lunedì 31 agosto 2009

Quale percorso per il Pd Trevigiano?

La sollecitazione di Giancarlo Vettori (La Tribuna di Treviso, 22 luglio 2009) arriva in un momento di grande importanza per il Pd Trevigiano. Inizia una fase congressuale ed il dibattito verterà sui temi nazionali oltre che su quelli più propriamente locali. La lettera che cita Vettori (Quarello e Tonella) a mio avviso non rappresenta un ritorno al passato, come Vettori afferma; è solo un invito a chi ha condiviso un percorso. Ha il significato di stimolo e riflessione ad interpretare la proposta di un candidato alla segreteria nazionale (Bersani) come evoluzione del percorso politico culturale a suo tempo condiviso. Personalmente non ci vedo nulla di male o di contraddittorio con l’impostazione data alla nascita del Pd. Quello che credo sia necessario, all’inizio di un’avventura congressuale, è il carattere che il dibattito trevigiano dovrà avere e questo proprio per fare ciò che Vettori dice e cioè: “..costruire la nuova appartenenza e il nuovo progetto per la società trevigiana, veneta e italiana.”

Ora in provincia di Treviso il Pd ha segnato una fase di autentico rinnovamento con l’elezione di Quarello nel novembre 2007; quella maggioranza si è consolidata ed ha trovato nel territorio la sua più forte legittimazione. Alle primarie del febbraio 2008 (basate su preferenza individuale e non su liste bloccate) ha raggiunto il risultato del 70%. Purtroppo quel rinnovamento non si è espresso in modo coerente con le successive elezioni politiche (liste bloccate), complice una dirigenza regionale e nazionale sorde ad ogni segnale di rinnovamento che arrivi dal territorio. Fortunatamente con lo splendido risultato di Laura Puppato alle europee del mese scorso (quasi 60.000 preferenze di cui oltre 55.00 in Veneto, prima dei candidati veneti) un segnale chiaro è stato inviato ai sacerdoti dell’ortodossia romana. Per cui ora il Pd trevigiano deve concentrarsi sulle prossime scadenze amministrative per ottenere quel rinnovamento nelle istituzioni che solo può restituire dignità ad un percorso politico. Ciò significa iniziare dalle elezioni regionali per rinnovare e rinforzare la rappresentanza della provincia di Treviso. Già abbiamo un Veneto rappresentato nelle istituzioni da un nanismo politico a dir poco imbarazzante; se poi i partiti si mettono a conculcare le potenzialità del nostro territorio (Venezia e Padova, ad esempio, sono dei “pigliatutto”) non avremo alcuna speranza di cambiare le cose e costruire quel progetto invocato da Vettori. Si sfrutti quindi l’occasione del congresso per un grande dibattito culturale su identità e missione del Pd ma ci si concentri sull’imprescindibile obiettivo di rinnovare la rappresentanza istituzionale a partire dalle elezioni regionali.

Giuseppe Esposito

(intervento pubblicato dalla "Tribuna di Treviso" a fine luglio 2009)

PARTITO DEMOCRATICO, LA SVOLTA NECESSARIA

(Di Marco Stradiotto)
In questi giorni moltissime sono state le analisi avanzate da giornalisti, parlamentari, amministratori locali (giovani e meno giovani), iscritti e simpatizzanti del PD. In tanti hanno cercato di sviscerare le ragioni di un risultato elettorale deludente, sia alle europee che alle amministrative.
I dati sono, in effetti, impietosi. Certo, l’affluenza è scesa molto, ma come non riflettere sul fatto che solo il 26,1% degli elettori ha votato PD contro il 33,2% delle politiche del 2008. Se ci concentriamo sul Nord, in particolare sul Veneto e sulla Lombardia, constatiamo che il PD è diventato il terzo partito, molto distanziato da PDL e Lega. In Veneto siamo al 20,29% contro il 26,5% di un anno fa. Ciò significa che su 100 persone adulte che incontriamo in strada solo 14,7 hanno votato PD.
È una situazione inquietante. In questi anni, soprattutto negli ultimi mesi, ho percepito che stavamo perdendo il nostro blocco sociale di riferimento. Molti degli elettori ci hanno preferito Berlusconi, Bossi, Di Pietro, Casini. Oppure semplicemente hanno scelto di stare a casa. Perché? Quali sono le ragioni di questa disaffezione? Io ho provato a darmi delle spiegazioni che sintetizzo così.

1. Il partito della “crisi”
In tempi di recessione molti dirigenti del PD hanno come dato l’impressione di “tifare per la crisi”, quasi che l’aggravarsi del disagio sociale potesse tradursi in un vantaggio elettorale per noi. Questa percezione, più o meno diffusa, ha fatto sì che italiani preferissero a noi chi comunicava loro messaggi di speranza e di ottimismo. Berlusconi nascondeva (e nasconde) la reale portata della crisi. Nello stesso tempo, Berlusconi ha accarezzato (e accarezza) ogni giorno l’orgoglio degli italiani………
I nostri imprenditori, gli operai, la gran parte dei cittadini italiani sanno che la crisi non è finita e sanno pure che è destinata a durare a lungo, ma non sopportano quei politici che sulla crisi speculano allo scopo di strappare qualche voto in più. Prima o poi i nodi arrivano sempre al pettine. Tuttavia, se il PD non modifica l’approccio alla crisi, rischia un ulteriore calo di consensi. L’assurdo è, infatti, che molti scaricano la responsabilità di questa contingenza economica non su chi la governa, ma sull’opposizione. Bisogna cambiare passo e argomentazioni.

2. Il partito “imborghesito”
Il PD sembra sempre più un partito di nicchia. Un partito elitario, distante da chi soffre, distante da quella parte di società che fra mille difficoltà sta tirando la carretta. Lontano dagli operai, dagli imprenditori, dai disoccupati, dai pensionati, dalle casalinghe. Da quelle persone che passano notti insonni perché temono di perdere il lavoro o per il fatto che i soldi non arrivano alla fine del mese. Da quegli imprenditori che non vedono un futuro per la propria azienda e temono di dover licenziare i dipendenti con cui hanno lavorato gomito a gomito per decenni. Da quei titolari di aziende che rischiano di perdere tutto perché le banche hanno chiuso le linee di credito o perché la pubblica amministrazione paga una fornitura, o un lavoro, dopo molto tempo, anche dopo un anno. Mentre il popolo sconta gli effetti della crisi sulla propria pelle, il PD affronta temi sicuramente importanti, ma con nessuna aderenza alla vita concreta delle persone. Come se il partito fosse di un altro pianeta, parliamo di DICO, di PACS, di Testamento Biologico. E poi ci chiediamo perché gli operai non ci votano più. Prima di discettare dei diritti giusti ma marginali, affrontiamo i diritti fondamentali: il diritto al lavoro, il diritto a una vita dignitosa, il diritto alla sicurezza sul lavoro e nella vita di tutti i giorni, il diritto a uno stipendio equo.

3. La tentazione della battuta e politica dell’immagine
Immaginare di battere Berlusconi ricorrendo alla battuta facile e alla politica dell’immagine è un suicidio. Inseguendolo su questa strada, visti gli scarsi mezzi mediatici a nostra disposizione, e la pochissima attitudine di molti (anzi moltissimi) nostri dirigenti al loro utilizzo, saremo sempre e comunque su un terreno che non ci appartiene. Con il risultato di esporci, ancora una volta, a sicura sconfitta. Dovremmo riflettere, e riflettere molto seriamente, sul fatto che l’unico che è riuscito, in tutti questi anni, a battere Berlusconi è stato l’antidivo Romano Prodi: uomo serio, preparato, tosto, che, tuttavia, non aveva sicuramente dalla sua la caratteristica di essere un bravissimo comunicatore televisivo. Riusciremo a vincere solo nel momento in cui smetteremo di scimmiottare “malamente” il modo di fare del centrodestra. Dobbiamo avere la forza e la capacità di proporre leader seri e preparati, portatori di obiettivi ambiziosi e messaggi mirati che riescano a proporre e, soprattutto, a far capire la linea del partito.

4. Poche risorse per i territori
Nei suoi primi due anni di vita, il PD è stato diretto in modo assolutamente centralista. La gestione Roma-centrica di un partito che si dichiarava “leggero” e di questa leggerezza si faceva perfino vanto è stata una scelta sbagliata. Organizzare manifestazioni, sostenere giornali di partito, letti peraltro da poche migliaia di cittadini, drena milioni e milioni di euro, ma lascia a secco le segreterie locali, provinciali e regionali. Serve una rivoluzione. Il finanziamento pubblico deve essere girato alle organizzazioni decentrate in base all’entità dei voti raccolti, investendo in modo proporzionalmente maggiore nelle zone dove abbiamo ottenuto i risultati più deludenti. È assolutamente necessario che il PD diventi un vero partito federale, con una sua autonomia nella gestione finanziaria e nella proposizione di temi che interessano i territori e i loro cittadini.

5. Una scarsa cultura d’impresa
I mondi produttivi, le PMI, l’artigianato, l’agricoltura, il commercio avvertono il PD come distante. Lo vedono più vicino al pubblico impiego, vicino a quelle categorie che, sempre più, l’opinione pubblica giudica “parassitarie” piuttosto che alle forze più dinamiche del Paese, quelle capaci di affrontare rischi e in grado di trainare l’economia. Il PD ha nel suo codice genetico, nonostante molti lo neghino, una certa diffidenza verso l’imprenditore, verso il padrone o il padroncino. Non sono trascorsi troppi anni da quando alcuni leader del nostro partito definivano i piccoli imprenditori del Nord “egoisti evasori”. Secondo voi quegli elettori hanno dimenticato queste accuse? No, vi garantisco di no. Esiste ancora molta diffidenza nei nostri confronti. Diffidenza ulteriormente accentuata dalla percezione di una vicinanza del PD anche alla grande impresa o a qualche illustre banchiere italiano. Chi rischia e suda tutti i giorni ha l’impressione che il nostro Partito sia amico solo di quella parte del Paese che, in giacca e cravatta, sfrutta quelli che, con la tuta da lavoro, si sporcano le mani per guadagnare la pagnotta. In questo schema è chiaro l’operaio voti con più probabilità la Lega o il PDL piuttosto che noi. Riflettiamoci.

6. La sicurezza tradita
I cittadini hanno paura. Quali che siano i dati sulla sicurezza, questa percezione è una realtà. Proviamo a frequentare le stazioni, i metrò, i mezzi pubblici, le aree più degradate e periferiche delle città italiane. Cerchiamo di comprendere lo stato d’animo di donne che vivono attimi di vero e proprio panico e che, quando arrivano a casa, accendono la tv e si trovano inondate da un’infinità di notizie che raccontano di fatti criminali accaduti nel corso della giornata. Che messaggio diamo noi, come partito, a queste persone? Normalmente siamo sulla difensiva: difendiamo i giudici che magari hanno lasciato a piede libero un delinquente o inflitto una pena irrisoria al “mostro” di turno. Così i cittadini, a torto o a ragione, preferiscono chi ha buon gioco a proporre la linea dura: senza distinguo, senza spiegazioni, senza argomentazioni sui limiti del nostro sistema penale. Certo, su questo terreno noi del centrosinistra ci portiamo dietro il fardello dell’indulto approvato nell’agosto di tre anni fa. Ci vorrà tempo per cancellare dalla memoria degli elettori questa responsabilità (votata anche da Forza Italia, ma in pochi lo ricordano) e per proporre un messaggio netto in grado di conciliare sicurezza e lotta all’esclusione sociale, rispetto delle regole e certezza del diritto.

7. Immigrazione, troppa confusione
L’immigrazione sposta oggi consensi e muove sensibilità. I populisti agitano questo tema, e la lotta ai clandestini, per ottenere facili vittorie elettorali. Eppure, al di là delle strumentalizzazioni, sappiamo tutti che si tratta di un fenomeno epocale frutto delle migrazioni di popoli sfruttati e maltrattati. Persone che scappano dalla morte e dalla fame, per cercare di sopravvivere e di garantire un futuro ai propri figli. Il PD in questi anni ha tenuto la posizione più corretta e razionale. Ma la stragrande maggioranza dei cittadini non l’ha compresa o non l’ha condivisa. Mi è capitato spesso di parlare con nostri connazionali che hanno, in passato, vissuto l’esperienza dell’emigrazione. Ti aspetteresti persone tolleranti che capiscono e accettano il fenomeno. Invece, in molti chiedono rigidità e tolleranza zero. Questo soprattutto perché non concepiscono che “l’ospite” non rispetti le regole del Paese in cui si trova a vivere e perché ricordano che a loro non era concesso “nulla”: bastava uno sgarro e subito erano rispediti a casa. Su questi temi il PD si è dimostrato incapace di comprendere che a pagare la mancanza di sicurezza e di regole sono stati soprattutto i più deboli, le persone che svolgono i lavori più umili, che si spostano sui mezzi pubblici, che frequentano gli ospedali. Che risposte diamo? Non possiamo fermarci alle enunciazioni di principio. L’integrazione deve essere la nostra unica parola d’ordine. Integrazione fatta di diritti ma anche di doveri. Primo fra tutti quello di rispettare le leggi italiane e di conoscere la nostra lingua e le nostre abitudini. Senza scommettere su questo tipo di integrazione saremo sempre sopraffatti dalla Lega che propone soluzioni inefficaci e razziste ma che almeno parla ai cittadini più deboli e dice loro esattamente quello che si aspettano di sentirsi dire.

IMPERATIVO: CAMBIARE!
È indispensabile voltare pagina. È indispensabile che la politica si avvicini ai reali problemi dei cittadini. Da qui deve ripartire il nuovo PD. Servono leader coraggiosi. Servono chiarezza, lealtà, trasparenza. Occorre spezzare l’equazione secondo cui politica significa opacità, slealtà, falsità, incoerenza. C’è bisogno di più umiltà e di una maggiore disponibilità nei confronti degli elettori e dei cittadini.
Sul piano dei contenuti, dobbiamo ripartire dalle difficoltà delle classi più deboli, elaborando risposte concrete per tutte quelle persone che orgogliosamente stanno andando avanti fra mille difficoltà. Dobbiamo smetterla di frequentare i salotti, andiamo nei luoghi di lavoro, nei posti di ritrovo, nelle sedi delle associazioni di categoria. Troviamo soluzioni reali alle paure, all’immigrazione, alla criminalità, alla crisi. In tema di lavoro cambiamo passo e troviamo il coraggio di riconoscere che il rischio d’impresa non è sufficientemente considerato nel nostro Paese e dal nostro partito. Cerchiamo di stare alla larga dalla politica della battuta e dalla tentazione di dichiarare qualcosa tutti i giorni solo per finire sulle agenzie o sui giornali. Costruiamo piattaforme programmatiche articolate nell’impostazione ma semplici nella traduzione dei nostri messaggi. Cerchiamo per ogni problema una risposta chiave, sintetizzabile in poche parole, e realizzabile davvero. Rimettiamo in piedi un partito realmente federale che lasci autonomia finanziaria e politica ai singoli territori.
Abbiamo 100 giorni per proporre alla nostra gente il Partito che vogliamo. 100 giorni per costruire, finalmente, il nuovo PD.

Marco Stradiotto
Senatore della Repubblica

(Intervento del 15 agosto 2009)

venerdì 28 agosto 2009

La vicenda di Campigo

Sul “Gazzettino” del 23 agosto è stata pubblicata una sconcertante rappresentazione della vicenda della vasca liquami di Campigo ad opera del capogruppo di Vivere Castelfranco Renato Tesser. Le dichiarazioni di Tesser sono state riportate in virgolettato e, visto che smentite non sono arrivate, non resta che constatare la veridicità di quanto riportato.

Tesser rappresenta la vicenda come una sorta di parodia ovvero di un’occasione per attaccare la maggioranza di Vivere Castelfranco sulla base di un “pretesto”. Inoltre attacca direttamente il Pd che sarebbe, a detta sua, il maggiore responsabile se non all’origine stessa della “messa in scena”.

Come si ricorderà, il comitato di Campigo ha raccolto ben 1600 firme contro l’installazione di una vasca di stoccaggio liquami posta in una posizione che comporta gravi rischi per l’ambiente ed una serie di disagi per la popolazione. Il Pd ha mantenuto una posizione ferma sulla vicenda dicendo due cose: 1) nessuno stoccaggio nelle “aree risorgive”; 2) lo stoccaggio deve avvenire nello stesso sito in cui c’è l’allevamento.

Secondo Tesser la vicenda sarebbe stata il pretesto per attaccare Vivere Castelfranco; ora va beh che attaccare una maggioranza che dimostra, in questo caso come in molti altri precedenti, tutta la sua debolezza ed improvvisazione è facile; ma davvero Tesser crede che al centro dei pensieri dei cittadini di Campigo (o di altre frazioni e quartieri) ci sia Vivere Castelfranco, per giunta col caldo di questi giorni? Davvero si pensa che non vi sia alcuna preoccupazione per falda acquifera, traffico indotto, odori molesti, ecc? Anche il solo sospettarlo, definendo “liquame elettorale” l’intera vicenda, rappresenta un’offesa per tanta gente che ha voluto semplicemente dimostrare, mobilitandosi, la propria preoccupazione. Solo per questo si dovrebbe chiedere scusa ai cittadini. Per ciò che riguarda il Pd, poi, è evidente la sostanziale differenza col nostro approccio alla democrazia: noi pensiamo che l’amministratore (sia esso nazionale, regionale o comunale) debba “rendere conto” (gli anglosassoni dicono “accountability”) ovvero dimostrare con responsabilità le ragioni di ogni singolo provvedimento. Capiamo che questo rende più difficile l’impegno nelle Istituzioni ma questa è la democrazia come la intendiamo noi: una cosa impegnativa e non una passerella televisiva serale. Ne sono testimonianza i verbali della commissione Statuto degli ultimi anni che contengono le nostre proposte in ordine allo sviluppo della partecipazione popolare, proposte che, non a caso, Vivere Castelfranco ha bocciato portando il lavoro di svecchiamento dell’Istituzione comunale castellana alla paralisi. Si sa che la crisi della politica, ormai più che ventennale, ha creato schiere di amministratori con un senso a dir poco “improvvisato” dell’impegno civico, per i quali il riscontro si cerca solo nella rincorsa dell’appuntamento elettorale ed a colpi di favori e piaceri di ogni tipo col rischio di perdere di vista l’interesse generale; tuttavia da qui alle prossime elezioni amministrative il tempo è ancora lungo e non è tardi per cambiare. Un percorso più faticoso che buttarla in politica come ha fatto Tesser. Certo: un percorso più faticoso ma infinitamente più gratificante per gli autentici democratici.

Giuseppe Esposito

Coordinatore Pd Castelfranco

(una sintesi dell'intervento è apparsa sul "Gazzettino" del 28 agosto 2009)