi (Svezia, Danimarca in prima fila), caratterizzati da efficaci reti di welfare e da politiche per la crescita di qualità (dagli investimenti in R&S ed in infrastrutture, alla regolazione concorrenziale dei mercati, alla qualità delle pubbliche amministrazioni, al sistema fiscale, ecc) hanno registrato un’espansione significativa e stabile nella produzione e nell’occupazione.

In sintesi, la regolazione del mercato del lavoro non è variabile indipendente. I mercati globali, le caratteristiche del paradigma tecnologico diffuso e la “forza” del consumatore richiedono flessibilità nelle unità produttive. Tuttavia, il punto è, in particolare in Italia, l’utilizzo delle forme contrattuali precarie per la riduzione del costo del lavoro. Un utilizzo improprio che ha disincentivato, in tanti casi, l’investimento delle imprese in innovazione e l’innalzamento della produttività.

In Italia, i dati disponibili indicano che i rapporti di lavoro precari sono concentrati nelle imprese con meno di 9 occupati, ossia le unità produttive “libere” dai vincoli dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, mentre diminuiscono al crescere della dimensione occupazionale dell’impresa. Insomma, in Italia la precarietà si è diffusa in quanto i contratti precari costano al datore di lavoro, in termini di contribuzione sociale e di retribuzione o compenso (definiti al di fuori dei contratti nazionali di lavoro ed in assenza di una legge sul salario minimo), molto meno dei contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato. In un Paese abituato a competere drogato dalle svalutazioni della Lira, l’avvento dell’euro, i ritardi nelle riforme strutturali e nella politica industriale e gli scarsi investimenti in R&S da parte delle imprese sono stati in parte compensati dall’abbattimento del costo del lavoro mediante i contratti precari e la stagnazione delle retribuzioni dei lavoratori a tempo indeterminato.

La politica del lavoro del Governo dall’inizio della legislatura ha aumentato la precarietà e penalizzato, in particolare, i giovani e le donne. Ad esempio, nel caso dei call centers, lo smantellamento dei limiti ai contratti a progetto ha determinato, da un lato, lo spiazzamento delle imprese che avevano stabilizzato i lavoratori attraverso gli incentivi introdotti nel 2006 e, dall’altro, la cassa integrazione per migliaia di giovani. Le misure introdotte dal Ministro Sacconi, da ultimo nel “Collegato lavoro” rinviato dal Presidente Napolitano alle Camere, tendono a far regredire il livello minimo universale di tutele, diritti e retribuzione dei lavoratori e delle lavoratrici e puntano a corporativizzare sul piano territoriale e settoriale i nuclei più forti di lavoratori.

La strategia del PD per il “diritto unico” del lavoro. Il PD è “il partito del lavoro”, “fondato sul lavoro”. Per il PD, il nesso tra diritti di cittadinanza e diritti sociali e del lavoro è indissolubile. Il lavoro è fonte di identità della persona umana e, al tempo stesso, come indicato all’art 1 della nostra Costituzione, fonte di cittadinanza democratica. Il PD intende rappresentare il lavoro “in tutte le sue forme”, dal lavoro (relativamente) stabile a tempo indeterminato, al lavoro precario e parasubordinato, dal lavoro di artigiani, commercianti e professionisti, al lavoro dell’imprenditore.

Innalzare il potenziale di crescita dell’economia italiana è condizione necessaria per migliorare le condizioni del lavoro, aumentare il tasso di occupazione e l’inclusione sociale e combattere la povertà. Nella fase in corso, è decisivo rilanciare la domanda effettiva in Europa e nella nostra economia. Infatti, le condizioni del mercato del lavoro dipendono innanzitutto e soprattutto dalle crescita economica.

Il circolo virtuoso della crescita va riavviato, innanzitutto, nell’Unione Europea e nell’area dell’euro, attraverso la costruzione di una governance economica comune adeguata ad aggredire gli squilibri esistenti in termini non solo di disavanzi pubblici, ma anche di avanzi (Germania, Olanda) e disavanzi (Grecia, Spagna, Portogallo) delle bilance correnti, ossia gli squilibri dei potenziali di crescita dei Paesi euro. A tal fine, nell’ambito della Strategia Europa 2020, è decisivo attuare un Piano Europeo per il Lavoro, finanziato con eurobonds, regolare, dare trasparenza e frenare l’attività speculativa di tutti gli investitori istituzionali.

Sul versante “interno”, l’Italia deve qualificare la crescita. Dobbiamo inscrivere le riforme della regolazione dei rapporti di lavoro dentro una più generale strategia "alta" di crescita. Insomma, non è sostenibile una proposta radicalmente alternativa alla strategia del Ministro Sacconi sul mercato del lavoro senza una strategia radicalmente alternativa per il futuro dell’Italia. Quindi, oltre al piano della politica macro-economica europea, sono necessarie riforme del welfare, investimenti pubblici e privati nell'innovazione, nella ricerca, nella scuola e nell'università, nella formazione permanente, investimenti nelle infrastrutture per la green economy e green society, liberalizzazione dei mercati dei servizi alle persone e alle imprese, riorganizzazione del fisco, riforme delle pubbliche amministrazioni, in particolare della giustizia civile, riforme della rappresentanza politica, economica e sociale e dell’efficienza delle istituzioni democratiche e, non ultimo in termini di rilevanza per la crescita economica, innalzamento del capitale sociale, della legalità e del civismo.

Per la ricomposizione del mondo del lavoro, non solo delle sue tutele, ma anche delle sue opportunità, nel riconoscimento delle specificità delle attività lavorative e delle oggettive esigenze di flessibilità e di competitività delle imprese, non vi sono scorciatoie. Un modello unico di contratto di lavoro è un obiettivo da collocare in un quadro di elevata e consolidata dinamica della produttività, condizione necessaria a compensare il connesso aumento di costo per l’impresa. Oggi, data la difficile fase dell’economia europea, considerata l’anemia della produttività italiana e l’aumento strutturale della disoccupazione, proponiamo un ventaglio di interventi per andare verso il superamento del mercato del lavoro duale. Le proposte sono frutto di una lunga, approfondita e largamente condivisa elaborazione dei parlamentari del Pd delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato.

La strategia proposta dal Pd per promuovere il “diritto unico” del lavoro, si articola lungo due principi di fondo: la migliore flex-security europea; l’universalità dei diritti fondamentali di cittadinanza, in particolare il welfare orientato a promuovere il benessere di tutto il nucleo famigliare, anche attraverso misure di conciliazione lavoro-famiglia. I capisaldi della strategia del Pd, da portare avanti in modo graduale al fine di evitare ogni onere aggiuntivo per la finanza pubblica, sono i seguenti:

1. incentivazione del contratto a tempo indeterminato, definito dall'UE "forma normale del rapporto di lavoro", attraverso il minor costo della stabilità rispetto alla precarietà, ossia mediante l’allineamento e la riduzione del cuneo contributivo. In particolare:
a. graduale convergenza degli oneri sociali complessivi sul lavoro intorno ad un livello intermedio tra quanto oggi versato per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e per i lavoratori impigliati in contratti low cost (primo tassello di una complessiva riforma per spostare il carico fiscale dai redditi da lavoro ed impresa ai redditi da capitale);
b. maggiorazione degli oneri contributivi per indennità di disoccupazione e indennità di fine rapporto sui contratti a tempo determinato (ad eccezione dei contratti a contenuto formativo) e sui contratti atipici;
c. introduzione di un salario o compenso minimo, determinato in riferimento agli accordi tra le parti sociali, per i lavoratori e le lavoratrici escluse dai contratti collettivi nazionali di lavoro, per i contratti a progetto, stage;
d. eliminazione dell’associazione in partecipazione con solo apporto di lavoro e dello staff leasing; delimitazione degli spazi di applicazione dei contratti a progetto, dei contratti a chiamata, del voucher;
e. restrizione, come previsto nel “Protocollo sul welfare” del 2007, della durata complessiva e delle causali dei contratti a tempo determinato ed introduzione di “tetti” in ogni azienda per la quota, sul totale degli occupati, di lavoratori e lavoratrici con contratto a tempo determinato;
f. incentivazione fiscale e contributiva alla stabilità legata alla effettiva formazione (vedi punto 8);

2. graduale introduzione di una base di “diritti di cittadinanza” per tutte le forme di lavoro, comprese le imprese individuali (vedi punto 7), in materia di garanzia del reddito, malattia, infortuni, riposo psicofisico, maternità; in particolare, universalizzazione dell'indennità di disoccupazione, anche nei confronti del lavoro autonomo e professionale; introduzione di un'indennità di disoccupazione means tested (a carico della fiscalità generale, in coda all'indennità assicurativa); unificazione e riforma della CIG ordinaria e straordinaria, anche al fine di consentire la ricollocazione dei lavoratori in relazione alla riorganizzazione dell'apparato produttivo; eliminazione dell'indennità di mobilità; potenziamento degli incentivi fiscali per i contratti di solidarietà; politiche attive specifiche per il re-inserimento al lavoro degli over-45;

3. integrazione delle pensioni delle future generazioni di lavoratori e lavoratrici attraverso una quota a carico della fiscalità generale, determinata in relazione alla contribuzione versata; ripristino ed allungamento dell’intervallo per la scelta dell’età di pensionamento e allineamento dei requisiti per uomini e donne;

4. introduzione di un reddito minimo di inserimento sul modello del “Reddito di Solidarietà Attiva” per combattere la povertà e l’esclusione sociale, in particolare la povertà estrema e minorile;

5. trasformazione dell'indennità di maternità in diritto di cittadinanza e relativo finanziamento a carico della fiscalità generale; per incentivare l’occupazione femminile, introduzione di una detrazione fiscale per il reddito da lavoro delle donne in nuclei famigliari con figli minori; superamento degli assegni famigliari e della detrazione per figli a carico ed introduzione di un contributo annuale di 3000 euro all’anno per ogni figlio fino alla maggiore età, a cominciare dalla fascia 0-3 anni, esteso anche ai lavoratori autonomi e professionisti; introduzione del part-time agevolato e volontario, innalzamento dell’indennità per i congedi parentali, incentivazione del rientro al lavoro delle donne ultra-quarantenni; potenziamento, secondo i principi della sussidiarietà, dei servizi alla famiglia (dagli asili nido all’assistenza agli anziani non-autosufficienti); credito di imposta per l’occupazione femminile nelle aree svantaggiate; avvio del “Conto personale di cittadinanza”, forma di risparmio agevolata per favorire l’autonomia ed il lavoro dei giovani;

6. rafforzamento delle misure legislative ed amministrative (incluse le risorse finanziare ed umane per i controlli) per favorire l’emersione del lavoro e per il miglioramento della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro; esclusione dal prezzo degli appalti, in particolare quelli al massimo ribasso, del costo del lavoro e delle misure di sicurezza; recepimento della direttiva europea per il contrasto al lavoro dei migranti senza regolare permesso di soggiorno; revisione della normativa sull’immigrazione per promuovere l’ingresso regolare per lavoro; nell’immediato, prolungamento del permesso di soggiorno per i lavoratori migranti disoccupati entrati in modo regolare;

7. introduzione dello Statuto dei Lavoratori Autonomi e dei Professionisti per definire un denominatore di tutele e di incentivi rispondente alle esigenze comuni di artigiani, commercianti, professionisti;

8. riforma del contratto di apprendistato per incentivare formazione effettiva ed adeguata ai fabbisogni delle imprese; allungamento del “periodo di prova” in rapporto alla natura delle mansioni assegnate; introduzione del diritto alla formazione permanente come diritto soggettivo nella società della conoscenza;

9. potenziamento delle politiche attive per il lavoro, quindi integrazione delle politiche sociali e del lavoro con le politiche della formazione per favorire l’inserimento lavorativo dei soggetti in difficoltà; valorizzazione e potenziamento dei Servizi per l’impiego in ottica di complementarietà tra pubblico e privato in un quadro regolativo di controllo pubblico;

10. approvazione, in relazione all'accordo interconfederale tra le parti sociali, di una legge quadro per la democrazia sindacale per disciplinare rappresentanza, rappresentatività e validazione dei contratti, condizione necessaria, tra l’altro, per ridefinire, nel pieno rispetto dei principi costituzionali, la regolazione del diritto di sciopero nei trasporti, impossibile per delega legislativa.

Assemblea 21-22 maggio 2010 - Giustizia

Il programma fondamentale del Partito democratico per la giustizia si chiama Costituzione repubblicana

Il programma fondamentale del Partito Democratico per la Giustizia si chiama Costituzione repubblicana.
La nostra idea di riforme ha come obbiettivo la piena attuazione del modello di giurisdizione e del sistema di garanzie contenuti nella nostra Carta fondamentale. Le nostre proposte riformatrici mirano a realizzare pienamente l’ uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge .
Per questo non possono restare mere disposizioni non solo l’art. 3, ma anche l’insieme delle norme costituzionali che regolano il funzionamento della giustizia: la presunzione di non colpevolezza sino a condanna definitiva, il diritto alla ragionevole durata del processo, il diritto alla difesa garantito anche ai non abbienti, la finalità riabilitativa della pena.
Attuare la Costituzione significa prima di tutto rimuovere le vere emergenze che caratterizzano il servizio giustizia e che impediscono l’esercizio di diritti fondamentali, significa garantire un giusto processo che per tempi e modalità riduca il rischio di discriminazioni originate da differenze sociali, di razza o di sesso, sia per chi è imputato, sia per chi fa valere un suo diritto o è parte offesa o vittima di un reato.
Per questo, infine è necessario adeguare l’ordinamento in modo funzionale al pieno perseguimento di questi obbiettivi,anche valorizzando e qualificando l’attività e la professionalità di tutti gli operatori del servizio giustizia. L’attuazione di un sistema efficace e rapido di regolazione dei conflitti, di attuazione e tutela dei diritti e di coercizione dei doveri è uno dei problemi più seri di tutti i grandi paesi democratici, ovunque oggetto irrisolto di un continuo divenire critico.


1. LE EMERGENZE

A) La giustizia civile
Va affrontata quella vera e propria ipoteca sulla competitività rappresentata dal cattivo funzionamento della giustizia civile, che è causa dell’inadeguata tutela del credito, della difficoltà ad investire nel nostro paese, dell’incertezza dei rapporti tra privati, del protrarsi di conflitti familiari, talvolta drammatici.
Le cause civili attualmente pendenti sono più di 5 milioni (con una crescita media annua del 7,5 per cento). Per avere giustizia oggi un cittadino attende anche fino a sette anni e mezzo e, una volta giunta la sentenza, questa risulta spesso priva di qualsiasi effetto positivo per chi intendeva far valere un proprio diritto.
Il Partito Democratico sostiene la necessità dell’unificazione e semplificazione dei riti processuali e auspica che il governo porti presto alla discussione delle Camere i relativi decreti legislativi. In ogni caso il Partito Democratico, anche al di là di detti decreti, proporrà degli interventi di unificazione per alcuni procedimenti come quelli relativi all’affidamento dei figli naturali, di separazione e divorzio che, nonostante l’omogeneità della materia, conoscono diversità di riti e finanche di competenza per materia. Occorre, inoltre, lavorare a una riforma del processo previdenziale che liberi i tribunali del lavoro e consenta di risolvere in tempi accettabili le controversie che riguardano la tutela dei diritti dei lavoratori e che oggi subiscono spesso gli stessi tempi della giustizia civile.
Occorre poi assicurare adeguate garanzie attuative del c.d. “calendario del processo”, con un regime di preclusioni e decadenze, che sanzionino adeguatamente l’inattività o la violazione dell’obbligo di tempestività e diligenza di tutti i soggetti processuali. Va estesa anche ai giudici di pace l’incompatibilità territoriale, così come va rivista la disciplina dei conflitti di competenza. Inoltre, occorre valutare nelle controversie relative a diritti disponibili, come considerare la contumacia ai fini dell’ammissione dei fatti di causa. Per quanto riguarda la class action è necessario vigilare per rimuovere gli ostacoli che non consentono la sua piena operatività, evitando che si formino aree di degiurisdizionalizzazione caratterizzate dall’affievolimento della professionalità e qualità della tutela, ma anzi valorizzando la partecipazione dei tecnici alle procedure non contenziose. Occorre favorire il buon esito dei procedimenti di mediazione e conciliazione, eliminando l’obbligatorietà per alcune materie e garantendo l’assistenza obbligatoria, nonché prevedendo requisiti di professionalità e competenza per l’accesso all’albo dei mediatori. Garantire il corretto funzionamento del gratuito patrocinio sia in ambito penale che civile, e riordinare la difesa d’ufficio in sede penale per dare piena attuazione al principio costituzionale del diritto di difesa e di tutela per tutti i cittadini.


B) L’organizzazione
L’efficienza del sistema giudiziario presuppone necessariamente un’efficace distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari e l’adeguatezza della loro struttura dimensionale. Per questo la revisione della geografia giudiziaria da un lato e delle dimensioni degli uffici giudiziari dall’altro, rappresenta una priorità da perseguire prevedendo l’individuazione di una rete omogenea di tribunali ordinari secondo criteri obbiettivi di prossimità di tipo socioeconomico e territoriale, con particolare attenzione alle zone di forte criminalità organizzata, a quelle con intensa densità abitativa e ove vi sia una rilevante domanda di giustizia, nonché ulteriori criteri che saranno individuati dopo il confronto con i territori.
Allo stesso tempo si dovrà procedere verso l’incremento delle risorse strumentali e umane, attualmente del tutto insufficienti e sproporzionate rispetto ai carichi di lavoro degli uffici, e verso la completa ed effettiva informatizzazione (e telematizzazione) del procedimento, semplificando il regime delle notifiche, tenuto conto della recente introduzione delle modalità di notifica tramite posta elettronica certificata. E’ necessario incentivare la gestione manageriale degli Uffici giudiziari, anche affiancando al magistrato dirigente giudiziario la figura del manager dell'Ufficio Giudiziario, con autonome e precise responsabilità.
Sul territorio nazionale esistono alcuni esempi di riorganizzazione degli uffici che hanno permesso un migliore impiego delle risorse già esistenti con risultati concretamente apprezzabili. Si può sin da ora avviare un’indagine conoscitiva sulle varie esperienze in campo, nonché sulle sperimentazioni già maturate in alcune sedi, per elaborare protocolli organizzativi e procedurali che possono essere oggetto di proposte di legge in grado di estendere tali migliori pratiche tenendo conto delle peculiarità dei territori. Con riferimento alle esperienze già maturate assume particolare rilievo quanto sperimentato in diversi distretti giudiziari del nostro paese circa l’impiego degli strumenti informatici.

C) Il carcere
La situazione nelle carceri italiane è drammatica per il sovraffollamento (con il numero dei detenuti che aumenta di oltre 700 unità al mese), per la carenza di personale di sorveglianza e per l’insufficienza di personale in grado di fornire assistenza sociale e psicologica in carcere. Questa situazione porta al numero incredibile di suicidi che ogni anno si susseguono e vanifica completamente la previsione costituzionale della finalità rieducativa della pena. E’ necessario ampliare la tipologia delle misure alternative alla pena detentiva in favore di quelle specificamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale, fondati su attività di giustizia riparativa a favore delle vittime dei reati o da programmi di istruzione, di formazione professionale e di inserimento lavorativo. Per fare ciò non si può prescindere dall’adeguare le piante organiche riferite al personale di Polizia penitenziaria e alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano di assunzioni (almeno 1.000 unità per queste ultime figure professionali), che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie.
Crediamo debbano essere riviste anche le norme sulla custodia precautelare e sulla custodia cautelare in carcere limitandola a criteri più stringenti per il suo utilizzo, anche al fine di eliminare quei meccanismi che concorrono al sovraffollamento con detenzioni in attesa di giudizio. Per garantire il rispetto della dignità dei detenuti proponiamo l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, un soggetto che possa coordinarsi con i garanti regionali e comunali e con la magistratura di sorveglianza. Infine, chiediamo l’introduzione del reato di tortura nel codice penale.


2. I TEMPI DEL PROCESSO PENALE E LE GARANZIE

Garantire una giustizia efficiente ed equa al servizio dei cittadini significa intervenire sui tempi della giustizia. Per questo proponiamo di modificare alcuni aspetti del processo penale che si presentano come non funzionali e farraginosi.

A) Semplificazione del regime delle notifiche tenendo conto della recente introduzione delle modalità di notifica tramite posta elettronica certificata.
Neutralizzare gli effetti di tutte quelle disposizioni che, contenendo una serie di garanzie meramente formali, prive di utilità sostanziale sotto il profilo dell’effettivo esercizio del diritto di difesa, si risolvono in realtà in un’inutile dilatazione dei tempi del processo.
Parimenti utile sarebbe ampliare l’utilizzo della polizia giudiziaria territorialmente competente in sostituzione degli ufficiali giudiziari, nei casi di assoluta urgenza e nei casi di notifica di atti di indagine o provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire.
L’utilizzo della posta certificata in via ordinaria, consente un evidente risparmio di tempo e di risorse e al tempo stesso evita di dover inutilmente comprimere le garanzie legate all’effettivo esercizio del diritto di difesa.

B) Semplificazione del sistema delle nullità processuali
Prevedere uno sbarramento generalizzato per la loro proposizione.

C)Modificazione del regime della contumacia
I processi conclusi a carico di imputati di fatto irreperibili, dichiarati contumaci, rischiano di essere processi che rimangono sulla carta, mentre qualora l’imputato venga successivamente reperito il processo deve essere quasi sempre celebrato di nuovo. Sospendere il processo (e il corso della prescrizione) una volta accertata l’irreperibilità di fatto è una misura utile per razionalizzare e ridurre il carico dei procedimenti. Occorre inoltre prevedere che il processo prosegua nei confronti dei coimputati e che, nell’interesse delle parti offese, acquisizioni urgenti e prove non più acquisibili possano essere raccolte dal tribunale.

D)Riordino della disciplina dell’udienza preliminare
Riformare la disciplina dell’udienza preliminare in modo da sfruttare appieno la sua potenzialità quale momento di preparazione del futuro giudizio.
Inoltre, l’avviso di conclusione delle indagini con conseguente deposito ed accesso agli atti deve essere notificato anche alle parti offese.

E) Rivisitazione del sistema delle impugnazioni
Riduzione dei casi di ammissibilità e proponibilità del ricorso alla Suprema Corte di Cassazione. Alcune attribuzioni della Corte di Cassazione, quale giudice dell’impugnazione su provvedimenti in cui l’esame di legittimità non può essere prevalente, devono essere trasferite alle corti di appello (impugnazione dell’ordinanza di archiviazione nei casi di difetto di contraddittorio camerale e della sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare).
Inoltre deve essere limitata la possibilità di ricorso per cassazione avverso le sentenze di patteggiamento solo ad alcune tipizzate ipotesi di violazione di legge.
Infine, una riforma della procedura di dichiarazione di alcuni casi di inammissibilità nel senso di predisporre una più rapida procedura di rilevazione per i casi di mancanza dei presupposti.
E’ necessario eliminare la sospensione feriale dei termini processuali, come già previsto per i reati di criminalità organizzata.

F) Riduzione del carico di lavoro che grava sugli uffici inquirenti mediante la diminuzione del cosiddetto “Flusso in entrata”
Per mantenere fermo il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, garanzia di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, a fronte di un carico di procedimenti penali che non ha pari con gli altri paesi europei con i quali normalmente ci paragoniamo, occorre confrontarsi con soluzioni che mirano a darle la necessaria effettività, introducendo moduli di flessibilità del suo concreto operare.
In questo senso vanno quelle proposte che prospettano la richiesta di archiviazione per “Irrilevanza penale del fatto” o “particolare tenuità dell’offesa” allorquando, pur sussistendo astrattamente la fattispecie di reato, il fatto non rivesta in concreto ad una prima delibazione la necessaria offensività per giustificare l’impiego della costosa risorsa del processo.
La “definizione” della particolare tenuità del fatto deve essere ampia e possibile già nella fase delle indagini preliminari. Va introdotto anche per gli adulti l’istituto della messa alla prova previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva o con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni. E’ necessario, soprattutto, ridurre l’ipertrofia delle norme penali procedendo ad una riforma del codice penale che riduca l’area di intervento derubricando verso forme alternative, più efficaci anche sotto l’aspetto sanzionatorio (ad esempio illeciti e sanzioni di natura amministrativa, non solo pecuniaria ma anche restitutoria, ripristinatoria o riparatoria), abbandonando la tendenza ad intervenire solo attraverso l’incremento dei fatti reato.

G) L’obbligatorietà dell’azione penale
L’obbligatorietà dell’azione penale va rafforzata, resa effettiva e trasparente per garantire l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Oggi l'elevatissimo numero di procedimenti non consente alle procure di perseguire con la stessa tempistica tutti i fatti penalmente rilevanti. Per questo devono essere individuate delle priorità che non siano rimesse al singolo magistrato ma bensì siano ricondotte al potere generale di programmazione dell’attività dell’ufficio. Per questo sosteniamo i contenuti di una nostra proposta di legge che mira a procedimentalizzare l’esercizio di questo potere, all’individuazione delle scelte di priorità nell’esercizio dell’azione penale secondo un modello partecipato, che tenendo conto delle risorse disponibili preveda il coinvolgimento di una serie di soggetti qualificati sul territorio. Questa procedura trova completamento nel vaglio successivo Consiglio superiore della magistratura e nella comunicazione del Ministro alle Camere.


3. L’INDIPENDENZA ED ORGANIZZAZIONE DELL’ORDINE GIUDIZIARIO

L’indipendenza e l’autonomia della magistratura, valori qualificanti in quanto garanzia per i cittadini di eguaglianza, non si poggiano soltanto sulla norma costituzionale che le prevede, si fondano anche sul prestigio di cui l’ordine giudiziario gode.
Per questo vanno individuate le procedure per l’esercizio dell’autogoverno più idonee a realizzare l’impiego dei magistrati secondo criteri ispirati al merito e alla trasparenza. Negli ultimi decenni il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di autogoverno della magistratura ordinaria e garante dell'autonoma e dell'indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato, è stato più volte oggetto di interventi legislativi l'ultimo dei quali, la legge n. 44 del 2002, è stato certamente quello che ha prodotto gli effetti più negativi. La riduzione del numero dei membri elettivi e la riforma del sistema elettorale della componente togata hanno avuto una non indifferente influenza sull'attività del Consiglio, specie per quella disciplinare. La deleteria logica correntizia nelle decisioni assunte non è stata affatto attenuata né il minor numero dei componenti ha reso più efficace il compito degli eletti. E' quindi necessario, dopo l’imminente rinnovo, da realizzarsi, visti i tempi stretti, con la legislazione vigente, un nuovo intervento del Parlamento affinché il CSM possa esprimere con pienezza di poteri il suo ruolo di organo di rilievo costituzionale.
Un nuovo sistema elettorale deve avere come obiettivo l'attenuazione dell'influenza delle correnti nelle designazioni dei posti messi a concorso. Nelle scorse legislature Ds e Margherita hanno presentato disegni e progetti di legge che avevano proprio questa finalità e che dovrebbero essere presi di nuovo in considerazione. Egualmente importante è ampliare il numero degli eletti non solo perché i magistrati, togati e non, sono ormai giunti a quasi ventimila, ma soprattutto per rendere più efficace ed utile il lavoro delle commissioni. In particolare deve essere rafforzata la Sezione disciplinare che ha cognizione dei procedimenti a carico dei magistrati ordinari. Dopo la riforma dell'ordinamento giudiziario che ha tipizzato le diverse fattispecie di illeciti di natura deontologica e ha riformato le regole del procedimento è assolutamente indispensabile che l'organo con funzioni decisorie abbia una maggiore ampiezza per far fronte a tutti gli esposti che ad esso sono presentati. L’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati - nel quadro dell’attuale assetto costituzionale e salvo una valutazione più complessiva per la quale si rinvia al lavoro del Forum sulle riforme - deve essere regolato attraverso procedure che garantiscano una più netta separazione, pur sempre in seno al Csm, delle funzioni amministrative da quelle giudicanti.
In tal senso è ipotizzabile una sezione separata del Consiglio Superiore per l’esercizio dell’azione disciplinare. La legge 44/2002 ha ridotto il numero dei membri effettivi della sezione disciplinare da 9 a 6 e si è così inevitabilmente attenuata la capacità di controllo del Consiglio sulle condotte deontologicamente scorrette dei magistrati. L'esigenza di rafforzare la sezione disciplinare non risponde solo all'esigenza di rendere più rigoroso e penetrante il controllo sulla professionalità dei magistrati ma è anche lo strumento perché i cittadini tornino ad esprimere il loro apprezzamento per l'affidabilità dell'ordine giudiziario.
E’ necessario definire una normativa che affronti il tema dell’incandidabilità dei magistrati nelle istituzioni elettive secondo le recenti indicazioni del Csm in proposito, estendendo alle elezioni regionali ed europee quanto già previsto per le elezioni politiche.
E’ necessario favorire la specializzazione dei magistrati, in particolare nel settore dei diritti fondamentali (famiglie e minori, diritti della persona, libertà personale, espulsioni). Ed in particolare la specializzazione delle sezioni per le tematiche economiche.
Occorre avviare una riflessione sulle giurisdizioni contabile e amministrativa, per assicurare maggiore trasparenza nell’operato della Pubblica Amministrazione e maggiori garanzie di tutela dei diritti soggettivi del cittadino e quelli della collettività, nel quadro di un sempre più forte indirizzo all’unitarietà della giurisdizione ed alla valorizzazione delle attività specializzate. Infine si dovrà porre rimedio alle riforme deleterie del governo in materia di depotenziamento degli strumenti di indagine (intercettazioni), che impediscono un serio contrasto alla lotta alla corruzione e al crimine organizzato, senza tutelare la riservatezza e senza garantire ai cittadini il diritto all’informazione.


Su questi punti intendiamo promuovere il più ampio confronto con tutti gli operatori del diritto, a partire dalla rappresentanza della magistratura, che consenta un adeguato monitoraggio sull’efficacia delle modifiche introdotte recentemente nell’ordinamento.

Prime nomine del consiglio comunale

Nella seduta del 28 maggio 2010 il Consiglio Comunale di Castelfranco ha nominato i rappresentanti nelle commissioni consiliari, nella commissione edilizia, e la rappresentanza consiliare nella Pro Loco e negli elenchi dei giudici popolari.

Commissioni consiliari.

Urbanistica: Stefano Pasqualotto, Cristian Antonello, Beppino Antonello, Massimo Scandolara (Lega); Sebastiano Sartoretto (Pd-LDS), Ivano Battocchio (Vivere), Fiorenzo Basso (Pdl);

Lavori Pubblici: Luca Guidolin, Beppino Antonello, Michael Didonè, Massimo Scandolara (Lega); Alberto Sartor (Pd-LDS), Loris Stocco, Fiorenzo Basso (Pdl);

Sanità: Walter Andreatta, Oscar Trentin, Stefano Pasqualotto, Cristiano Perin (Lega); Claudio Beltramello (Pd-LDS), Loris Stocco (Vivere), Franco Muschietti (Pdl);

Cultura: Patrizia Bisinella, Oscar Trentin, Gherardo Battistel, Tiziana Milani (Lega); Donata Sartor (Pd-LDS), Ivano Battocchio (Vivere), Fiorenzo Basso (Pdl);

Bilancio: Gianluca Didonè, Valeriano Beraldo, Pietro Pellizzari, Andrea Ballan (Lega); Lorenzo Milani (Vivere), Michele Baldassa (Pd-LDS), Elena Magoga (Idv);

Ambiente: Cristiano Perin, Franco Vanzo, Walter Andreatta, Cristian Antonello (Lega); Bernardino Spaliviero (Pd-LDS), Ivano Battocchio (Vivere), Fiorenzo Basso (Pdl).

Commissione Edilizia: ing. Baraciolli Fabrizio, avv. Primo Michielan, Fabrizio Dal Molin (agronomo), geom. Ruggero Chiminello; arch. Alessandro Boldo, arch. Maurizio Trevisan, arch. Maria Grazia Lizza.

Edilizia integrata: Sauro Gasparin, Piera Garbellotto.

Elenchi giudici popolari: Muschietti (Pdl), Bisinella (Lega).

Infine nella Pro Loco entrano: Michele Baldassa (Pd-LDS), Gherardo Battistel (Lega).

sabato 22 maggio 2010

Gruppo unico in consiglio comunale

Il Partito Democratico di Castelfranco ha dato vita insieme all'iniziativa civica di Donata Sartor al gruppo unico in consiglio comunale denominato "Partito Democratico - Lista Donata Sartor". Il gruppo è composto da: Donata Sartor, Sebastiano Sartoretto, Michele Baldassa, Claudio Beltramello, Alberto Sartor e Bernardino Spaliviero. Il gruppo unico in consiglio comunale è il miglior modo di confermare un percorso unitario di ampliamento dell'area democratica, percorso intrapreso con le ultime elezioni amministrative e del tutto coerente con l'ispirazione originaria del PD.

mercoledì 19 maggio 2010

Federalismo demaniale: una nota del Sen. Morando

La recente, drammatica crisi esplosa in Europa trova le sue cause profonde in squilibri macroeconomici di lungo periodo - Paesi come la Germania, in sistematico surplus commerciale e di bilancia dei pagamenti, che convivono nella stessa area monetaria con Paesi in cronico deficit; crescenti divari di produttività del lavoro e dei fattori, non compensati da adeguata mobilità dei fattori stessi; eccesso di indebitamento privato (edilizia e banche), che ora è diventato deficit pubblico (U.K. e Germania) - ma ha trovato le sue più violente manifestazioni sui bilanci pubblici (il collasso della finanza pubblica in Grecia e la concentrazione degli attacchi speculativi sui titoli pubblici di altri Paesi), fino a mettere in discussione il futuro stesso della moneta unica. L'intervento di emergenza messo in atto dai Governi dalla Commissione e dalla BCE - ciascuno nella propria autonomia, ma con un rafforzamento della cooperazione - ha per ora evitato il collasso.
La gravità del rischio corso dovrebbe e potrebbe spingere finalmente ad una maggiore armonizzazione delle politiche fiscali e di gestione dei debiti pubblici. Segnali in questo senso vengono anche dalla Germania, il cui Governo - anche per la pressione esercitata dall'Amministrazione USA - sembra ora richiedere una sorta di "Finanziaria" Europea.

È invece già certo che la revisione dei Trattati sarà orientata a riconoscere centralità al tema del volume globale del debito pubblico, rispetto al parametro - dominante nella prima fase dell'Euro - del deficit. L'Italia ha un elevatissimo (e di nuovo crescente) volume globale del debito pubblico. Quindi, il sistema Paese è vitalmente interessato a consolidare il suo merito di credito. Qualsiasi iniziativa che abbia a riferimento il debito, il patrimonio che lo garantisce, il merito di credito del Paese deve dunque essere assunta senza mai perdere di vista questo contesto.

Il decreto legislativo sul cosiddetto federalismo demaniale non presenta - così com'è stato costruito e presentato alle Camere - questo fondamentale requisito: esso infatti indebolisce la funzione di garanzia svolta dal patrimonio dello stato rispetto al debito pubblico: i beni patrimoniali in elenco, infatti, sono certamente inseriti nell'attivo del Conto patrimoniale dello Stato centrale, a fronte del passivo costituito dallo stock del debito pubblico in capo alle Amministrazioni centrali. Di qui, l'indebolimento delle garanzie: se questi beni "divorziano" dal debito, senza che il decreto nulla dica sul governo di quest'ultimo...

Non si tratta solo di un argomento sostenibile in via generale, quasi di principio (anche se il principio è solidissimo e dovrebbe essere tenuto ben fermo: il patrimonio garantisce il debito, quindi il debito va dove va il patrimonio): nella legislazione vigente resta infatti intatto il comma 5 dell'art. 1 della L.F. per il 2006, che stabilisce che i proventi derivanti da dimissione o alienazione del patrimonio immobiliare siano destinati a riduzione del debito, confluendo nel Fondo ammortamento del debito pubblico.

Connessa a questo più rilevante problema, emerge una seconda questione: qual è il valore di mercato degli immobili in gestione? Nel decreto, il riferimento è ai valori di libro. Una risposta potrebbe venire - avrebbe già dovuto essere venuta - dalla corretta applicazione del comma 222 della L.F. per il 2010, che obbligava tutte le Amministrazioni che hanno in utilizzo o detengono beni immobiliari a compilarne un elenco, entro il 31 marzo 2010. La L.F. 2010 associa alla applicazione di questo comma un risparmio, nel 2011, di 65 mln di Euro. Passi per il futuro risparmio. Ma questo elenco c'è o no? Se c'è, perché il Governo non lo usa in sede di definizione del valore degli immobili? Se non c'è, quali sanzioni sono state comminate ai dirigenti che, con la loro inadempienza, causano un danno all'erario e un così grave deficit di conoscenza al decisore politico?

Risulta infine evidente una terza questione: gli immobili oggetti del decreto danno luogo oggi ad un reddito (stimato in 189 mln). Ma questo reddito sarà certamente il frutto di una sottrazione, tra il ricavato e i costi di gestione. Il loro trasferimento alle Autonomie non può avvenire nella più completa ignoranza sui costi. Per il Bilancio dello stato centrale, il problema viene risolto agendo sui trasferimenti. Ciò che appare inaccettabile per due ragioni: la prima, è la diversa "natura" delle risorse che si vogliono compensare (trasferimenti contro reddito da patrimonio immobiliare), che confonde parte capitale e parte corrente delle entrate; la seconda ha a che fare con la difficile composizione dei tempi del trasferimento/gestione degli immobili rispetto a quelli della riduzioni dei trasferimenti.

Una cosa deve essere chiara: nessuno dei tre problemi sollevati deve essere usato per rinviare o, peggio, non realizzare una vasta operazione di "federalismo demaniale". Al contrario, bisogna fare di più e meglio.
In primis, dovrebbero essere fermi due principi generali:
a.il novero degli immobili interessati deve essere molto più ampio: in particolare, proponiamo di includervi gli immobili della Difesa; e molti beni "culturali" (perché le Autonomie dovrebbero "tutelare" questo patrimonio delle loro comunità meno e peggio dello Stato centrale?);
b.il patrimonio pubblico, garante del debito, sta col debito e va dove va il debito.
La migliore attuazione di questi due principi è certamente rappresentata dal conferimento di una quota maggioritaria del patrimonio pubblico - di tutto il patrimonio, quello dello stato Centrale e quello delle Autonomie - ad una Società che lo paga finanziandosi sul mercato e lo gestisce, attraverso operazioni di valorizzazione e alienazione. Questa Società dovrebbe essere a capitale interamente pubblico ed essere posseduta pro-quota (in base al patrimonio conferito) da Stato centrale ed Autonomie. L'intero volume delle risorse ricavate dalla vendita del patrimonio alla Società in questione dovrebbe essere portato a riduzione del debito.
A promessa della costituzione della società, un trasferimento di molti beni alle Autonomie (in particolare quelli che per essere valorizzati hanno bisogno dell'intervento attivo delle Autonomie stesse) è indispensabile, per una cooperazione tra Stato centrale e sistema autonomistico.
Naturalmente, se il Governo e la maggioranza non hanno la forza politica necessaria per procedere a questa vera e propria rivoluzione, nel rapporto tra stato centrale e Autonomie in tema di patrimonio, possono tuttavia essere apportate correzioni al testo del decreto che almeno non si mettano in aperta contraddizione con i due principi sopra enunciati.

sabato 8 maggio 2010

CORSO DI FORMAZIONE

CORSO DI FORMAZIONE PER GLI AMMINISTRATORI DEGLI ENTI LOCALI

GUIDA ALLA LETTURA ED INTEPRETAZIONE DEL BILANCIO ENTI LOCALI


PREMESSA - OBIETTIVI FORMATIVI

L’obiettivo del corso è fornire ai partecipanti conoscenze qualificate affinché siano in grado di provvedere alla lettura ed interpretazione dei documenti contabili degli enti locali, il bilancio di previsione ed il rendiconto della gestione. Il corso è rivolto agli amministratori e a tutti gli iscritti, in particolar modo ai giovani, che hanno interesse ad acquisire competenze fondamentali in materia di contabilità e finanza locale, per svolgere un domani nel migliore dei modi, l’attività politica di Sindaco, Assessore e Consigliere.


DOCENTE

Dott. Augusto Pais Becher, Revisore contabile e Ragioniere commercialista, Presidente Ancrel Club dei Revisori di Belluno, Esperto in economia e finanza locale, autore di pubblicazioni in materia di contabilità e finanza locale.

STRUTTURA SEDE E DURATA DEL CORSO

Il corso si svolge presso Villa Flangini ad Asolo (TV), dalle ore 9,00 alle ore 13,45.

29 maggio 2010 – Il bilancio, la programmazione e rendiconto, guida alla lettura dei documenti contabili

MATERIALE DIDATTICO

Dispense realizzate dal docente sulle tematiche svolte nei singoli incontri, fascicolo contenente la normativa vigente in materia di contabilità e bilancio degli Enti Locali.

PARTECIPAZIONE E QUOTA DI ISCRIZIONE

La quota di partecipazione, comprensiva del materiale didattico, è di € 25,00.

Oltre al materiale la quota è comprensiva del coffe break e del pranzo previsto alla fine dei lavori.

( la quota richiesta è a parziale copertura dei costi del corso che viene finanziato con risorse del partito provinciale)

PROGRAMMA DEL CORSO

Sabato 29 Maggio 2010

Ore 9.00 – Registrazione e consegna materiali

Ore 9.15 – Saluti ed introduzione al corso

Enrico Quarello – Segretario Provinciale PD Treviso

Davide Zoggia – Responsabile Nazionale Enti Locali

Simonetta Rubinato – Componente della V Commissione (Bilancio) della Camera

Laura Puppato – Capogruppo PD Regione Veneto

Ore 9.30 – Inizio lavori

GUIDA ALLA LETTURA ED INTEPRETAZION DEL BILANCIO ENTI LOCALI

1) La struttura del bilancio degli enti locali;

2) Iter di formazione del bilancio di previsione;

3) Il bilancio annuale e suoi allegati;

4) La relazione previsionale programmatica

5) Il bilancio pluriennale;

6) Il piano esecutivo gestione;

7) Gli equilibri di bilancio e le variazioni al bilancio;

8) Caso pratico esame e lettura di un bilancio di un comune;

Ore 11.30 – Coffe Break

Ore 11.45 - Ripresa Lavori

GUIDA ALLA LETTURA ED INTEPRETAZIONE DEL RENDICONTO DEGLI ENTI LOCALI

1) La gestione delle entrate, accertamenti e residui attivi;

2) La gestione delle spese, impegni e residui passivi;

3) Il conto del bilancio;

4) Il conto economico;

5) Il conto del Tesoriere;

6) Il conto degli agenti contabili;

7) Il passaggio dalla contabilità finanziaria alla contabilità economica con l’utilizzo del prospetto di conciliazione:

8) Caso pratico esame e lettura del rendiconto di un comune;

Ore 13.45 Pranzo


Per raggiungere la sede del Corso:

Via Foresto di Pagnano, 4, 31011 Asolo (TV) Tel: 0423.55622 Fax: 0423.520172

Link:

<http://maps.google.it/maps?f=q&hl=it&geocode=&q=via+foresto+di+pagnano,4+asolo+tv&sll=45.800324,11.901627&sspn=0.018041,0.04549&ie=UTF8&s=AARTsJqlqYV4N6LLHvCpytOIdGpcHN8NUg&view=map&hq=&hnear=Via+Foresto+di+Pagnano,+4,+31011+Asolo+Treviso,+Veneto&z=16>

10 proposte contro la crisi economica


Noi tifiamo per l’Italia che si rimbocca le maniche per uscire dalla crisi. Lo facciamo con proposte concrete e chiare. Come le 10 «buone pratiche» contro la crisi presentate da Enrico Letta, vice segretario del PD, il 19 aprile.


1.Sostegno a ricerca e innovazione. Proponiamo meccanismi per rendere automatici i crediti di imposta per le imprese che investono in innovazione e ricerca. Sul versante pubblico, a dispetto dei tagli operati dal governo alla ricerca, chiediamo di destinare una parte dei finanziamenti ordinari all’università per un piano straordinario per i ricercatori degli atenei italiani.

2.Riforma del fisco. Una riforma che si basa su un unico
obiettivo: la riduzione del peso fiscale su chi lavora e su produce. Chi “crea” sviluppo va premiato. Il tutto in considerazione dei due record negativi che l’Italia detiene tra i Paesi industrializzati: quello della più alta tassazione su chi lavora e produce e quello del più elevato livello di evasione ed elusione fiscale.

3.Riforma universale degli ammortizzatori sociali. Le nostre proposte mirano a estendere anche ai liberi professionisti, ai lavoratori delle piccole imprese e a quelli flessibili, con contratti a progetto o a tempo determinato, le tutele oggi appannaggio esclusivo dei dipendenti a tempo indeterminato delle grandi imprese.

4.Tempi certi per i pagamenti della PA. A fronte del fallimento del Piano del governo dell’autunno scorso, proponiamo misure immediate per accelerare i pagamenti alle imprese da parte della Pubblica Amministrazione coinvolgendo la Cassa Depositi e Prestiti.

5.Più libertà di scelta. Contro ogni logica corporativa o di conservazione dei privilegi esistenti, diciamo no a marce indietro nel processo di liberalizzazione delle attività economiche.

6.Giovani e lavoro. Per superare la precarietà cui sono esposti soprattutto i giovani e le donne con contratti flessibili proponiamo misure volte arginare l’attuale dualismo del mercato del lavoro tra “ipergarantiti” e “vulnerabili”. L’idea è quella di nuove tipologie di contratti di avvio al lavoro che consentano di uscire dalla scelta secca tra precariato e contratti a tempo indeterminato, in genere troppo onerosi per il datore di lavoro.

7.Semplificazione burocratica. Per agevolare il lavoro delle imprese e la vita dei cittadini, proponiamo un Piano di sburocratizzazione delle attività economiche e produttive attraverso estensione e il rafforzamento dello strumento del “forfettone”, la previsione di un’aliquota unica del mercato immobiliare e la generalizzazione degli automatismi.

8.Enti locali. Per superare le difficoltà di bilancio che molti enti locali devono fronteggiare, proponiamo una revisione dei vincoli del Patto di Stabilità interno che consenta di premiare le amministrazioni più virtuose e sanzionare solo quelle “spendaccione”. Chiediamo di conseguenza un Piano straordinario di finanziamento per le piccole opere pubbliche, da programmare e attuare con i territori.

9.Mezzogiorno e rinnovabili. Il Sud ha bisogno di un grande progetto che gli consenta di tornare a “respirare” e a essere competitivo, valorizzando il suo enorme patrimonio naturale e culturale. Per questo proponiamo subito un Piano straordinario per fare del Mezzogiorno la piattaforma logistica europea per le energie rinnovabili.

10.Gas e autonomia energetica. Siamo convinti che, in materia di politica energetica, l’Italia debba oggi mettere a frutto dieci anni di scelte bipartisan sull’approvvigionamento. Continuando a investire sul gas, oltre a essere consumatori possiamo diventare anche rivenditori.

domenica 25 aprile 2010

Festa di Liberazione, festa di tutti


Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea. (parole scritte con la punta di uno spillo, sulla copertina di una Bibbia, ritrovata nei pressi del luogo dove fu fucilato)
Guglielmo Jervis (ingegnere di 42 anni)

Mia adorata Pally, sono gli ultimi istanti della mia vita. Pally adorata ti dico a te saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno. Credimi non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome. Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui... fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse. Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto
Irma.
P.s. Vorrei essere seppellita a Sestola.

Eccole, le ultime parole di uomini e donne che morirono durante la resistenza. Giovani italiani che combatterono perché l’Italia potesse tornare libera, combatterono non solo per il proprio destino, ma anche per quello del loro Paese e che Giacomoi in un'email ha voluto ricordarci. Un sacrificio che oggi dobbiamo ricordare, più che mai. A loro dobbiamo la nascita delle nostre istituzioni democratiche.
Occorre ricordarlo al sindaco di Montichiari che nei giorni scorsi ha rifiutato la disponibilità di una piazza del comune per celebrare il 25 Aprile al Partito Democratico, diritto sancito dalla nostra Costituzione. Il sindaco di Mogliano Veneto, invece, aveva posto il divieto alla banda comunale di suonare “Bella Ciao”, in occasione delle celebrazioni per la Liberazione, consigliando, invece, l'inno al Piave. Protesta l'Anpi, ricordando che “Bella Ciao” è una "canzone di tutti". La decisione è stata quindi revocata e derubricata a “fraintendimento”, dopo le polemiche scatenatesi. Dietro a questi gesti c’è una chiara intenzione di cancellare e oscurale una memoria che deve essere, invece, considerata patrimonio comune di tutto il nostro paese. Valori che stanno alla base della nostra Carta Costituzionale.

Un valore, che sembra essere, per fortuna, ancora presente in molti ragazzi, visto che nel 2009 l’Anpi ha raggiunto i 110.000 iscritti, un boom dovuto ad una massiccia iscrizione di ragazzi sotto i 30 anni, convinti di poter contribuire alla stessa causa di chi allora scelse di combattere per riportare in Italia democrazia e libertà. Oggi a fronte di un 10% di iscritti over 80 c’è un 10% di iscritti tra i 18 e i 35 anni, una rivoluzione anagrafica resa possibile dal nuovo statuto che dal 2006 ha aperto le porte dell'Anpi a chiunque dichiari e sottoscriva di essere "antifascista". Una modifica dello statuto attuata perché, spiega Silvano Sarti, 84enne protagonista della Resistenza fiorentina e presidente dell'Anpi di Firenze: "Noi abbiamo combattuto per valori che tutti gli uomini hanno dentro, e che spetta a tutti difendere, in qualunque epoca, chi si associa all'Anpi, semplicemente ama la Costituzione e vuole difenderla. E chi deve scendere per primo in piazza se non dei giovani con le gambe buone?”

sabato 3 aprile 2010

6796 GRAZIE

6796 grazie è lo slogan che campeggia sui manifesti elettorali da oggi. Si tratta del risultato più importante che il centrosinistra abbia raggiunto negli ultimi 14 anni (cioè dalle elezioni comunali del 1996 con l'Ulivo). Un risultato che molti consideravano insperato e che vede il Partito Democratico protagonista di una vicenda elettorale che cade in un periodo di supremazia della Lega in tutto il Veneto. Il primo ringraziamento è per i candidati ed i sostenitori di questo progetto i quali hanno davvero fatto un lavoro eccezionale. Hanno cioè dimostrato che con l'impegno quotidiano e la passione è possibile gareggiare con chiunque. Hanno dato una speranza alla città di Castelfranco; la speranza di una amministrazione davvero vicina ai cittadini e non in mano a segreterie politiche lontane dalla città. E' per coltivare questa speranza e portarla al risultato finale che in queste ore continua l'impegno di tutti. Con i gazebo in piazza Giorgione, con il matriale da portare casa per casa, con il messaggio che ognuno di noi darà in questi giorni ad amici e conoscenti raccomandando di recarsi a votare l'11 e 12 aprile, turno di ballottaggio. E' fondamentale convincere quanti più elettori potenziali di Donata Sartor a recarsi alle urne, vincendo l'apatia e la rassegnazione: questa volta la possibilità c'è davvero e dipende da ognuno di noi.
Giuseppe Esposito
Coordinatore PD di Castelfranco

Un testa a testa con la lega

La giornata del 30 marzo 2010 sarà ricordata come una giornata storica. Nel corso delle prime ore della mattinata i rappresentanti di lista della coalizione si distribuivano per i seggi convinti che avrebbero assistito ad un testa a testa fra Donata Sartor e Lorenzo Milani. Le notizie del giorno prima (a Castelfranco Luca Zaia, candidato della Lega presidente in regione, conquistava in città oltre il 60% dei consensi e la lista regionale della Lega oltre il 43%) portavano a pensare che anche l'elezione comunale sarebbe stata segnata da una straripante forza della Lega.
Nella sede del Pd si iniziava a raccogliere i dati delle sezioni elettorali e fin dai primissimi risultati si evidenziava, per Donata Sartor, uno scarto di circa 10 punti percentuali in più rispetto al risultato del candidato sindaco del centrosinistra di 5 anni prima, Livio Frattin. Man mano che affluivano i dati si capiva che Dussin (candidato della Lega) risultava ridimensionato non solo rispetto allo Zaia del giorno prima ma anche rispetto al risultato della Lega in regione. Ben presto la situazione si chiariva: il testa a testa era fra Donata Sartor e Luciano Dussin con un distacco di oltre 10 punti percentuali per Lorenzo Milani. I risultati dello spoglio assegnavano a Donata Sartor il 35,83% a Luciano Dussin il 36,93% ed a Lorenzo Milani il 23,84%. Dallo 0,65 all'1,62 agli altri 3 candidati. Fra Sartor e Dussin meno di 200 voti. Il dato più significativo risultava essere il calo dei consensi a Dussin rispetto al dato della Lega in regione: Dussin perdeva oltre 1.000 voti.